Molti anni fa, György Lukács un filosofo di parte marxista oggi pressoché
sconosciuto a quella parte di società che si auto ritiene colta e proprio
per questo rappresenta appieno l’ottusità contemporanea, disse riferendosi alla
scuola di Francoforte, ma in generale a gran parte della sinistra europea, che
essa risiedeva nel Grand hotel Abisso, ossia era perfettamente in grado
di criticare in maniera radicale la società capitalistica, salvo però temere
che non ci fossero vie d’uscita e rimanere dunque immobile come il coniglio
abbagliato dai fari. Ora non starò qui ad annoiarvi parlando della Dialettica
negativa o della Dialettica dell’illuminismo, né di Marx o Hegel, ma mi limito
ad osservare i limiti dell’ intellighenzia europea del dopoguerra
che è sempre rifuggita dalla complessità, dalle contraddizioni e dalle fatiche
della prassi ossia della costruzione di un sistema politico alternativo o
antagonista, arrivando ad una contraddizione esistenziale che ha finito per
distruggerla: la consapevolezza dell’ingiustizia fondamentale di una
società fondata sul capitale e poi sul mercato, ma l’impossibilità di
superarla. Perciò alla stratosferica quantità di analisi critiche per le quale
si sono spese più parole degli atomi dell’universo, corrisponde un nulla di
fatto della prassi politica, anzi un continuo arretramento di fronte a
qualsiasi cosa. Ma se per Adorno e Horkheimer o Benjamin questo era il
dramma di chi aveva conosciuto il socialismo reale di stampo stalinista o i
fascismi degli anni ’30 o ancora il nascosto cinismo del liberismo americano,
se insomma tutto questo faceva parte della “coscienza infelice” per i loro
nipoti e pronipoti è diventata più una sorta di disincanto, una sorta di
commodity irresponsabile, quasi un mero rituale o un pourparler che denuncia
apertamente la propria natura puramente declamatoria che spesso si rivela –
come ha ottimamente detto Anna Lombroso – sotto la forma del benaltrismo che è
un infinito rinvio e rinuncia sia all’azione che al giudizio. “La via di
chi teme di arrivare alla meta traccerà, facilmente, un labirinto” diceva
Walter Benjamin.
L’hotel Abisso è infatti molto confortevole perché partecipa pienamente di
quella che – non mi ricordo in questo momento se Adorno o Marcuse – chiamava
“tolleranza repressiva”, ossia la tolleranza del sistema capitalistico ad
ammettere critiche alla società purché esse non siano legittimate ad introdurre
qualsiasi aspirazione a cambiamenti strutturali. E’ questo che tiene insieme la
peggiore produzione pop hollywoodiana e le più sofisticate analisi: si può
mettere alla sbarra un singolo problema, ma non il problema generale dal quale
nasce. O tanto per essere più vicini a questi giorni si può accusare un’azienda
farmaceutica di avere barato su un farmaco nocivo, ma non si può dire che
questo nasce dalla struttura privatistica assunta dalla ricerca e dalla prassi
medica. Insomma si può nominare il peccatore, ma non il peccato.
Questa repressione, tanto più efficace in quanto non si presenta
come tale e dà alle persone l’impressione di essere libere, ha fatto un salto
di qualità quando la cultura si è definitivamente trasformata in industria
della cultura, concentrata in pochissime mani e tesa a creare non
soltanto vendite di qualcosa che siano libri, film, giornali, format
televisivi, social e quant’altro, ma visioni del mondo, valori,
agire politico, pulsioni, bisogni, gusti, orientamenti estetici, mode,
linguaggi, che da una parte sostengono e perpetuano l’ideologia del consumo e
parallelamente sono funzionali al mantenimento del potere delle classi
dominanti. Il Grand Hotel «Abisso» è accuratamente arredato per tutti i gusti e
per tutte le tendenze: nelle sue stanze è lecita ogni forma di ubriacatura
intellettuale, di fideismo, compreso quello alimentare, di ascetismo, di
autoflagellazione, di narcisismo sistemico, purché naturalmente tutto questo
rimanga illusorio e l’apparente libertà e autonomia abbia il medesimo tintinnio
delle catene.
Ma quando, come avviene oggi, si cammina davvero lungo l’abisso,
quando la manipolazione di masse rese passive, esce dalla propaganda diffusa
diventando vero e proprio golpe messo in piedi da individuabile galassia di
potere, allora ci si accorge della intollerabile leggerezza degli ospiti
dell’hotel abisso che abbandonano qualsiasi critica, anche solo di facciata,
per aggredire tutti coloro che non ci stanno proprio in nome di quei principi
proclamati a gran voce nelle stanze di quell’albergo: del resto a forza di
vivere di rendita e di fatuità accademica, di aver vestito abusivamente vesti
non consone alla loro natura, dopo aver rinunciato per contratto ad ogni
cambiamento reale in cambio di innocua immaginazione cosa potrebbero mai fare
se venissero scacciati dall’ Hotel Abisso? Sarebbero costretti a guardare
l’abisso che essi hanno contribuito ad aprire. E così diventano i perfetti
complici di una menzogna, quelli che nascondono i fatti – perdonatemi il gioco
di parole – dietro le frasi fatte, dietro le formule sempre uguali e
paradossali sgranate impunemente come in un rosario tibetano. All’Hotel Abisso
c’è posto per qualsiasi cosa salvo che per la verità e l’onestà. Essi sembrano
incarnare alla perfezione i personaggi di una frase icastica di Foucault: “croyez-moi, la déraison es tout aussi oppressive“.
L’irragionevolezza e la menzogna sono oppressione. E questi personaggi che
squittiscono dalle televisioni e dai giornali sono la fauna perfetta della
galera universale, ciò a cui saranno ridotti quando non ci sarò più bisogno di
loro, non tanto da meritare una suite, quanto piuttosto una tana.
Riflessioni magistrali, su cui riflettere. Alex Langer non apparteneva sicuramente agli intellettuali così duramente descritti da Luxacs (che ho avuto la fortuna di studiare all'università). Buona domenica.
RispondiEliminae purtroppo sono sempre meno quelli che sognano un mondo diverso (e ancora meno quelli che fanno qualcosa in quella direzione)
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