Esaminiamo ciò che
sappiamo: un singolo branco di orchi ha osato attraversare il Bruinen; una daga
di un’era passata è stata trovata; e uno stregone umano, che si fa chiamare
Negromante, ha preso residenza in una fortezza in rovina. Non è granché,
dopotutto.
Così, in una scena de Lo Hobbit, lo stregone Saruman il Bianco
minimizza gli indizi del ritorno del Male, che Gandalf il Grigio gli ha
riferito. Ma il Male era tornato davvero, e lo stesso Saruman si sarebbe
alleato con lui. Per salvare la Terra di Mezzo furono necessari (a quanto
afferma chi ha scrutinato a questo scopo i complessivi 532 minuti de Il
signore degli Anelli) 222.970 morti[1].
Anche sul mondo della scuola, e in particolare sulla scuola superiore, i
segnali premonitori del Male si vanno da qualche tempo addensando. Il rapporto
finale del comitato di esperti istituito dal precedente governo col D. M. 21
aprile 2020 (su diciotto membri, un solo insegnante di scuola[2])
auspica ideologicamente e con piglio quasi futurista “il superamento dei
paradigmi didattici ereditati dal passato”[3],
la ridefinizione del docente come esperto digitale e gestionale[4],
per il quale quelle disciplinari siano solo una tra le undici competenze
necessarie[5],
il ripensamento atomistico e individualistico dei curricoli[6];
persino, d’emblée, l’abbreviamento di un anno del curricolo degli
studi superiori[7].
Un economista, Patrizio Bianchi, già presidente di quel comitato, viene
nominato dal nuovo governo ministro dell’istruzione, dell’università e della
ricerca, e appena insediato, in piena emergenza pandemica, annuncia un anno
costituente per la scuola[8].
Un italianista di chiara fama già consulente del ministero per l’esame di
stato, Luca Serianni, suggerisce, forse per celebrare il settecentesimo
dell’Alighieri, di abbandonare alle scuole superiori la lettura di canti interi
della Divina Commedia limitandosi a frammenti[9].
Giovanni Biondi, presidente dell’Istituto Nazionale di Documentazione per
l’Innovazione e la Ricerca Educativa (Indire), va proponendo con verve dadaista
una “didattica collaborativa online” per tutte le discipline[10],
nuove forme di insegnamento basate su taumaturgici “oggetti” disponibili in
rete[11],
il superamento del concetto di ora di lezione[12]:
idee che allo scrittore Alessandro Baricco, fondatore della Scuola Holden,
sembrano “fantastiche”[13].
Viene avviato l’inutile e discriminatorio Curriculum dello studente,
previsto dalla sedicente “Buona Scuola” di Matteo Renzi, presentato
pomposamente come “un documento di riferimento fondamentale per l’esame di
Stato e per l’orientamento dello studente” sebbene sia evidente che non deve
essere la prima cosa e che non può essere la seconda[14].
Da ultimo, il ministro Bianchi dichiara che l’emergenziale pseudo-esame di
Stato di questi due anni di pandemia, privo di prove scritte, potrebbe essere
confermato nei prossimi anni, in quanto esso sarebbe “una maturità che prepara
all’università, al lavoro e ad altre possibilità di crescita” che avrebbe già
ricevuto “riscontri positivi dai ragazzi”[15]:
stupefacente profezia e dichiarazione di fede, che ricorda molto quelle buffe
recensioni a cinque stelle presenti su Amazon, del tipo
“Prodotto eccezionale. Arrivato stamattina un giorno prima del previsto, non
vedo l’ora di aprire il pacco e di provarlo!”.
