sabato 6 novembre 2021

L’alternativa «selvaggia» alle iniezioni: sviluppare anticorpi senza i rimedi di Big pharma - Claudio Risé


I ragazzi «ribelli» dell’Alto Adige in fuga nei boschi per immunizzarsi Come in un saggio di Jünger, gli scolari del Bolzanino evadono da distanze e mascherine e vanno nella natura ad abbracciarsi. È l’alternativa «selvaggia» alle iniezioni: sviluppare anticorpi senza i rimedi di Big pharma  Senza libertà non c’è vita. Chi lavora sulla salute e la malattia lo sa bene: il bambino cresce scoprendo il gusto del correre in avanti, anche se così  barcolla e può cadere. Per questo chi nell’infanzia è stato superprotetto dovrà  prima o poi rompere il guscio in cui mamme ansiose e medici scadenti l’hanno rinchiuso. Quanto ai politici, è bene che non si “prendano per il buon Dio”, come ricorda un ironico detto dei francesi, sempre attenti a non scottarsi con qualche Re Sole di troppo. La forza di un Paese e la sua salute coincide sempre con il suo livello di libertà: il resto è chiacchiera, burocrazia e stagnazione.

A meno, certo, di stare costruendo una dittatura, magari in giacca e cravatta (ma le dittature sono quasi sempre in giacca e cravatta, tranne l’uniforme domenicale per le adunate o il dress code per le riunioni al Forum a Davos). Da psicoterapeuta, oltre che da persona che ama la vita, preferisco le persone che apprezzano la libertà e hanno il coraggio di difenderla quando comincia ad essere minacciata. Come oggi accade sempre più spesso e non solo per il Covid: le scienze e le filosofie politiche documentano da un pezzo le forti limitazioni alle libertà praticate dagli Stati cosiddetti liberali o socialdemocratici moderni. Limiti che tra l’altro fanno ammalare le persone, e vanno di pari passo, come è noto, con l’aumento esponenziale delle patologie, a partire da quelle psichiatriche, che si nutrono di chiusure, divieti, punizioni e soprattutto minacce e paure. 

Ecco allora cosa si sono inventati gruppi di giovani delle scuole superiori dalle parti dove passo gran parte delle mie giornate. Mentre nel resto d’Italia tutti sono ridotti a  uno stato di sudditanza nei confronti del green pass e dei suoi numerosi codici, obbligati come schiavi a sfoderarli ad ogni passo per avere il diritto di muoversi e di fare qualsiasi cosa compreso lavorare e studiare, questi ragazzi e ragazze appena possono vanno nei boschi, che per fortuna qui sono abbondanti, e per adesso senza tornelli per accedervi.

Alcuni di loro dovrebbero per la verità andare a scuola, ma le ore di studio con mascherine e distanziamenti obbligati non sono così attraenti. Tanto che il giovane assessore alla cultura Philipp Achammer per migliorarne l’attrattiva è andato a Roma a chiedere al Ministro all’Istruzione Patrizio Bianchi l’alleggerimento delle “misure di sicurezza” per i ragazzi che fanno i test. Inutile dire che la richiesta è stata rifiutata. Una prova in più che al governo non interessa che ci si tenga sani, ma che ci si vaccini. Il che non evita, come si è visto, infezioni e reinfezioni, oltre a non informarci con precisione su cosa  ci facciamo iniettare.  

Il no di Bianchi a Achammer (il cui nome evoca: il lamento del passero) è solo l’ultimo, penoso episodio che dimostra la sordità delle istituzioni di fronte alla libertà in generale e di quella di curarsi in particolare. È questa ottusità ad aver provocato l’entrata in scena in grande stile del bosco nella vita dei più giovani, proprio ora e malgrado la temperatura cominci a scendere.

