Tra crisi sanitaria e grandi incendi
Sono momenti di dolore
e di smarrimento, quelli che vive la popolazione algerina in questa rovente
estate del 2021. Momenti che possono essere paragonati ai peggiori momenti
della guerra civile degli anni 90. Tra crisi sanitaria che uccide centinaia di
persone al giorno, ospedali al collasso e famiglie
disperate in cerca di apparecchi per l’assistenza respiratoria,
ossigeno e medicinali introvabili, da una parte; e dall’altra, gli incendi violenti che hanno ridotto in cenere vastissime aree
del Nord del paese, in modo particolare nella zona montuosa della
Cabilia (centro Nord). Centinaia di Villaggi evacuati, migliaia di ettari di
foresta, di ulivi centenari e di frutteti inceneriti, feriti, morti, mancanza
di acqua, elettricità, generi alimentari…
In mezzo a questo caos
generalizzato, delle forze oscure sembrano manovrare per accendere un altro tipo
di incendio, quello dell’odio etnico tra arabofoni delle zone circostanti e
berberofoni della Cabilia. Il paese è sull’orlo del caos ed è già caduta una
vittima: un giovane accusato ingiustamente di essere un piromane e linciato da
una folla accecata dall’odio.
Cosa
succede al più grande paese dell’Africa?
Da tre anni è stato
trascinato in una progressiva discesa verso l’inferno. Crisi economica, crisi
politica, crisi sanitaria, corruzione generalizzata, istituzioni svuotate da
ogni credibilità, centinaia di oppositori in carcere, siccità, crisi pandemica
e per finire incendi devastanti. Ma i pericoli più grandi non sono quelli già
successi ma quelli alle porte: Caos e guerra civile.
Eppure il paese nel
2019 aveva grandissime speranze. Il popolo all’unisono era uscito per le strade
di tutto il paese per chiedere la fine del regime di Bouteflika. E ci è
riuscito. Bouteflika è stato costretto a dare le dimissioni, mentre i suoi
parenti, collaboratori e complici sono stati interpellati, uno ad uno, dalla
giustizia algerina. Il vento del cambiamento sembrava soffiare sul paese e
nella direzione giusta.
Ma presto quel vento
cambiò direzione e quel che doveva andare verso il meglio cominciò la deriva
verso il peggio. Il movimento nato dalla protesta resiste ancora e lotta
coraggiosamente da tre anni per un cambiamento radicale, per una rifondazione
dello Stato Algerino. Per uscire dall’autocrazia e andare verso lo Stato di
diritto. Ma il regime, anche se ha cambiato forma, non ha cambiato sostanza, si
è riorganizzato, ricompattato e sembra, pur di non mollare le redini, pronto a
mettere il paese a fuoco. Letteralmente.
L’anno della pestilenza…
L’anno 2021 rimarrà
nei libri di Storia come uno dei peggiori di questo inizio millennio. Cominciò
con l’inasprirsi progressivo della crisi economica. Casse dello Stato vuote,
crollo del valore della moneta nazionale, riduzione drastica del potere
d’acquisto dei cittadini, siccità senza uguali, crisi idrica e penurie varie…
Ma tutto questo succede in un contesto internazionale dominato dalla crisi
dovuta alla pandemia e dal riscaldamento climatico. Quindi rientra un po’ nella
norma attuale.
Verso fine primavera, però, con l’arrivo della variante Delta, la situazione
della crisi sanitaria cominciò a diventare veramente drammatica. Ospedali
strapieni che rimandano malati in difficoltà respiratoria a casa. Famiglie
disperate che cercano di comprare macchine per l’assistenza respiratoria,
l’ossigeno che diventa merce rara soggetta a speculazione… scene di lotta tra
parenti di malati negli ospedali e nei magazzini di ossigeno.
Stanchi di aspettare
uno Stato immobile che continua a comunicare all’OMS e ai media delle cifre
rassicuranti, mentre fuori la gente è disperata, gli algerini si organizzano da
soli. La diaspora nel mondo risponde all’appello e si organizza per far arrivare
medicinali e apparecchiature mediche ai tanti ospedali e centri Covid
improvvisati in giro per il paese.
Ma invece di sostenere
questo straordinario slancio di generosità, lo Stato sembra fare di tutto per
fermarlo. Prima creano complicazioni burocratiche che bloccano molti doni al
livello della dogana. Poi l’ambasciata Algerina in Francia blocca netto la
mobilitazione con un comunicato che impone una autorizzazione per ogni campagna
di solidarietà, e l’invio di ogni prodotto o attrezzatura acquistata in
direzione dei magazzini della “Farmacia Centrale Algerina, che si incaricherà
poi di farli arrivare dove ce n’è bisogno”.
