Sabato scorso la viceministra alle Infrastrutture e
mobilità sostenibile Teresa Bellanova ha chiesto le mie dimissioni da rettore
dell’Università per Stranieri di Siena (ma lo sarò solo da ottobre) perché non
so «tenere la lingua a freno».
È davvero gravissimo che un membro del Governo si
permetta di violare l’autonomia dell’università, con l’intenzione di reprimere
l’espressione di una libera opinione, garantita a tutti (e perfino ai rettori)
dall’articolo 21 della Costituzione. O si vuol chiedere di nuovo ai professori
un giuramento di fedeltà al regime?
Avevo scritto su Twitter: «È un segnale infallibile,
da anni: il #pontesullostretto è lo stigma di mafiosi, corrotti, mestatori,
politici finiti, venditori di fumo, berlusconiani nativi e di ritorno, telepredicatori
del progresso de noantri, servi dei padroni, sviluppisti d’antan, sauditi e
pennivendoli». È la mia opinione, argomentata prima in tanti articoli e libri:
ritengo che il Ponte sullo Stretto sia ormai il manifesto ideologico del peggio
di questo Paese. Oltre ad essere esattamente il contrario di quella
sostenibilità (ambientale, economica, sociale) che la vice ministra dovrebbe
servire.
Spero che la sua uscita sia solo un incidente, dovuto all’evidente analfabetismo istituzionale che caratterizza gran parte della cosiddetta classe dirigente italiana. Ed è, del resto, solo l’ennesimo episodio in cui la politica italiana mostra la sua insofferenza verso la libera espressione del pensiero dei professori universitari. Un tema sul quale bisognerà presto tornare a discutere: senza nasconderci l’oggettiva complicità di un’università sottomessa, e preoccupata solo di difendere la propria immagine (il brand), secondo il modello aziendalistico che ha ormai introiettato.
Le porte dell’università sono, comunque, aperte a
tutti: anche alla senatrice Bellanova. Frequentandola, potrebbe scoprire che
l’università serve a nutrire il dissenso, a combattere il pensiero unico, a
costruire strumenti per criticare il potere.
Non è mai troppo tardi.
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