Il green pass (o passaporto vaccinale, per usare un termine meno fuorviante: https://volerelaluna.it/opinioni/2021/08/04/il-green-pass-quando-il-linguaggio-non-aiuta-a-capire/) è da oggi necessario – in forza del decreto legge n. 52/2021 convertito nella legge n. 87/2021 – per l’esercizio di molteplici attività (consumazione di cibi all’interno di ristoranti e bar, accesso a cinema, teatri, musei e mostre, partecipazione a concorsi pubblici e via seguitando) ed è stato esteso proprio in queste ore, sia pure con decorrenza differita, anche al personale di scuole e università, agli studenti universitari e per i trasporti a lunga percorrenza. La sua introduzione, seguendo il modello francese (unico nel panorama europeo), sta provocando dubbi, discussioni e proteste. Comunque non sarà indolore e vedrà il rifiuto e la contestazione non di alcuni sparuti no Vax ma di settori consistenti della società (calcolati da alcuni in diversi milioni di persone). Per di più essa ha già ampliato una spaccatura politica strumentale, foriera di ricadute imprevedibili nelle prossime elezioni (con una rappresentazione surreale in cui la destra eversiva invoca il rispetto della costituzione e delle libertà mentre quel che resta della sinistra si accoda acriticamente al Governo e declina slogan più che argomenti).
Naturalmente
si schierano all’unisono in favore del green pass gli
editorialisti dei grandi media ammonendo i dissenzienti con la solenne affermazione
che «la libertà non è arbitrio». Quel che resta in secondo piano è l’analisi
del rischio che in questo modo non si tuteli la salute della collettività
(addirittura abbandonando o riducendo altri necessari presìdi) e si deteriori
ulteriormente la situazione istituzionale (già in drammatica sofferenza tra
governi tecnici, irrigidimenti decisionisti, emarginazione del Parlamento,
strumenti normativi impropri, attribuzione di ruoli tipicamente civili a
militari che ci tengono a mostrarsi in tuta mimetica o in divisa e via
elencando).
Provo a
spiegare perché.
Primo. Non esiste nel nostro Paese un
obbligo generalizzato di sottoporsi a vaccinazione contro il Covid. Tale
obbligo è previsto solo, ai sensi dell’art. 4 decreto legge n. 44/2021,
convertito in legge n. 176/2021, per gli esercenti le professioni sanitarie e
gli operatori sanitari che svolgono la loro attività in strutture sanitarie,
sociosanitarie e socioassistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle
parafarmacie e negli studi professionali. Ci sono, nel dibattito politico,
proposte di questo genere ma, allo stato, non sembrano all’ordine del giorno.
Non per una impossibilità giuridica, ché l’articolo 32 Costituzione prevede la
possibilità, a determinate condizioni, di trattamenti sanitari imposti dalla
legge e nel nostro sistema già esistono ben 10 vaccinazioni obbligatorie (tra
cui quelle contro la poliomielite, il tetano, il morbillo, la rosolia e la
varicella) ma per due ragioni fondamentali. Anzitutto per il carattere
tuttora sperimentale (seppur con avanzato tracciamento) dei
vaccini contro il Covid, con l’ovvia conseguenza, affermata in numerose
sentenze della Corte costituzionale, che ove il vaccino possa comportare un
rischio per la salute della persona sottoposta a vaccinazione, quest’ultima non
può che essere rimessa alla scelta individuale. In secondo luogo per la
perdurante incertezza, dimostrata dalla stessa evoluzione della pandemia pur
dopo l’attuazione di piani vaccinali molto estesi, circa l’efficacia del
vaccino al fine di impedire la trasmissione del virus a terzi (condizione,
quest’ultima, necessaria, per l’introduzione dell’obbligo, la cui legittimità è
legata alla tutela della salute pubblica e non di quella di chi si sottopone al
vaccino). Correttamente dunque – per vincoli giuridici ma anche per evidenti
ragioni logiche – l’incremento delle vaccinazioni è, e deve continuare ad
essere, perseguito con l’informazione e la persuasione e non con obblighi.
Secondo. Nella strategia della persuasione
può rientrare l’introduzione di un passaporto vaccinale che, consentendo
l’accesso a determinati servizi e attività solo a chi ne è in possesso,
incentivi a vaccinarsi gli incerti o i riottosi? O esistono delle
controindicazioni all’uso di tale strumento? C’è, al riguardo, un punto di
principio ineludibile. Un lasciapassare il cui possesso amplia
la sfera dei diritti o delle opportunità e la cui mancanza restringe tale sfera
produce, di fatto, un doppio livello di cittadinanza, introducendo nel sistema
un virus pericoloso e ponendo un precedente suscettibile di
seguiti assai gravi. Ma, sostengono i pasdaran del passaporto
vaccinale, il rilievo è improprio perché, in questo caso, si è di fronte a una
diversità di trattamento determinata da una scelta dell’interessato e, per di
più, si tratta di una situazione già presente nell’ordinamento (posto che, per
esempio, solo chi ha conseguito la patente di guida può condurre dei veicoli)
senza che ciò determini contestazioni o scandali. L’obiezione è tanto
suggestiva quanto infondata. In primo luogo, in questo caso non si è in
presenza di una scelta tra due opzioni che stanno sullo stesso piano ma del
rifiuto di un trattamento sanitario invasivo e potenzialmente rischioso (ché
analoghi rilievi non sono emersi con riferimento a una scelta non invasiva come
l’uso della mascherina). Il secondo luogo, l’abilitazione alla guida (così come
quella all’esercizio di una professione) riguarda l’esistenza o la mancanza dei
requisiti tecnico-professionali per svolgere una specifica
attività e pone una differenza di trattamento solo con riferimento a quella
attività e non a una generalità (potenzialmente indeterminata) di situazioni.