Questo evidentemente
ferma tutti quelli che si erano mobilitati per aiutare il loro quartiere, la
loro città, il loro paesino… mettendo tutti gli aiuti in mano a quelle stesse
Istituzioni che tutti sospettano di essere parte del problema e non della soluzione. Evidentemente in alto luogo qualcuno non vuole risolvere i
problemi ma inasprirli.
… e del fuoco.
Mentre il paese era
indaffarato a tentare di salvare i malati e di seppellire i suoi morti, una
nuova sciagura lo colpisce in pieno. L’onda di caldo che sta colpendo tutto il
Mediterraneo è arrivata anche in Algeria. Con il caldo sono arrivati i primi incendi.
Complice la siccità severa che vive il paese da due anni, in molte regioni si
dichiarano incendi un po’ ovunque lungo la fascia Nord del paese. Ma una
regione in particolare è colpita in modo particolare: La Cabilia.
La Cabilia è una
regione montuosa e boscosa che si trova a un centinaio di chilometri a Est di
Algeri. Non è una regione qualunque. E’ La regione conosciuta per il suo
spirito ribelle e per la sua opposizione al regime algerino sin
dall’indipendenza nel 1962. E’ chiaro che il così detto Stato Profondo algerino
ha molti conti da saldare con questa area e con la sua popolazione.
I primi incendi sono
segnalati nel pomeriggio della domenica 8 agosto. Nella notte, i comuni che stanno sul fianco nordovest della Catena del
Giurgiura sono assediati dalle fiamme. Ma il fuoco non si sposta in
via lineare come dovrebbe. I focolai scoppiano all’improvviso un po’
dappertutto e sempre in prossimità delle aree abitate. L’antica scelta
difensiva dei cabili di vivere sulla punta delle colline, in questa situazione
è diventata una trappola mortale. Un fuoco acceso nelle parti basse di un
comune, per dinamica propria del fuoco, va a finire in mezzo alle case, nella
punta della collina. Dopo l’ennesima tragedia si è capito che l’origine di
molti incendi è dolosa. Anche
il ministro degli interni dichiara “l’origine criminale” del dramma.
Oggi, a 5 giorni
dall’inizio della tragedia, molte località isolate lottano ancora contro le
fiamme. I morti sono decine, i feriti centinaia e gli sfollati decine di
migliaia. La regione è al collasso e comincia a mancare di tutto.
Solo la solidarietà,
sempre
Se il popolo algerino
ha molti difetti, una qualità non gli manca di sicuro: la generosità. Dopo i
primi appelli lanciati, la solidarietà si è organizzata in tutto il paese.
Camion pieni di volontari pronti ad aiutare e di quantità enormi di cibo,
medicinali, vestiti, coperte, acqua minerale… sono arrivati da ogni dove.
Le autorità non sono
organizzate né attrezzate. Il paese mediterraneo
con milioni di ettari di boschi, che ogni anno affronta il problema degli
incendi, e che consuma 30% della spesa militare di tutto
il continente africano, non ha mai considerato
utile comprare un camion, un aereo o un elicottero speciale per la lotta contro
gli incendi di foresta. A spostarsi nei boschi sono spesso
piccole squadre di vigili del fuoco urbani con il loro ridicolo camion
progettato per spegnere gli incendi di appartamenti. Insieme a volontari e
militari non attrezzati, non formati, che fanno un po’ quello che possono, come
possono.
Il fuoco della
discordia
Mano a mano che
crescono paura e dolore, cresce anche un altro sentimento: la rabbia. La gente
si sente presa di mira ma non sa da chi. Ognuno va della sua teoria del
complotto. Nei social-media fioccano post complottisti di ogni genere: ci
sarebbero elicotteri che lanciano innesti altamente infiammabili in giro per la
regione. Si segnalano di qua di là individui sospetti, gruppi e veicoli
sospetti. Gli indipendentisti del Mak e i loro cyber attivisti raddoppiano di
ardore. Sono ovunque, commentano tutto. E, come fanno sempre gli estremisti,
tirano sempre e comunque la stessa conclusione: bisogna rompere con l’Algeria.
Nella mattina di
mercoledì alcuni post sui social parlavano di una Renault Symbole senza targa
con individui sospetti a bordo, chiedendo ai volontari mobilitati di fermarla.
