Contesto
È in corso la demonizzazione di Durban, un’insidiosa campagna per
demonizzare il patrocinio ONU dell’iniziativa anti-razzista di tenere una
conferenza di un giorno alla sede ONU il 22 settembre 2021 come continuazione
di quello che si è reso noto come il ‘Procedimento di Durban’, che identifica
lo sforzo ventennale di attuare la Dichiarazione di Durban e il complementare
Programma d’Azione adottato alla “Conferenza
mondiale su Razzismo, Discriminazione Razziale, Xenofobia e Intolleranza
correlata – DURBAN” tenuta a Durban, SudAfrica, 20
anni fa.
La Conferenza di Durban fu controversa già prima dell’arrivo dei delegati.
Fu preannunciata come un forum al quale sarebbero stati ritratti e condannati
Israele, il colonialismo, l’eredità della schiavitù, e la vittimizzazione di
etnie vulnerabili. Era formalmente sotto l’egida del Consiglio ONU per i
Diritti Umani, il cui Alto Commissario, Mary Robinson, fu pressata
dall’Occidente affinché cancellasse l’evento. Lei rifiutò, e invece di venire
elogiata per la sua indipendenza, questa ex-presidente dell’Irlanda dagli alti
principi, fu privata del sostegno di Washington per la rinomina a un secondo
mandato da Alto Commissario. Israele e gli Stati Uniti si ritirarono dalla
conferenza e boicottarono avvenimenti minori conseguenti nel 2009 e 2011, il
che spiega perché il raduno imminente sia chiamato Durban IV.
Alla conferenza del 2001, offuscata dagli attentati dell’11 settembre agli
Stati Uniti giusto pochi giorni dopo la sua chiusura a Durban, ci
furono molti discorsi di rappresentanti di vari governi, fra cui parecchi che
criticarono Israele per le sue politiche e pratiche razziste contro i
palestinesi, comprendendovi l’accusa che il sionismo fosse una forma di
razzismo, come già asserito in precedenza nella Risoluzione dell’Assemblea
Generale ONU – GA Res. 3379 (approvata con un voto di 72 contro 35 con 32
astensioni, A/RES/3379,
10 Nov 1975; revocata nel 1991 senza spiegazione nella GA Res.
46/96).
In aggiunta alla Conferenza intergovernativa di Durban ci fu un Forum di
ONG parallelo con la stessa agenda in cui ci furono dichiarazioni e discorsi
incendiari. Eppure il tema ispiratore prevalente era fornito dal successo nella
lotta all’ apartheid in SudAfrica che legittimava sia l’evento stesso sia la
necessità del momento di trattare l’ agenda antirazzista inconclusa da tempo.
L’esito a Durban
I principali risultati formali della Conferenza di Durban furono due testi
significative e completi noti come la Dichiarazione di Durban e il Programma
d’Azione di Durban. Il Procedimento di Durban successive al 2001 si è occupato
più o meno esclusivamente dell’attuazione di questi due documenti formali ONU,
ritratti ad ampio spettro di tutta una gamma di torti derivanti dal
maltrattamento di varie categorie di persone vulnerabili al rigetto violento
dell’applicazione della legge sui diritti umani e mediante vari mezzi
comprensivi di istruzione e attivismo della società civile, di ONG, e perfino
del settore privato.
Non esiste assolutamente alcuna base per lamentare la presa di mira critica
apposita di Israele o che clausole dei documenti della conferenza possano
essere onestamente letti come antisemitici o addirittura come anti-israeliani,
eppure si sta svolgendo senza sosta appunto una tale campagna, come mostrato
qui di seguito, per screditare tutto ciò che rappresenta Durban, quasi solo per
la sua presunta partigianeria estrema contro Israele.
