Dall’inizio della pandemia non ho mai scritto su blog, né uso i social, né ero dell’idea che fosse utile l’allarmismo dell’emergenza securitaria iniziale quando non si sapeva cosa stava realmente accadendo. Sono una scienziata sociale, non un medico, quindi mi sono attenuta a ciò che so fare: osservare, non esprimere parole avventate, ma continuare a osservare e scrivere. E però ora, dopo 16 mesi dall’inizio di questa pandemia (non sono due anni, mi dispiace, ma solo 16 mesi. e la deformazione della percezione del tempo che noto attorno a me è un primo elemento che trovo allarmante), dopo 16 mesi dall’inizio della pandemia, ecco che ora sono preoccupata.
Sono preoccupata del silenzio, della
totale assenza di dibattito, della mancanza totale di spazi di discussione cui
ci siamo abituati e di cui non sembra vediamo più gli effetti deleteri. Sono
preoccupata dell’amnesia totale che vedo attorno a me: non ci ricordiamo più
cosa dicevamo solo 12 mesi fa, quando da tante e tante parti leggevo non vogliamo tornare a quello che c’era prima, perché quello che
c’era prima era il problema. Sembra che non riusciamo a imparare
dalla storia, e che non siamo in grado di vedere la differenza che c’è, oggi
come nel 1969, nel 1980 o nel 2001, fra incidente e strage, tra incidente
accidentale, e concorso in strage.
Certo, c’è un virus e questo non fa bene a nessuno e non va sottovalutato. Ma
come dimenticare che il grosso numero di morti non lo ha provocato il virus da
solo, bensì la gestione folle che già 16 mesi fa metteva l’economia davanti
alla salute pubblica? Come dimenticare la Val Seriana e la Val Brembana nel
bergamasco, sacrificate per il PIL della Lombardia che non doveva fermarsi?
Come non vedere la differenza di responsabilità tra l’incidente (accidentale o
meno che sia) del virus, e la strage provocata dei morti sul lavoro, o nelle
RSA (Confindustria e Oms e governi vari tutti responsabili)?
I punti sono tanti, che non avendo più
voluto/potuto discutere, andiamo perdendo. Proverò a nominarne alcuni (senza
pretese di esaustività):
– La paura è al centro di tutte le
reazioni e discorsi sul Covid, e l’incapacità di parlare e fare i conti con la
paura (e con la morte, che è parte della vita e non sua eccezione) è certamente
il punto Uno.
– Porre la questione in termini di vaccino
si/no è porre malissimo la questione. La hubris umana ha
un limite. Benissimo che i vaccini proteggano e tutelino al massimo le persone
più fragili ed esposte agli effetti nefasti del Covid. Altra cosa è credere che
il vaccino possa sconfiggere una pandemia che è globale, in cui i vaccini
stanno toccando una porzione infinitesimale della popolazione globale, mentre
corpi e soprattutto merci continuano a circolare e con essi i batteri, i virus
e le varianti incrociate.
– Credo che un punto importante sia accettare che non siamo in una POST-pandemia,
ahimè, ma che ci siamo ancora dentro fino al collo. La pandemia c’è e ci sarà
ancora, fino a che la sua curva non raggiungerà il livello alto per poi
scemare. Una pandemia globale ha dei tempi che sono al di sopra della hubris umana e della umana volontà di dominio su
tutto il mondo che ci circonda.
– Il greenpass è uno strumento di
controllo sociale, ieri il Ministro Speranza ha dichiarato che “Il green pass è
la più grande opera di digitalizzazione mai fatta” (qui): dunque il punto è la
digitalizzazione e il controllo a tappeto di tutte le azioni quotidiane, non la
salute pubblica. Equiparare controllo e salute è davvero un binomio difficile
da digerire. Il greenpass è un nuovo confine che stiamo vedendo erigere attorno
a noi: non più alle frontiere degli Stati nazionali, ma alle frontiere dei
nostri corpi. Si tratta sempre di mura, di confini che determineranno chi ha o
meno dei privilegi. Ma in tante e tanti non urlavamo: La carta è solo carta la carta brucerà? Dov’è
finita quella solidarietà verso i sans-papier e le persone che non possono e
non potranno comunque accedere a questo pass? (e qui non è solo questione di
procedure, si chiama paura anche quella).