Non ci vuole, se non si è stolti o in mala fede come Saruman il Bianco, una
sagacia particolare per comprendere a che cosa si mira, che cosa è in arrivo:
la fine della scuola pubblica – e degli indirizzi liceali in particolare – per
come la conosciamo. La fine cioè di una scuola basata sui saperi storicamente
costituiti e imperniata sulla figura del magister, e l’avvento di
una scuola basata sulle competenze ritenute di volta in volta
utili dal ministro di turno e imperniata sulle tecniche di
volta in volta ritenute efficaci, dagli psicopedagogisti di turno, per produrre
quelle competenze; una scuola nella quale il docente, al di là degli elenchi
sempre crescenti delle sue attribuzioni e requisiti e funzioni, assuma un ruolo
marginale; una scuola, in definitiva, che abbandona l’humanitas per
sposare quella che Giuseppe Ungaretti, nel 1961, definiva “l’orrenda
meccanizzazione”.
Non si tratta di un progetto consapevole e maligno di attacco alla scuola
pubblica, mosso dalla volontà di favorire l’istruzione privata, come un tempo
si sosteneva, o di asservire i cittadini al potere tramite la loro perdurante
ignoranza e immaturità, come spesso si sente dire oggi: meglio sarebbe, se così
fosse, giacché il Male sarebbe più facilmente identificabile e circoscrivibile,
giacché i buoni si sentirebbero più stimolati alla lotta. No: si tratta
piuttosto di una tendenza di fondo, di un movimento tettonico alle volte
impercettibile, alle volte saliente, che ormai da una quindicina d’anni spinge
confusamente ma inesorabilmente a un rinnovamento della scuola
per adeguarla, così si dice, alle esigenze della contemporaneità; un movimento
promosso, nel mondo afferente alla scuola e in quello ulteriore, da persone
che, mettendo le mani con superficialità e improvvisazione nella più importante
istituzione civile della società, etichettano pregiudizialmente tutto ciò che
esiste come antiquato e negativo, mentre qualsiasi novità, anche la più
insignificante, sciocca e bislacca, viene da loro presentata come buona, come
risolutiva. E dato che le esigenze della contemporaneità vengono avvertite, da
queste persone e dal mainstream corrente, come eminentemente
tecniche ed economiche, in sostanza la pressione di questo movimento vuole
allontanare la scuola dall’humanitas proprio per avvicinarla alla
tecnica e all’economia; e ad un’economia meccanicisticamente intesa, dove uno
più uno fa due, dove ogni cosa si fa per ottenerne un’altra prevedibile e
prevista, dove ciò che conta, letteralmente, è solo ciò che si può contare,
misurare, quantificare. Poco vale, e non deve illudere, che i medesimi
riformatori parlino anche della scuola dell’inclusività, della scuola “che non
lascia indietro nessuno”: perché sarà una inclusività che include nella
superficialità, include nell’aria fritta, nel nulla, una inclusività di tutti
che esclude tutti dall’intelligenza e dalla cultura. E anche la vera e propria
ossessione per il recupero, che ormai infesta le scuole superiori senza
risultati apparenti se non un inutile aggravio di lavoro per studenti e
docenti, solo in superficie è espressione di humanitas, ma in
realtà è viziata dallo stesso atteggiamento tecnicista ed economicista di
fondo: se lo studente ha una “lacuna”, fa un “corso”, e la scuola “certifica”
che ha recuperato quella lacuna. Nulla importa se la “lacuna” consisteva, come
in genere accade, in una complessiva e radicata debolezza in discipline un
tantino complesse come l’italiano, la matematica, il latino, il “corso” in
quattro incontri online di 45 minuti l’uno in una classe mista… fai il
corsettino, e via, hai recuperato, sei rientrato nello schema. Per ogni aspetto
e problema didattico ci sarà la soluzione tecnica, il protocollo da seguire,
che chiunque potrà applicare come chiunque può riscaldare in microonde un
piatto precotto: e gli stessi che l’avranno applicato certificheranno che ha
funzionato.