Un luogo e un’immagine quella del bosco, che invece in ogni cultura (per chi ne ha una) è l’archetipo eterno della libertà e della rigenerazione, oltre che dell’apprendimento dalla natura. Il fatto è che, spiega Ernst Jünger “per chi compie il “passaggio al bosco” l’aria delle serre calde non vale più nulla”. Così questi ragazzi raccontano agli adulti disposti ad ascoltarli che: “dopo la scuola invece di mascherarci e tenere le distanze tra noi, andiamo nei boschi discutendo e abbracciandoci come ci pare”. Il contatto effettivo e fisico prende il posto del distanziamento paranoide come forma di vita. Naturalmente hanno messo in conto che così prima o poi si infettano. Ma non gliene importa niente e non solo perché di solito alla loro età se la cavano al massimo con qualche antiinfiammatorio. 

Il fatto è che anche se non ci hanno neppure molto pensato, questi ragazzi affrontano l’emergenza Covid con l’istinto  e così preferiscono “vaccinarsi” nel modo della natura, cui appartiene il virus ma anche le loro difese, piuttosto che con il vaccino. A un livello più superficiale anche se non  completamente infondato poi, considerano più pericoloso e squilibrato andare in giro in maschera, soprattutto all’aria aperta o darsi delle gomitate per salutarsi, o farsi iniettare alla cieca più volte l’anno sostanze sconosciute che forse ti immunizzano per un po’, ma non è neanche detto. Del resto da queste parti le loro madri e nonne finché hanno potuto (l’altro ieri) hanno immunizzato  figli e nipoti portandoli (con il via libera del medico) a infettarsi dagli amici malati, come ho già raccontato suscitando l’indignazione di qualche lettore.

I risultati non sono stati del resto malvagi: quella di Bolzano è l’unica provincia  d’Italia con un tasso di natalità positivo. Forse qualche lato buono e vero dunque  questo modo un po’ selvaggio di vivere e comportarsi ce l’ha. Così questi ragazzi si comportano come se la natura (questo “ingombrante residuo dei tempi andati”) fosse ancora viva e reale, e non “una produzione culturale” come dicono gli intellettuali regolarmente timbrati e pagati dalle Istituzioni riconosciute.  Senza saperlo, i ragazzi che invece di mascherarsi e andare a scuola distanziati vanno nei boschi a scambiarsi il Covid 19 per immunizzarsi e affrontare da soli la situazione senza big pharma e operazioni militar-sanitarie di massa sono come il proscritto di cui parla Ernst Jünger (appunto nel Trattato del ribelle, Adelphi), il pensatore e scrittore europeo per festeggiare i cui cent’anni  si mossero insieme Helmut Kohl (che unificò le due Germanie) e François Mitterand.

I due più robusti esponenti di un’Europa ben più costruttiva e generosa di quella leziosa e autoritaria di Ursula, con il suo sterminato esercito di funzionari spocchiosi.  Jünger racconta come il ribelle/proscritto non fa storie: egli sa istintivamente che la catastrofe esiste, e che è necessario riconoscerlo e molto probabile, a volte necessario, esserne coinvolti. Le probabilità di venirne distrutti “si riducono – scrive- nella stessa misura in cui nel singolo diminuisce la paura” il grande strumento di governo di tutti i numerosi aspiranti tiranni del nostro tempo.

“Nessuno di noi – ammonisce – può sapere se per caso domani mattina non si troverà a far parte di un gruppo dichiarato illegale”. Di fronte all’estendersi dello “stato di emergenza” (oggi acutamente studiato da Giorgio Agamben e altri) occorre dunque “pensare con la propria testa, condurre una vita dura, e agire in piena autonomia. In queste moderne cacciate della libertà, la questione della salute svolge sempre un ruolo importante: per la paura di perderla l’uomo rischia di ridursi in schiavitù. “Da considerare con estrema vigilanza è l’intervento crescente che, di solito con pretesti filantropici, lo Stato esercita sull’organizzazione sanitaria”. Allora: “per l’uomo sano la ricetta migliore è affidarsi alla verità del corpo, senza tuttavia trascurarne gli avvertimenti”. I ragazzi del bosco cercano, a loro modo, di fare anche questo.

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