E’ agosto, tempo – per chi può – di vacanze. Per alcuni di gite in
montagna. Così ieri ho deciso di raggiungere, dall’alta Val Susa, il colle del
Moncenisio. Da pessimo camminatore non ho attraversato le cime ma ho fatto gran
parte del percorso in auto passando, inevitabilmente, a fianco del cantiere Tav
di Chiomonte (di quel cantiere da cui, per chi non lo ricordasse, si dovrebbe
iniziare lo scavo di un tunnel a doppia canna, lungo 57,5 chilometri, sotto le
Alpi occidentali, cuore di una nuova e per molti aspetti
ancora incerta linea ferroviaria tra Torino e Lione).
Il caso ha voluto che proprio in quel momento un giornale radio fornisse un’informazione insolitamente ampia e all’apparenza preoccupata sull’emergenza climatica in atto, partendo dagli incendi che bruciano l’Italia e il mondo e soffermandosi poi su alcuni passaggi del rapporto appena pubblicato del Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (https://ipccitalia.cmcc.it/climate-change-2021-le-basi-fisico-scientifiche/). Di quella allarmata informazione ho trovato conferma nei quotidiani di oggi (che, tra l’altro, ci preannunciano, con toni allarmistici, una settimana di caldo insostenibile), in particolare nelle pagine di La Repubblica, uno dei principali sponsor del Tav.
In sintesi, secondo il rapporto del Gruppo intergovernativo, il
clima sta cambiando ovunque, in maniera rapida e con fenomeni estremi sempre
più frequenti. Molti di questi cambiamenti «sono senza precedenti in
migliaia, se non centinaia di migliaia di anni, e alcuni tra quelli che sono
già in atto, come il continuo aumento del livello del mare, sono irreversibili
in centinaia o migliaia di anni». La temperatura superficiale globale è
aumentata più velocemente a partire dal 1970 che in qualsiasi altro periodo di
50 anni degli ultimi 2000 anni. Durante il decennio 2011-2020 le
temperature hanno superano quelle del più recente periodo caldo
multi-centenario, circa 6500 anni fa. Il riscaldamento è attualmente di
+1,1°C rispetto al periodo 1850-1900. E le previsioni sono spaventose. Nei
prossimi 20 anni la temperatura globale dovrebbe raggiungere o superare 1,5°C
di riscaldamento. Con 1,5°C, avremo una crescita significativa di ondate di calore,
stagioni calde più lunghe e stagioni fredde più brevi; con 2°C, gli
estremi di calore raggiungerebbero più spesso soglie di tolleranza critiche per
l’agricoltura e la salute.
Il conseguente innalzamento del livello del mare porterà a inondazioni costiere più frequenti e gravi e all’erosione delle coste. «Eventi estremi riferiti al livello del mare che prima si verificavano una volta ogni 100 anni entro la fine di questo secolo potrebbero verificarsi ogni anno». Nessun dubbio che il riscaldamento sia causato in massima parte dalle attività umane, responsabili delle emissioni di gas serra. Nel 2019, le concentrazioni atmosferiche di CO2 erano le più alte degli ultimi 2 milioni di anni, e le concentrazioni di CH4 e N2O erano le più alte degli ultimi 800.000 anni. Dal 1750, gli aumenti delle concentrazioni di CO2 (47%) e CH4 (156%) superano di gran lunga i cambiamenti naturali plurimillenari tra periodi glaciali e interglaciali degli ultimi 800.000 anni. L’influenza umana ha riscaldato l’atmosfera e le terre emerse. Si sono verificati cambiamenti diffusi e rapidi nell’atmosfera, nell’oceano, nella criosfera e nella biosfera. L’influenza umana ha inoltre influito sulle precipitazioni, sul ritiro dei ghiacciai, sul riscaldamento degli oceani e sull’acidificazione della loro superficie.
Se non ci saranno riduzioni immediate, rapide e su larga scala delle
emissioni di gas serra – sempre secondo il Rapporto in esame – la temperatura
superficiale globale continuerà ad aumentare. Già attualmente abbiamo raggiunto
non solo al Sud ma nella Pianura padana (a Forlì) una temperatura massima di
43°C e, in Provenza, si sono toccati i 46°C: una stabilizzazione delle
temperature massime oltre i 45°C avrebbe per la popolazione anziana e malata
costi umani incalcolabili, superiori a quelli dell’attuale pandemia (basti
ricordare che già l’estate del 2003 ha fatto, in Europa, 70.000 morti). Il
riscaldamento globale di 1,5°C e 2°C sarà superato durante il corso del
ventunesimo secolo e ciò intensificherà ulteriormente il ciclo dell’acqua,
compresa la sua variabilità, le precipitazioni monsoniche globali e la gravità
degli eventi di precipitazione e siccitosi. Molti cambiamenti dovuti alle
emissioni di GHG passate e future sono irreversibili per secoli o millenni, in
particolar modo i cambiamenti nell’oceano, nelle calotte glaciali e nel
livello del mare.