Una lettura equa di entrambi i documenti concluderebbe anzi che a Israele
sia stata risparmiata una critica giustificabile, molto probabilmente a causa
di pressioni esercitate sia sull’ONU sia sui media prima e durante la
conferenza. Guardando i testi ne traiamo l’impressione che le sensibilità
israeliane siano state capite e rispettate. Apartheid e genocidio vi erano
condannati in termini generali, ma senza alcun riferimento negativo a Israele,
e di fatto includendo Israele in modo che avrebbe dovuto essere ben accolto: al
paragrafo 58 della Dichiarazione troviamo: “.. teniamo presente che l’Olocausto
non dev’essere mai dimenticato”; e il paragrafo 61 prende nota con “profonda
preoccupazione l’aumento di antisemitismo e islamofobia in varie parti del
mondo, nonché l’emergere di violenti movimenti etnici basati sul razzismo e
idee discriminatorie contro le comunità ebraiche, musulmane, arabe”. Sembra
proprio perverso screditare la Dichiarazione di Durban come una diatriba contro
gli ebrei.
Fra i 122 paragrafi della Dichiarazione la situazione Israele/Palestina è
menzionata solo al § 63, e in un modo neutrale che pare trascurare la
vittimizzazione deliberata dei palestinesi – eccolo: “Siamo preoccupati per le
cattive condizioni del popolo palestinese sotto occupazione straniera.
Riconosciamo il diritto inalienabile del popolo palestinese
all’autodeterminazione e all’istituzione di uno stato indipendente e
riconosciamo il diritto alla sicurezza per tutti gli stati della regione,
compreso Israele, e chiediamo a tutti gli stati di sostenere il processo di
pace e portarlo presto a conclusione”. Che ci può mai essere di offensive anche
per il più ardente sostenitore israeliano in tale espressione, persa in una
dichiarazione di 30 pagine in una lingua che non punta dita accusatorie a
Israele?
La campagna israeliana anti-Durban
Eppure, la realtà di Durban, la violenza del linguaggio usato per
denunciare questi documenti e il Procedimento di Durban sembra estrema, ed
emanare da fonti note per seguire da vicino la linea ufficiale disseminata da
Tel Aviv. Il colonnello britannico Richard Kemp che scrive sul sito web
notoriamente di destra dell’Istituto Gladstone Institute è di rado battuto nel
suo sostegno all’uso della forza da parte di Israele contro l’indifesa Gaza.
Kemp bolla il Procedimento di Durban “come l’infame ventennale pezzo
d’esposizione ONU vendetta contro Israele” e pronuncia la sua
sentenza che “Durban IV rienergizzerà questo vergognoso procedimento”.
[“Combattere l’influsso malefico di Durban”, 29 luglio 2021]. Kemp è a suo agio
invocando il linguaggio iperbolico di UN Watch che etichetta
assurdamente Durban come “..la peggior manifestazione internazionale di
antisemitismo del periodo postbellico”.
UN Watch ha espresso separatamente la propria opinione velenosa del
Procedimento di Durban un mese prima in un comunicato stampa con il titolo
grevemente fuorviante “Durban IV: fatti chiave” del 24 maggio 2021, compendiato
nell’espressione “perversione dei principii dell’anti-razzismo”;
caratterizzazione resa più concreta affermando che faccia “…asserzioni prive di
fondamento contro il popolo ebraico”, che sia solito “promuovere il razzismo,
l’intolleranza, l’antisemitismo e la negazione dell’Olocausto … ed erodere il
diritto all’esistenza d’Israele”. Questo Bisognerebbe confrontare questo
linguaggio calunniosamente falso di UN Watch con i testi della
Dichiarazione e del Programma d’azione di Durban, la cui attuazione è
l’obiettivo di primaria importanza del Procedimento di Durban, per acquisire
qualche sprazzo di comprensione nelle oscure motivazioni di queste critiche
israeliane mirate.
2021- Israele e l’apartheid
E’ ben vero che giunti al 2021 non ci sarebbe modo di evitare l’ipotesi che
le ‘cattive condizioni del popolo palestinese’ siano un risultato diretto
dell’apartheid israeliano, non solo condannato dal procedimento di Durban, ma
fermamente riconosciuto come crimine contro l’umanità sia nella Convenzione
Internazionale del 1974 sulla Repressione e Punizione del Crimine di Apartheid
sia all’articolo 7 dello Statuto di Roma che governa le attività del Tribunale
Penale Internazionale. Non è più ragionevole respingere le accuse di apartheid
israeliano come estremiste, tanto meno come manifestazioni di antisemitismo.
