domenica 14 novembre 2021

Il fascismo nelle vene - Moni Ovadia

 

 

L’Italia è un Paese che non si è mai disintossicato veramente dall’infezione nera che si chiama fascismo. Paradossalmente la lotta di liberazione combattuta e vinta dalle forze partigiane insieme agli eserciti alleati, non ha permesso che il Paese fosse sottoposto a un processo di defascistizzazione come quello messo in atto in Germania, noto con il termine denazifizierung, messo in atto al fine di bonificare le strutture nazionali e la burocrazia dall’eredità del regime hitleriano. I tedeschi non seppero o non riuscirono, per molteplici ragioni, a organizzare una Resistenza strutturata e conobbero solo pochi episodi isolati di opposizione ai criminali nazisti, come quello luminoso della “Rosa Bianca”. Gli italiani antifascisti, invece, avevano sconfitto il regime di Mussolini e avevano promulgato una Costituzione che espungeva qualsiasi forma di esistenza di fascismo dalla democrazia italiana. Dunque si poteva supporre che quella tragica dittatura criminale fosse morta e sepolta con il suo ideatore e capo assoluto.

Nel frattempo, a ridosso della fine del secondo conflitto mondiale, era cominciata un’altra guerra, la guerra fredda degli Occidentali, guidati dagli Stati Uniti e sotto il cappello della NATO, contro i comunisti sovietici ma anche contro i comunisti tout court che per l’alleato e liberatore Stelle e Strisce era chiunque fosse legato ai valori della sinistra. Nel frattempo il guardasigilli del Governo costituzionale, il comunista Togliatti, aveva varato una legge di amnistia per tutti i fascisti e compromessi. Questo stato di cose favorì il progetto dello Zio Sam di fare espellere i partigiani e gli antifascisti dagli organi più delicati dello Stato democratico repubblicano e di sostituirli con i fascisti mai redenti, indubitabilmente molto affidabili come anti comunisti. Per le amministrazioni statunitensi comunisti erano tutti coloro che non avevano una fede assoluta nei governi del Grande Paese, come regno del bene, della libertà e della democrazia senza se e senza ma.

L’Italia repubblicana democratica comincia il suo cammino fondandosi su un forte sentimento antifascista, ma molto presto con l’uscita dei comunisti e dei socialisti dal governo per la scelta acriticamente atlantista compiuta dai democristiani e dai loro alleati e dovuta allo scoppio della guerra fredda, il fronte uscito dal Comitato di liberazione nazionale si scinde in due fronti: quello anticomunista e quello social-comunista. L’anticomunismo diventa un’ideologia che progressivamente si scorpora dalla realtà. Le critiche anche durissime alle forme liberticide del socialismo reale, la rivelazione dei crimini staliniani denunciati dal comunista Krusciov, in occasione del ventesimo congresso del partito comunista dell’Unione Sovietica, diventano una clava da abbattere contro qualsiasi istanza di sinistra dimenticando che nei gulag furono rinchiusi anche centinaia di migliaia di comunisti. Sulla scorta di questa degenerazione ideologica, l’Occidente tollera come utili le dittature fasciste nel mondo, anzi le fomenta e le finanzia.

In questo contesto i nazifascisti ritrovano un ruolo fattivo. L’Italia conosce lo stragismo partecipato da corpi deviati dello Stato, la strategia della tensione, i tentati colpi di Stato, i depistaggi, gli insabbiamenti. Ma soprattutto la disgregazione di un progetto di democrazia avanzata per il bel paese con tutto ciò che questo ha significato per la nostra società sempre più eterodiretta. La presenza di fascisti, fascistoidi e ultrareazionari nelle strutture più delicate della nazione (servizi segreti, esercito, forze dell’ordine e relative burocrazie) ha avvelenato la temperie democratica. Sia chiaro non sono persona da fare di tutte le erbe un fascio. Ho personalmente amici nella polizia e, vista la mia età, ho avuto anche amici che erano stati militi fascisti; non coltivo sentimenti di odio. Ma molti fatti di cui siamo stati testimoni, fra cui il G8 di Genova 2001, non si spiegherebbero altrimenti.

Tuttavia il discorso sull’eredità fascista non si conclude con analisi “strutturali”. Una parte non piccola della popolazione italiana per scarsa conoscenza, per superficialità, per indulgenza strapaesana, considera il periodo fascista con una generica simpatia, con quel sentimento all’italiana che si esprime con pseudo stereotipi del tipo: «non era poi cosi male», «ha fatto anche cose buone». Queste espressioni si declinano con l’immarcescibile «italiani brava gente», che diffonde sub specie dell’amor patrio una presunzione falsa come poche ed esiziale per la credibilità dell’Italia. La brava gente non ha patria, è trasversale a tutta l’umanità. I fascisti italiani commisero in proprio e in solido coi nazisti crimini raccapriccianti, efferatezze senza limiti nelle terre della Yugoslavia, in Africa, in Grecia. All’occultamento di gravissime responsabilità si è aggiunto un revisionismo straccione e strumentale della tragedia delle Foibe e dell’esodo degli istriani che ha trovato il suo ideale brodo di coltura nell’istituzione del Giorno del Ricordo.