Il processo di organizzazione economicista della scuola è ormai in uno
stadio avanzato, e penetra senza incontrare quella resistenza che, alcuni anni
fa, probabilmente ci sarebbe stata. Molti possono essere i motivi di ciò, ma a
mio avviso uno è più pernicioso degli altri: la singolarissima sinergia, che si
è creata, tra l’organizzar tecnico-economicistico e un’altra tendenza di fondo,
di segno diverso e in apparenza persino opposto, che si era messa in movimento
ancor prima. Sto parlando della infantilizzazione della scuola, in tutti i suoi
ordini e gradi: un fenomeno storico che meriterebbe di essere indagato. I
risultati di questo secondo processo sono più visibili alle scuole superiori
solo perché lì vengono a galla anche gli effetti, che negli anni precedenti, si
possono in parte mascherare. Oramai i vecchi libri di testo delle scuole
elementari andrebbero bene nelle attuali medie, i vecchi libri delle medie alle
superiori, i vecchi libri delle superiori all’università. Le nuove edizioni
sfrondano, semplificano e banalizzano i testi, sommergendoli con una serie di
‘ausili alla comprensione’, di ‘strumenti’ e di ‘laboratori’ spesso francamente
imbarazzanti, che postulano un alunno sprovveduto, a volte senz’altro ebete, e
un docente poco più avvertito di lui. I bambini delle elementari fino in quinta
“colorano” nei compiti per casa, e svolgono esercizi di comprensione del tipo:
“Hai letto il racconto Giuseppe e il girino magico. Il protagonista
è un ragazzo di nome Giuseppe, una rana o un mago?” Studenti delle medie
possono continuare a scrivere stringendo la penna nel pugno come un punteruolo,
senza accenti né apostrofi, per tre anni, e alla fine vengono licenziati con un
dieci. Matricole del liceo classico non riescono a stare ferme sulla sedia per
un’ora, a seguire un discorso che duri più di dieci parole, ad esprimere un
pensiero comprensibile. Le tracce dei temi che furono assegnate all’esame di
maturità di chi è oggi docente (tracce di cinque-sei righe che richiedevano
davvero conoscenze e, quelle sì, notevoli competenze e capacità per essere
svolte) sovrastano di una spanna le lenzuolate propinate ai maturandi di oggi
(di ieri, nelle intenzioni del ministro Bianchi), nelle quali una risposta si
può già raffazzonare ricomponendo i materiali e le domandine di comprensione[16].
E la “tesina”, negazione del concetto stesso di esame ipocritamente presentata
come un modo più maturo ed evoluto di sostenerlo? E gli “obiettivi minimi”
(minimi: così vengono chiamati, e ormai sembra normale a tutti!) che devono
essere analiticamente indicati nelle programmazioni? Al liceo negli ultimi
quindici anni è stata come una cascata, soprattutto in italiano. Molti docenti
si sono rassegnati e infine arresi, date le condizioni sempre peggiori dei
nuovi iscritti, spesso ancora da alfabetizzare: l’asticella, come si dice, è
stata abbassata, sempre di più, e quando non si è potuta abbassare ancora si è
scavato. Finché la marea ha sommerso anche l’università, che certamente si sarà
adeguata la sua parte. E si è quindi arrivati – non tutti i docenti e i
dirigenti, certo, ma parecchi sì – a bamboleggiare: perché
all’infantilizzazione non c’è fine, è un processo che alimenta se stesso e
tende a demonizzare, tagliare ed eradicare tutto ciò che non vi corrisponde.
Chi semplicemente continua a insegnare come sa, e sopratutto come l’indirizzo
di studio prevede, rischia di essere stigmatizzato come “il duro”, “il
cattivo”, quello che “non pensa al bene dei ragazzi”.
Il bene dei ragazzi. I quali, in capo a una quindicina d’anni, si
ritroveranno con in tasca curricola e portfoli e attestati e
certificazioni inutili e ridicoli, che saranno dimenticati persino da coloro
che oggi organizzano la Scuola del Futuro introducendoli e promuovendoli come
fondamentali; e verranno accusati di essere degli adulti bamboccioni anche da
coloro che li hanno fatti bamboleggiare nel periodo più cruciale della loro maturazione
intellettiva e culturale. Organizzatori e bamboleggiatori vanno a braccetto,
forse senza saperlo: perché entrambi negano l’essenza di una scuola seria,
quella basata sui saperi storicamente costituiti e imperniata sulla figura del
docente, quella che si pone l’educazione, l’istruzione e la maturazione degli
studenti al massimo livello possibile come fine del proprio
operato: cosciente che il Tempo, il Lavoro, l’Impegno, la Difficoltà non sono
nemici da combattere e contenere, ma i più preziosi alleati che ha.