Eppure poiché Israele, col sostegno USA, controlla ancora il discorso mainstream in
Occidente, i media fissano le varie prove nude e crude in insensibile silenzio,
nonostante la prolungata sofferenza del popolo palestinese — convincente
conferma che dove confliggano geopolitica e moralità/legalità, prevale la
geopolitica.
Riscatto del Procedimento di
Durban
Ci sono due serie di osservazioni che rendono vergognosi e svergognati
questi attacchi a un lodevole sforzo ONU, mediante Durban, di evidenziare le
molte facce del razzismo e della discriminazione razziale. Il Ptocedimento di
Durban è diventato il nucleo di una campagna mondiale sui diritti umani per
aumentare la consapevolezza pubblica suscitando preoccupazione in ambito ONU
per le molte varietà di criminalità razzista, sottolineando altresì la
responsabilità dei governi e i potenziali contributi dell’attivismo della
società civile.
È rilevante che nella Dichiarazione e nel Programma d’Azione di Durban si
dia molta meno attenzione a Israele e al suo comportamento che ad altre
tematiche quali l’abuso di popoli indigeni dei Rom, dei migranti e dei
profughi. In effetti, alla luce di sviluppi più recenti che confermano
preoccupazioni precedenti sulla vittimizzazione dei palestinesi, il
Procedimento di Durban, caso mai può essere accusato di contestualizzare il
razzismo d’Israele cadendo nella trappola hasbara [~giustificatoria]
d’imporre responsabilità simmetrica all’oppressore come alla vittima,
biasimandoli entrambi, apposta per sventare al crescente tendenza del sostegno
organizzato israeliano a giocare la carta antisemitica come tattica per deviare
l’attenzione pubblica dal crescente consenso che Israele agisce da stato
d’apartheid.
Forse, nell’atmosfera del 2001 era politicamente provocatorio accusare
Israele di razzismo e apartheid, benché, come ho cercato di mostrare, tali
accuse dirette a Israele nel dibattito aperto a Durban non ebbero mai un
seguito nell’esito formale della Conferenza di Durban. E, come reso chiaro dai
suoi proponenti, il Procedimento di Durban è in primo luogo interessato
all’attuazione della Dichiarazione e del Programma
d’Azione di Durban.
Nel 2021, quel che era provocatorio venti anni fa si è confermato in modo
molteplice da valutazioni dettagliate affidabili e attendibili, e
indirettamente avallate dalla Legge Basilare Israeliana posta in atto dalla
Knesset nel 2018. I punti salient di tale dinamica hanno avuto luogo nel corso
degli ultimi cinque anni: – la pubblicazione nel marzo 2017 di uno studio
accademico indipendente sponsorizzato dalla ESCWA –Commissione
Economica e Sociale ONU per la West-Asia che concludeva
che le politiche e le prassi d’Israele costituivano conferma schiacciante delle
accuse di apartheid [“Le
pratiche di Israele verso il popolo Palestinese e la questione dell’apartheid”; – il rapporto della
ONG israeliana per i diritti umani B’Tselem, “Un regime di supremazia ebraica
dal fiume Giordano al mar Mediterraneo: questo è apartheid”, 12 gennaio 2021; –
il Rapporto Human Rights “Attraver-sata una soglia: le autorità Israeliane e i crimini di apartheid
e persecuzione, 27 aprile 2021.
Non è più plausibile asserire che obiettare al trattamento israeliano del
popolo palestinese sia anti-semitico. Come ebreo io stesso, consider le
giustificazioni israeliane per il proprio comportamento verso la Palestina come
l’incarnazione di un comportamento antisemitico, che reca discredito al popolo
ebraico.
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