Non è poca cosa. Né va trascurato il fatto che gli effetti a lungo termine
dell’erosione di un principio o di un diritto fondamentale, seppur inizialmente
limitata (e non è questo il caso…), sono imprevedibili. Ed è per questo che la
normativa europea (a cui pure la legislazione nazionale dovrebbe uniformarsi) è
drastica nell’escludere la possibilità di strumenti siffatti. Il punto 36 del
regolamento UE 953/2021 prevede, infatti, che «è necessario evitare la
discriminazione diretta o indiretta di persone che […] hanno scelto
di non essere vaccinate» e ad esso si affianca la risoluzione n. 2361/2021
del Consiglio d’Europa, che, nei punti 7.3.1 e 7.3.2, prescrive di «assicurare
che i cittadini siano informati che la vaccinazione non è obbligatoria e che
nessuno è politicamente, socialmente o altrimenti sottoposto a pressioni per
farsi vaccinare» (punto 7.3.1) e di «garantire che nessuno sia
discriminato per non essere stato vaccinato o per non voler essere vaccinato» (punto
7.3.2).
Terzo. Ma c’è chi, considerando i vincoli
giuridici alla stregua di semplici lacci e lacciuoli, invoca, per
mali estremi (il Covid, nel caso specifico), estremi rimedi e considera chi si
oppone alla vaccinazione obbligatoria o al green pass una
massa indistinta di mestatori politici o di soggetti che confondono la libertà
con il personale ed egoistico interesse (schiavi della incultura individualista
che permea le società contemporanee). È una visione parziale e ingenerosa. C’è,
soprattutto nell’area più radicale dei no Vax, una componente siffatta, ma c’è
anche molto altro. E ci sono, soprattutto, molte ragioni che inducono,
quantomeno, a dubitare della validità della soluzione adottata. In
sintesi: a) lo Stato ha certamente il diritto-dovere di
imporre ai cittadini obblighi e sacrifici nell’interesse generale, ma deve
trattarsi di obblighi e sacrifici ragionevoli e proporzionati, mentre nel caso
specifico sono tuttora in discussione sia le potenziali conseguenze negative a
lungo termine del vaccino sui singoli (o su alcune categorie di soggetti) sia
gli effettivi benefici (maggiori di quelli di altre misure) per la collettività
; b) introdurre delle rotture del sistema dei
diritti e della eguaglianza dei cittadini di questa entità richiederebbe,
quantomeno, un confronto ampio e articolato nel Paese e nel Parlamento e l’uso
dello strumento fondamentale della legge, mentre ancora una volta, il Governo
ricorre alla decretazione di urgenza (quando la pandemia perdura ormai da un
anno e mezzo) così marginalizzando ulteriormente il Parlamento; c) è
quantomeno dubbio che il green pass e gli obblighi e i limiti
ad esso connessi siano più efficaci degli strumenti classici (uso di
mascherine, distanziamenti, limitazioni generalizzati di ingressi in locali per
evitare assembramenti etc.) opportunamente rimodulati; d) il green
pass e i relativi obblighi e divieti sono spesso irrazionali o
contraddittori: nella stessa comunità alcuni soggetti sono tenuti al passaporto
vaccinale e altri no (si pensi alla scuola o ai trasporti) e luoghi simili ai
fini della diffusione del contagio (come le chiese e i musei) sono trattati in
modo diverso; e) a tali profili di irrazionalità del sistema
si aggiunge un inevitabile basso livello di effettività, essendo il suo
funzionamento in gran parte demandato a privati con modalità e limiti poco
chiari e indeterminati; f) il problema principale, nella
campagna vaccinale, è attualmente quello della mancanza dei vaccini sufficienti
per chi vuole sottoporvisi: non sarebbe più razionale completare la
vaccinazione di chi lo vuole e fare, all’esito, una valutazione della
situazione? Si potrebbe continuare a lungo ma tanto basta a dimostrare che il
sistema proposto non è certo esente da dubbi e che addirittura rischia di
costituire un alibi per la mancata adozione o il mancato potenziamento di altri
presìdi necessari.
Una
conclusione. Potenziare
la campagna vaccinale è importante: allo stato non è certa nei suoi effetti, ma
i suoi vantaggi sono ampiamente superiori ai rischi connessi. Ma non è
indifferente il modo in cui lo si fa. È vero che la libertà non deve sfociare
in arbitrio e in egoismo individuale ma è altrettanto vero che le istituzioni e
i poteri pubblici devono operare con razionalità, lungimiranza e nel rispetto
delle regole. Soprattutto nei momenti difficili, quando è necessario stabilire
un patto con i cittadini e non alimentare contrapposizioni,
conflitti e disgregazione sociale.
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