– Il greenpass viene rilasciato dopo 1
sola dose di vaccino, che è ormai risaputo NON coprire né tutelare la persona
dagli effetti nefasti del virus. Dunque nuovamente mi pare che lo Stato si
voglia deresponsabilizzare per fare andare avanti l’economia senza dovere più
provvedere a “ristori”. Ma dov’è la tutela della salute? Infine: il greenpass
non è richiesto per entrare in Chiesa. Andare a Messa ancora una volta si
rivela un assembramento consentito e tollerato beffando ulteriormente scuole,
teatri e gli altri luoghi di socialità e cultura.
E alcune domande:
– Quanti soldi sono stati stanziati per
implementare il sistema pubblico sanitario in Italia e in Europa in questi
mesi? Perché pensiamo che la soluzione alla pandemia sia un vaccino e un nuovo
passaporto digitale, invece che risorse a strutture, cultura della salute, del
cibo, importanza dello sport e un attenuazione degli stress e della paura che
sono invece fortissimi inibitori del sistema immunitario?
– Quale è l’intervento di salute pubblica
che giustifica l’ipotesi di obbligo vaccinale per i giovani? Questo punto mi fa
talmente male che non riesco neanche a commentarlo, ma è di una gravità
immonda, e che non ci siano discorsi seri che prendano in conto i rischi che
non conosciamo degli effetti negli anni di questo vaccino nei giovani (perché
non c’è stato il tempo tecnico necessario) è l’ennesima testimonianza che
viviamo in una violenta gerontocrazia patriarcale.
– Cosa ha provocato l’emergere del Covid?
E cosa ha trasformato un virus in una pandemia globale? Come mai non si parla
degli allevamenti industriali, dei combustibili fossili, delle centrali
nucleari, e di tutte quelle miriadi di cose che producono e quotidianamente
fabbricano le condizioni perché si sviluppino questo o altri virus?
– Infine: come possiamo illuderci che un
vaccino risolva la pandemia (o tanto più un documento di controllo digitale),
se non affrontiamo in nessun modo le cause strutturali che l’hanno provocata?
Sono cresciuta in un contesto in cui la
cultura non erano nozioni da ingerire attraverso uno schermo, ma un quotidiano
allenamento al pensiero critico, alla riflessione, all’osservazione e
all’utilizzo del cervello che sento di avere sotto la corteccia cerebrale.
Sono caduta nello sconforto quando vedevo
persone accorrere in fila allo spriz appena riapriva il bar, tanto quanto ora
pensare che il vaccino “è l’unica soluzione che abbiamo”. Tanto più trovo
razionalmente infondata ogni equiparazione tra vaccino e greenpass. Difenderò
sempre l’importanza dei vaccini per difendere le persone a rischio e limitare
la circolazione del virus. Ma nessuno può farmi credere che il vaccino a meno
dell’1% della popolazione mondiale possa arginare un virus che la mal-gestione
delle istituzioni che ci governano ha trasformato in pandemia. Mi rifiuto di
dimenticare le responsabilità politiche che hanno portato alla strage del
bergamasco e su cui- tra l’altro, per inciso- non si vuole indagare, nonostante
le richieste dei familiari delle vittime.
Mi rifiuto di smettere di utilizzare il
mio cervello, perché il fatto che funzioni me ne lascia una responsabilità
enorme. Mi rifiuto di pensare che fare una passeggiata con o senza cane possa
fare male a qualcuno, che stare chiusa in casa faccia bene alla salute (mentre
le fabbriche erano sempre piene), che oggi mangiare al ristorante o bere il
caffè senza essersi potuti vaccinare equivalga ad attentare alla salute
pubblica. C’è una bella differenza tra egoismo neoliberale che vuole solo fare
crescere il PIL o tornare a una brutta copia di quel che era prima, e un
singolo corpo che cammina e respira. Le stragi le fanno i padroni, e come tanti
anni fa, ancora adesso spesso si fanno aiutare dai fascisti per ottenere il
risultato che vogliono.
Non smettiamo di usare la testa, non
smettiamo di essere solidali, non smettiamo di cercare e condannare le responsabilità
strutturali che hanno condotto al punto in cui ci troviamo.
Infine: impariamo ad ammettere che abbiamo
paura, anzi che siamo terrorizzati pure. Che la morte ci spaventa, che la
malattia ci fa paura. Non è un male avere paura, è parte della vita la morte,
come è parte dell’amore la paura della sua fine. Eppure, impariamo a
conviverci, perché l’amore è più forte.
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