L’Italia è un Paese che non si è mai disintossicato
veramente dall’infezione nera che si chiama fascismo. Paradossalmente la lotta di
liberazione combattuta e vinta dalle forze partigiane insieme agli eserciti
alleati, non ha permesso che il Paese fosse sottoposto a un processo di
defascistizzazione come quello messo in atto in Germania, noto con il
termine denazifizierung, messo in atto al fine di bonificare le
strutture nazionali e la burocrazia dall’eredità del regime hitleriano. I
tedeschi non seppero o non riuscirono, per molteplici ragioni, a organizzare
una Resistenza strutturata e conobbero solo pochi episodi isolati di opposizione
ai criminali nazisti, come quello luminoso della “Rosa Bianca”. Gli italiani
antifascisti, invece, avevano sconfitto il regime di Mussolini e avevano
promulgato una Costituzione che espungeva qualsiasi forma di esistenza di
fascismo dalla democrazia italiana. Dunque si poteva supporre che quella
tragica dittatura criminale fosse morta e sepolta con il suo ideatore e capo
assoluto.
Nel frattempo, a ridosso della fine del secondo
conflitto mondiale, era cominciata un’altra guerra, la guerra fredda degli Occidentali,
guidati dagli Stati Uniti e sotto il cappello della NATO, contro i comunisti
sovietici ma anche contro i comunisti tout court che per
l’alleato e liberatore Stelle e Strisce era chiunque fosse legato ai valori
della sinistra. Nel frattempo il guardasigilli del Governo costituzionale, il
comunista Togliatti, aveva varato una legge di amnistia per tutti i fascisti e
compromessi. Questo stato di cose favorì il progetto dello Zio Sam di fare
espellere i partigiani e gli antifascisti dagli organi più delicati dello Stato
democratico repubblicano e di sostituirli con i fascisti mai redenti,
indubitabilmente molto affidabili come anti comunisti. Per le amministrazioni
statunitensi comunisti erano tutti coloro che non avevano una fede assoluta nei
governi del Grande Paese, come regno del bene, della libertà e della democrazia
senza se e senza ma.
L’Italia repubblicana democratica comincia il suo
cammino fondandosi su un forte sentimento antifascista, ma molto presto con
l’uscita dei comunisti e dei socialisti dal governo per la scelta acriticamente
atlantista compiuta dai democristiani e dai loro alleati e dovuta allo scoppio
della guerra fredda, il fronte uscito dal Comitato di liberazione nazionale si
scinde in due fronti: quello anticomunista e quello social-comunista.
L’anticomunismo diventa un’ideologia che progressivamente si scorpora dalla
realtà. Le critiche anche durissime alle forme liberticide del socialismo
reale, la rivelazione dei crimini staliniani denunciati dal comunista Krusciov,
in occasione del ventesimo congresso del partito comunista dell’Unione
Sovietica, diventano una clava da abbattere contro qualsiasi istanza di
sinistra dimenticando che nei gulag furono rinchiusi anche centinaia di
migliaia di comunisti. Sulla scorta di questa degenerazione ideologica,
l’Occidente tollera come utili le dittature fasciste nel mondo, anzi le fomenta
e le finanzia.
In questo contesto i nazifascisti ritrovano un ruolo
fattivo. L’Italia conosce lo stragismo partecipato da corpi deviati dello
Stato, la strategia della tensione, i tentati colpi di Stato, i depistaggi, gli
insabbiamenti. Ma soprattutto la disgregazione di un progetto di democrazia
avanzata per il bel paese con tutto ciò che questo ha significato per la nostra
società sempre più eterodiretta. La presenza di fascisti, fascistoidi e
ultrareazionari nelle strutture più delicate della nazione (servizi segreti,
esercito, forze dell’ordine e relative burocrazie) ha avvelenato la temperie
democratica. Sia chiaro non sono persona da fare di tutte le erbe un fascio. Ho
personalmente amici nella polizia e, vista la mia età, ho avuto anche amici che
erano stati militi fascisti; non coltivo sentimenti di odio. Ma molti fatti di
cui siamo stati testimoni, fra cui il G8 di Genova 2001, non si spiegherebbero
altrimenti.
Tuttavia il discorso sull’eredità fascista non si
conclude con analisi “strutturali”. Una parte non piccola della popolazione
italiana per scarsa conoscenza, per superficialità, per indulgenza strapaesana,
considera il periodo fascista con una generica simpatia, con quel sentimento
all’italiana che si esprime con pseudo stereotipi del tipo: «non era poi cosi
male», «ha fatto anche cose buone». Queste espressioni si declinano con
l’immarcescibile «italiani brava gente», che diffonde sub specie dell’amor
patrio una presunzione falsa come poche ed esiziale per la credibilità
dell’Italia. La brava gente non ha patria, è trasversale a tutta l’umanità. I
fascisti italiani commisero in proprio e in solido coi nazisti crimini
raccapriccianti, efferatezze senza limiti nelle terre della Yugoslavia, in
Africa, in Grecia. All’occultamento di gravissime responsabilità si è aggiunto
un revisionismo straccione e strumentale della tragedia delle Foibe e
dell’esodo degli istriani che ha trovato il suo ideale brodo di coltura
nell’istituzione del Giorno del Ricordo.