Il ricordo, la memoria delle vittime è un dovere sacrale, ma non assolve dal dovere della verità. La principale e primaria causa della catastrofe che ha colpito i nostri concittadini grava sul fascismo, sulla sua ideologia guerrafondaia, imperialista e razzista. Chi ha invaso le terre della Yugoslavia, chi vi ha commesso stermini di massa, efferatezze irriferibili, istituzione di lager dando la stura alla guerra e all’odio? I nazifascisti! Alleati con i più feroci criminali di tutta la seconda guerra mondiale: gli Ùstascia di Ante Pavelic, così abissalmente feroci da suscitare proteste perfino da parte dei comandi nazisti. Ma forti di una retorica menzognera i revisionisti di casa nostra hanno pervertito il senso della storia approfittando di talk show compiacenti per calunniare la Resistenza e i “comunisti” a cui il nostro Paese deve libertà e democrazia di cui hanno beneficiato anche i fascisti e i loro sodali. Ma per la destra reazionaria italiana tutto ciò è passato in cavalleria ed essa non ha aspettato molto per dedicarsi al suo sport preferito: l’anticomunismo che, con l’andar del tempo, ha saputo rendersi ossessivo anche in assenza di comunisti.

L’anticomunismo ha svolto la funzione principale di contrastare in Italia la formazione di una democrazia matura e avanzata sul piano dei diritti, in particolare di quelli sociali. L’incapacità delle destre odierne di abbandonare il rimpianto dell’eredità fascista e di riconoscere che gli italiani diventarono vittime per responsabilità primaria dei fascisti mostra un deficit di onestà intellettuale e di consapevolezza al fine di trarre piccoli vantaggi elettoralistici, ma rivela anche l’incapacità di una parte significativa della classe dirigente di liberare il campo politico conservatore da questa tossicosi. L’anticomunismo ossessivo ha anche scatenato il risorgere di formazioni nazifasciste vere e proprie, le quali, certo, sono marginali ma ineluttabilmente dedite a violenza, prevaricazione, razzismo, odio delle minoranze che sono caratteristiche ontogenetiche di ogni fascismo, senza le quali il fascismo non si dà.

Le destre parlamentari di volta in volta, ammiccano, giustificano, accettano i riti macabri di questi nostalgici immaginari di ciò che neppure hanno conosciuto ma che osannano attratti dall’odore del sangue, quello altrui ovviamente. Gli individui che militano in queste formazioni soffrono di psicopatologie o di sociopatie, che non possono non germinare in soggetti già problematici, che vivono in una società iniqua, brutale, che conosce diseguaglianze ripugnanti e la progressiva distruzione dei valori umani come quella in cui viviamo. La democrazia è sempre più una scorza formale della precarizzazione delle vite, della corruzione, del trionfo dei privilegi e i politici che dovrebbero difenderla e svilupparla in direzione dell’uguaglianza e della solidarietà sono presi a guazzare nei loro interessi di bottega. Fra questi, esponenti di spicco delle destre cavalcano identitarismi e populismi di risulta per narcisismo e per puro spirito di fazione, ammiccano alle pagliacciate nostalgiche e rifiutano di riconoscere che antifascismo e democrazia sono sinonimi. Rifiutano pervicacemente di riconoscere che Benito Mussolini fu un criminale guerrafondaio, un genocida. Uno squallido opportunista, un disonorato che pugnalò alla schiena i suoi camerati ebrei dopo avere avuto un’amante ebrea per 12 anni. Un vigliacco che mandò a morire migliaia e migliaia di valorosi italiani in Russia con le scarpe di cartone e alla resa dei conti seppe solo imboscarsi come un topo di fogna in un camion di tedeschi abbandonando le “sue” camicie nere nelle mani dei partigiani.

Riconosco che in parte di coloro che vissero i loro anni di gioventù e di vigore nel tempo del fascismo e caddero nell’inganno della retorica vitalista ci fosse un rimpianto che nasce dalla mozione degli affetti e delle emozioni. Questa istanza può essere compresa ma non giustificata. Ricordo la commozione di alcuni vecchi fascisti quando l’ex presidente della Camera Luciano Violante fece il celebre discorso sui ragazzi di Salò. Non giudico quella reazione, i morti meritano sepoltura e cordoglio dei loro cari. Ricordo solo, anche all’onorevole Violante, ciò che diceva il grandissimo sacerdote cattolico David Maria Turoldo, antifascista militante, tracciando la differenza tra i morti fascisti e quelli partigiani: «ci sono i morti per odio e i morti per amore». Le istanze emozionali e affettive non possono essere discusse, ma il giudizio etico ed umano sul fascismo è definitivo ed è tombale.

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