Nel pomeriggio cominciano a girare video dell’arresto di un “sospetto”, a bordo
di una Mercedes (non una Renault), ma senza targa, sembra. Nel bagaglio aveva
dei pezzi di carta. Chi filma dice che sono imbevuti di benzina e che c’è anche
un piccolo contenitore di gasolio.
Verso sera arrivano
immagini di un linciaggio. Un sospetto è portato dalle forze dell’ordine
a bordo di un furgone alla Stazione di Polizia di Larbaa Nath Iraten, nell’alta
Cabilia. La folla circonda il veicolo della polizia e prende possesso del sospetto.
Poche persone provano
ad interporsi ma non ci riescono. La folla picchia a morte il giovane arrestato
e poi appicca il fuoco al suo corpo. Seguono scene raccapriccianti di
festeggiamenti e di ragazzi che si fanno i selfie intorno al corpo in fiamme.
Nella stessa serata
arrivano altri messaggi. Sono parenti e conoscenti dei due “sospetti”. Non sono
né attivisti politici di qualche movimento strano, né agenti dei servizi. Sono
semplici cittadini: un contadino, l’uomo con la vecchia Mercedes, e un artista,
pittore e cantautore, il giovane ucciso in piazza. Erano arrivati nella zona
per dare una mano. Erano volontari. Persone che avevano raccolto soldi e aiuti
alimentari. Il giovane artista aveva anche partecipato attivamente a spegnere
il fuoco in altri posti.
La loro unica colpa
era essere estranei che passavano in un momento di rabbia e di frustrazione, un
momento in cui era iniziata la caccia alle streghe. Ma dietro a questa caccia
una regia occulta c’era di sicuro.
Una nazione sotto choc
Il paese è sotto choc.
Non bastava la pandemia che miete vittime ogni giorno, non bastava il fuoco che
ha ridotto in cenere il cuore verde del paese, migliaia e migliaia di ettari di
boschi, villaggi distrutti, popolazioni sfollate…
Ora con questo atto di
follia collettiva, è l’ombra della guerra civile che si profila. Erano mesi che
veri o presunti nazionalisti arabi e separatisti cabili si affrontavano sui social
media, a colpi di insulti razzisti, minacce e di accuse varie.
I servizi del regime,
molto attivi sulla rete hanno costruito ad arte questa
piccola guerra mediatica. L’obiettivo è quello di dividere la
popolazione tra arabi e berberi per indebolire il Hirak, il primo movimento
nazionale di protesta che riunisce tutte le regioni del paese in uno stesso
slancio di cambiamento.
L’unità di tutta la
popolazione intorno agli stessi obiettivi dà fastidio a molti: disturba il
regime abituato a dividere per regnare, disturba i razzisti arabofoni che
vedono di cattivo occhio il ruolo di leader che la regione berberofona ha nella
protesta, disturba gli integralisti musulmani perché l’attivismo della Cabilia
mantiene la protesta su una linea modernista e laica, e disturba infine i
separatisti cabili che non accettano i discorsi di unità nazionale e di
fraternità tra tutti gli algerini, che allontanano (secondo loro) il giorno in
cui potranno finalmente governare questa porzioncina di territorio, piccola e
povera sì, ma tutta loro… almeno credono.
Poi la questione della
singolarità della Cabilia è sempre stata una questione sulla quale hanno
premuto gli avversari politici dell’Algeria: il Marocco in primis che la usa
come forma di ripicca politica contro il sostegno dell’Algeria al Fronte
Polisario. Poi Israele e le forze internazionali che seminano zizzania in tutta
l’area: monarchie del golfo, potenze occidentali, Turchia…
Difficile in questo
paniere di granchi individuare di chi è la chela che ti pizzica. Può essere
l’uno o l’altro, o più di uno insieme. Forse chi ha orchestrato questo crimine
immondo si scoprirà un giorno o forse andrà a finire nel fascicolo dei misteri
mai risolti della Storia. La cosa importante è che questa situazione ha messo
il paese in una profonda crisi.
Per fortuna, la
famiglia del ragazzo ucciso, si è comportata in modo magistrale, chiamando alla
calma e all’unità. Per ora le popolazioni sembrano aver capito il tentativo di
divisione e invece di fermarsi, lo slancio di solidarietà è aumentato.
Gli aiuti portano un
po’ di sollievo alle popolazioni stremate, ma tutto un popolo ha perso il sonno
scoprendo che in suo seno ci sono forze che pur di non perdere il potere
sul paese sono pronte ad incendiarlo tutto. E hanno già
iniziato il lavoro.
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