C’è una sola via di uscita: una limitazione delle emissioni cumulative di
CO2 che raggiunga emissioni zero nette, insieme a forti riduzioni delle
emissioni degli altri gas serra. Lo dicono tutti a cominciare dal ministro
per la transizione ecologica Cingolani che proclama solennemente: «Va cambiato
tutto entro il 2030 o sarà il disastro». Superfluo dire che non c’è nulla
di particolarmente nuovo, ma solo l’ennesima autorevole conferma di una
situazione drammatica e insostenibile che, l’11 dicembre scorso, ha indotto la
Commissione Europea a prevedere l’obbligo per gli Stati di ridurre
almeno del 55 per cento entro il 2030 le emissioni di gas climalteranti,
confermando anche il termine del 2050 per il raggiungimento della parità
climatica, cioè del totale azzeramento delle emissioni, per riduzione o per
compensazione.
Fatto questo edificante riassunto ritorno al cantiere Tav di Chiomonte
(definito strategico dal Governo e magnificato, sempre nella giornata di ieri,
dalla ministra dell’interno Lamorgese in visita a Torino) e mi viene
inevitabile una domanda: «c’è un limite all’ipocrisia?». La risposta è:
«No. Non c’è nessun limite».
Costruire grandi opere, e la Nuova Linea Ferroviaria Torino-Lione tra queste,
comporta un enorme consumo di energia (tanto più grande quanto più grandi sono
i cantieri). A chi avesse dei dubbi consiglio la lettura di un agile libricino
di Angelo Tartaglia (Clima. Lettera di un fisico alla politica, Edizioni
Gruppo Abele, 2020) da cui sono tratti alcuni dei rilievi che seguono. Senza
entrare nel dettaglio dei bilanci chimici, la quantità di CO2 rilasciata in
atmosfera è più di un chilogrammo per ogni chilogrammo di cemento prodotto.
Poi, c’è il fabbisogno di energia per i lavori veri e propri, fabbisogno
assolutamente importante quando si tratta di scavare gallerie, di realizzare
grandi viadotti, di costruire ponti sempre più lunghi, di innalzare edifici
sempre più alti e così via. Per lo scavo del tunnel internazionale tra
Italia e Francia, la sola fase di costruzione comporterebbe un aumento netto
delle emissioni di gas serra: gli stessi proponenti stimano un’emissione
complessiva di 10 milioni di tonnellate (https://volerelaluna.it/tav/2021/02/18/la-torino-lione-e-coerente-con-la-strategia-climatica-dellunione-europea-2/). Né vale dire, come
fanno gli ineffabili sostenitori dell’opera che quando il tunnel entrerà in
funzione si comincerà a emettere di meno. Per almeno due ragioni. Anzitutto
perché il tunnel entrerebbe in funzione, ad essere ottimisti, non prima del
2035, cioè quando – secondo tutte le previsioni – i danni irreversibili di cui
si è detto si saranno già verificati (e, dunque, si comincerebbe a curare il
malato quando è ormai morto). E poi perché, sempre secondo i proponenti (con
previsioni del tutto infondate, ma prendiamole un momento per buone), l’entrata
in funzione della nuova linea determinerebbe un traffico di almeno tre volte
quello attuale, così aumentando – anziché diminuire – le emissioni complessive…
(https://volerelaluna.it/ambiente/2020/04/23/gentile-presidente-del-consiglio-davvero-pensa-alle-grandi-opere/).
La mia gita al colle del Moncenisio è diventata un po’ indigesta. Ma ha
messo ulteriormente a fuoco una domanda: «Come è possibile affermare che se
non riduciamo immediatamente le emissioni di CO2 sarà un disastro e poi operare
quotidianamente per aumentarle, magari trincerandosi dietro il fatto che ci
sono altri Paesi che fanno altrettanto e forse peggio?». Ho scritto prima
che non c’è limite all’ipocrisia ma ho sbagliato. Sono stato troppo generoso.
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