[1] Https://tg24.sky.it/spettacolo/cinema/2015/08/17/signore-degli-anelli-video-tutte-le-morti-trilogia.
[2] Lorella Carimali, docente presso il Liceo
scientifico statale “Vittorio Veneto” di Milano.
[3] Rapporto finale 13 luglio 2020 (https://www.miur.gov.it/documents/20182/0/RAPPORTO+FINALE+13+LUGLIO+2020.pdf/c8c85269-3d1f-9599-141c-298aa0e38338?version=1.0&t=1613234480541),
p. 5: “Si devono assicurare, innanzitutto, le basi culturali e disciplinari,
pedagogico-didattiche, psicologiche e gestionali necessarie al superamento
proprio dei paradigmi didattici e degli schemi organizzativi ereditati dal
passato.”. Si noti come l’assunto che i paradigmi didattici “ereditati dal
passato” debbano necessariamente essere superati condizioni, a ritroso, le
stesse “basi culturali e disciplinari” alle quali, al contrario, i paradigmi
didattici dovrebbero adattarsi ed essere funzionali.
[4] Rapporto, cit., p. 48: “Anche il lavoro
del “docente d’aula” sta cambiando […] Questo scenario “in movimento” richiede
insegnanti capaci di gestire un ambiente di apprendimento al di là della
cattedra, perché il lavoro a scuola non è più rappresentato solo dall’orario
frontale di lezione, ma dall’interazione con gli allievi sul web, dalla
preparazione di materiali didattici digitali, dall’apprendimento outdoor, dal
tutoraggio individuale, dalla gestione di relazioni sociali complesse”. Non
sfugga la reductio concettuale da docente tout-court,
com’è stato finora concepito, a “docente d’aula”, di “cattedra”, dove aula e
cattedra vengono connotate negativamente come anguste, limitanti, in
contrapposizione ad ambiente, web, outdoor.
[5] Rapporto, cit., pp. 39-40, dove la
competenza “culturale e disciplinare”, rapidamente menzionata, si perde in un
elenco di competenze “storico-pedagogiche, pedagogiche, psicologiche,
metodologico-didattiche, digitali, valutative e autovalutative, organizzative,
relazionali, di ricerca e di documentazione, riflessive”. Peraltro questa
conoscenza culturale e disciplinare viene precisata come “basata sulla
conoscenza e sulla padronanza della struttura epistemologica della/e
disciplina/e di insegnamento e degli sviluppi della ricerca, con attenzione
alle Indicazioni nazionali e alle Raccomandazioni
europee”: ovvero come parzialmente eterodiretta da scelte politiche
contingenti e non intimamente scaturita dal costituirsi storico della
disciplina stessa.
[6] Rapporto, cit., p. 20: “superare lo
schematismo degli orari, che lasci spazio ad attività personalizzate nei
confronti di ciascun allievo in una logica di raccordo con attività sul
territorio”. Si notino la gratuità del peggiorativo “schematismo” applicato al
concetto di “orario” e la perfetta aproblematicità dell’assunto “personalizzate
nei confronti di ciascun allievo”, pur così totalitario e destrutturante della
scuola come finora intesa, nella quale sono sempre esistite le materie e le
classi.
[7] Rapporto, cit., p. 20: “Si segnala infine
il tema, presentato con forza dal Documento proposto dalla Commissione
Nazionale Unesco, riguardante la durata complessiva degli studi a confronto con
quanto proposto in altri Paesi, in cui i ragazzi possono entrare nel mercato
del lavoro con almeno un anno di anticipo rispetto ai ragazzi italiani”. Si
noti il finalismo “entrare nel mercato del lavoro”. Tutti gli insegnanti delle
scuole superiori sanno che i cinque anni attuali sono appena sufficienti,
spesso non sufficienti, a completare un organico corso di studi.