Il ricordo, la memoria delle vittime è un dovere
sacrale, ma non assolve dal dovere della verità. La principale e primaria causa
della catastrofe che ha colpito i nostri concittadini grava sul fascismo, sulla
sua ideologia guerrafondaia, imperialista e razzista. Chi ha invaso le terre
della Yugoslavia, chi vi ha commesso stermini di massa, efferatezze
irriferibili, istituzione di lager dando la stura alla guerra e all’odio? I
nazifascisti! Alleati con i più feroci criminali di tutta la seconda guerra
mondiale: gli Ùstascia di Ante Pavelic, così abissalmente feroci da suscitare
proteste perfino da parte dei comandi nazisti. Ma forti di una retorica
menzognera i revisionisti di casa nostra hanno pervertito il senso della storia
approfittando di talk show compiacenti per calunniare la
Resistenza e i “comunisti” a cui il nostro Paese deve libertà e democrazia di
cui hanno beneficiato anche i fascisti e i loro sodali. Ma per la destra
reazionaria italiana tutto ciò è passato in cavalleria ed essa non ha aspettato
molto per dedicarsi al suo sport preferito: l’anticomunismo che, con l’andar
del tempo, ha saputo rendersi ossessivo anche in assenza di comunisti.
L’anticomunismo ha svolto la funzione principale di contrastare
in Italia la formazione di una democrazia matura e avanzata sul piano dei
diritti, in particolare di quelli sociali. L’incapacità delle destre odierne di
abbandonare il rimpianto dell’eredità fascista e di riconoscere che gli
italiani diventarono vittime per responsabilità primaria dei fascisti mostra un
deficit di onestà intellettuale e di consapevolezza al fine di trarre piccoli
vantaggi elettoralistici, ma rivela anche l’incapacità di una parte
significativa della classe dirigente di liberare il campo politico conservatore
da questa tossicosi. L’anticomunismo ossessivo ha anche scatenato il risorgere
di formazioni nazifasciste vere e proprie, le quali, certo, sono marginali ma
ineluttabilmente dedite a violenza, prevaricazione, razzismo, odio delle
minoranze che sono caratteristiche ontogenetiche di ogni fascismo, senza le
quali il fascismo non si dà.
Le destre parlamentari di volta in volta, ammiccano,
giustificano, accettano i riti macabri di questi nostalgici immaginari di ciò
che neppure hanno conosciuto ma che osannano attratti dall’odore del sangue,
quello altrui ovviamente. Gli individui che militano in queste formazioni
soffrono di psicopatologie o di sociopatie, che non possono non germinare in
soggetti già problematici, che vivono in una società iniqua, brutale, che
conosce diseguaglianze ripugnanti e la progressiva distruzione dei valori umani
come quella in cui viviamo. La democrazia è sempre più una scorza formale della
precarizzazione delle vite, della corruzione, del trionfo dei privilegi e i
politici che dovrebbero difenderla e svilupparla in direzione dell’uguaglianza
e della solidarietà sono presi a guazzare nei loro interessi di bottega. Fra
questi, esponenti di spicco delle destre cavalcano identitarismi e populismi di
risulta per narcisismo e per puro spirito di fazione, ammiccano alle
pagliacciate nostalgiche e rifiutano di riconoscere che antifascismo e
democrazia sono sinonimi. Rifiutano pervicacemente di riconoscere che Benito
Mussolini fu un criminale guerrafondaio, un genocida. Uno squallido
opportunista, un disonorato che pugnalò alla schiena i suoi camerati ebrei dopo
avere avuto un’amante ebrea per 12 anni. Un vigliacco che mandò a morire
migliaia e migliaia di valorosi italiani in Russia con le scarpe di cartone e
alla resa dei conti seppe solo imboscarsi come un topo di fogna in un camion di
tedeschi abbandonando le “sue” camicie nere nelle mani dei partigiani.
Riconosco che in parte di coloro che vissero i loro
anni di gioventù e di vigore nel tempo del fascismo e caddero nell’inganno
della retorica vitalista ci fosse un rimpianto che nasce dalla mozione degli
affetti e delle emozioni. Questa istanza può essere compresa ma non
giustificata. Ricordo la commozione di alcuni vecchi fascisti quando l’ex
presidente della Camera Luciano Violante fece il celebre discorso sui ragazzi
di Salò. Non giudico quella reazione, i morti meritano sepoltura e cordoglio
dei loro cari. Ricordo solo, anche all’onorevole Violante, ciò che diceva il
grandissimo sacerdote cattolico David Maria Turoldo, antifascista militante,
tracciando la differenza tra i morti fascisti e quelli partigiani: «ci sono i
morti per odio e i morti per amore». Le istanze emozionali e affettive non
possono essere discusse, ma il giudizio etico ed umano sul fascismo è definitivo
ed è tombale.
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