[8] Https://www.miur.gov.it/web/guest/-/scuola-il-ministro-patrizio-bianchi-lancia-il-patto-per-l-istruzione-e-la-formazione-:
“Abbiamo di fronte un obbligo: fare in modo che la scuola torni ad essere il centro
del Paese, un centro dinamico, un motore di sviluppo per uscire dalla pandemia,
ma anche dalla stagnazione. Abbiamo di fronte un anno costituente”. Parole in
libertà (la scuola “motore di sviluppo per uscire dalla pandemia”?), parole di
potenziale asservimento (la scuola “per uscire dalla stagnazione” economica).
[9] Intervista a Repubblica del
22/3/2021, https://www.repubblica.it/cronaca/2021/03/22/news/dantedi_i_consigli_per_non_far_odiare_dante_ai_piu_piccoli-293385032:
“Per alcuni indirizzi di liceo o per i tecnici e professionali bisogna
rinunciare alla lettura per intero dei singoli canti”.
[10] Intervista a
Repubblica del 15/3/2021,
https://firenze.repubblica.it/cronaca/2021/03/15/news/didattica_a_distanza_scuola_giovanni_biondi_indire_didacta-292385557:
“L’insegnante potrebbe dividere i ragazzi in gruppi, chiedere loro di andare a
cercare in rete le poesie [di Ugo Foscolo] e di costruire una griglia di
interpretazione per ciascuna. Poi, con la classe nuovamente riunita, si
potrebbero confrontare le scelte dei diversi gruppi e persino costruire
un’antologia fatta dai ragazzi. In questo modo diventerebbero protagonisti del
proprio percorso di apprendimento. Schema che si può ovviamente ripetere sulle
materie scientifiche, per le quali esistono in rete miriadi di filmati,
dimostrazioni ed esperimenti”. Dopo “dividere i ragazzi in gruppo”, tutto è
infantile e tutto grida vendetta.
[11] https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2021/03/03/news/le_scuole_aperte_per_tutta_l_estate_ma_le_lezioni_finiranno_a_giugno-290198390/:
“Come Indire abbiamo 400 oggetti realizzati dagli enti di ricerca italiani e
subito spendibili per nuove forme di insegnamento. Basta andare a prenderli”.
Gli “oggetti” (probabilmente il nome vuole suggerire concretezza, efficienza,
modernità) non sono altro che brevi filmati caricati su Youtube.
[12] “Anziché
frammentare la mattinata in cinque ore con cinque materie diverse, potrebbe
essere più efficace compattare la lezione concentrandosi sulla stessa
disciplina. Dedicare ad esempio il lunedì alla matematica, il martedì alla
storia, e così via, impostando un più incisivo lavoro di costruzione e
collaborazione con i ragazzi”. Come tutti gli insegnanti sanno, l’apprendimento
necessità di frequenza, ricorsività e regolarità. Una simile idea può venire in
mente solo a una persona che non abbia mai insegnato.
[13] “La cosa che a
me costerna di più è che le idee per insegnare meglio sono tutte in circolo.
Per esempio se vai all’istituto Indire, un pezzo del mondo scuola che si occupa
del futuro, lì dentro trovi idee fantastiche. Quello di fatto è la cabina di
comando, ma neppure loro riescono a cambiare la scuola” […] poi servono
segmenti didattici più corti, non l’esame dopo tre anni o la pagella ogni
quattro mesi: dovremmo fare come nei videogiochi, percorsi in cui vedi la fine,
salendo di livello in livello”. Si è visto, nei corsi universitari
post-riforma, quali vantaggi abbiano portato i “segmenti didattici più corti” e
i microesami che si preparano in tre giorni.
[14] Https://www.roars.it/online/il-curriculum-dello-studente-un-altro-vestito-nuovo-dellimperatore/.
[15] Http://www.flcgil.it/rassegna-stampa/nazionale/maturita-2021-bianchi-anche-per-i-prossimi-anni-potremmo-fare-l-esame-soltanto-orale.flc.
[16] Per una raccolta
delle tracce dal 1950 cfr. https://www.baldinicastoldi.it/public/uploads/2017/06/TEMI.pdf.
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