L’assalto ai servizi pubblici locali - Marco
Bersani
Era atteso da tempo. Faceva parte delle stringenti “condizionalità”
richieste dalla Commissione Europea per accedere ai fondi del Next Generation
Eu. Era uno degli assi portanti per i quali Draghi è stato definito da
Confindustria “l’uomo della necessità”. Era fortemente voluto
dalle lobby finanziarie. Ed è arrivato. Il disegno di legge sulla concorrenza e
il mercato. Un nuovo bastimento carico di privatizzazioni.
Mentre i media mainstream ancora una volta dirottano
l’attenzione (colpiti i tassisti, risparmiati i concessionari degli
stabilimenti balneari etc.) nessuno mette l’accento sulla sostanza del
provvedimento, concentrata nell’art. 6: la privatizzazione dei servizi
pubblici locali e la definitiva mutazione del ruolo dei Comuni.
Un provvedimento vergognoso che, sin nelle finalità espresse all’art. 1,
sembra aver completamente accantonato quanto la pandemia ha evidenziato oltre
ogni ragionevole dubbio: il mercato non funziona, non protegge, separa persone
e comunità.
Senza alcun senso del ridicolo si dice che il provvedimento ha lo scopo
di “promuovere lo sviluppo della concorrenza e di rimuovere gli
ostacoli all’apertura dei mercati (…) per rafforzare la giustizia sociale, la
qualità e l’efficienza dei servizi pubblici, la tutela dell’ambiente e il
diritto alla salute dei cittadini”.
Se dalle finalità generali passiamo allo specifico articolo sui servizi
pubblici locali, va subito notato il salto di qualità messo in campo dal
governo Draghi: per la prima volta si parla di tutti i servizi pubblici
locali senza alcuna esclusione.
Come si evince dall’unico passaggio in cui sono menzionati i servizi
pubblici locali a rilevanza economica in merito alla necessità di una loro
ottimale organizzazione territoriale, il resto del provvedimento supera
i precedenti tentativi di privatizzazione per la globalità dei servizi
coinvolti. Ad ulteriore conferma di questa estensione, valga il
richiamo (par. o) alla normativa relativa al Terzo Settore.
Ribaltando a 360 gradi la funzione dei Comuni e il ruolo di garanzia dei
diritti svolto storicamente dai servizi pubblici locali, il ddl Concorrenza
(par. a) pone la gestione dei servizi pubblici locali come competenza
esclusiva dello Stato da esercitare nel rispetto della tutela della concorrenza.
E ne separa (par. b) le funzioni di gestione da quelle di controllo.
I paragrafi successivi sono un vero capolavoro di ribaltamento
della realtà.
Mentre all’affidatario privato viene richiesta (bontà sua) una relazione
annuale sui dati di qualità del servizio e sugli investimenti effettuati, ecco
il tour de force che deve affrontare il Comune che,
malauguratamente, scelga di gestire in proprio un servizio pubblico
locale: dovrà produrre “una motivazione anticipata e qualificata che dia
conto delle ragioni che giustificano il mancato ricorso al mercato” (par. f);
dovrà tempestivamente trasmetterla all’Autorità garante della concorrenza e del
mercato (par.g); dovrà prevedere sistemi di monitoraggio dei costi (par. i);
dovrà procedere alla revisione periodica delle ragioni per le quali ha scelto
l’autoproduzione.
Per quanto riguarda i servizi pubblici a rilevanza economica (par. d),
ovvero acqua, rifiuti, energia, e trasporto pubblico, si prevedono inoltre
incentivi e premialità che favoriscano l’aggregazione (leggi multiutility).
Non contento di puntare alla privatizzazione delle gestioni, il Governo
prevede anche (par. q) una revisione della disciplina dei
regimi di proprietà e di gestione delle reti, degli impianti e delle
altre dotazioni, nonché di cessione dei beni in caso di subentro, anche al fine
di assicurare un’adeguata valorizzazione della proprietà pubblica, nonché
un’adeguata tutela del gestore uscente.
In questo contesto, il richiamo (par. t) alla partecipazione degli utenti nella
definizione della qualità, degli obiettivi e dei costi del servizio pubblico
locale suona come la presa per i fondelli finale.
Un attacco feroce e determinato ai diritti delle persone, ai beni comuni e
alle comunità locali. Di questo si tratta. Portato avanti da un governo che
non ha mai fatto mistero di essere al servizio dei grandi interessi finanziari
e che ha preteso un Parlamento embedded per poter avere mano
libera su tutte le scelte fondamentali di ridisegno della società.
“La zavorra dei vincoli e del debito ci impedisce qualunque movimento. Non
avere alcuna agibilità sul bilancio significa impattare enormemente sulla
qualità di vita dei cittadini. E’ impossibile governare la città se non
possiamo mettere risorse”. Così ha tuonato pochi giorni fa Gaetano
Manfredi, nuovo sindaco di Napoli.
La risposta del governo Draghi è che non vi è alcun bisogno di governare i
Comuni e le città: basta mettere tutto sul mercato.
Draghi all’assalto della
democrazia - Marco Bersani
Come nel più prevedibile dei copioni di teatro, dopo aver sapientemente
preparato il terreno per un paio di mesi, il cerchio si chiude e il governo
Draghi-Lamorgese porta l’affondo finale: nell’Italia della
ripresa-resilienza sarà vietato manifestare.
L’esito è stato preparato attraverso diverse tappe.
La prima avviene il 9 ottobre, quando una “sconsiderata” gestione
dell’ordine pubblico a Roma permette un assalto di gruppi neofascisti alla sede
nazionale della Cgil, dopo averlo annunciato due ore prima dal palco di Piazza
del Popolo.
La seconda avviene in vista del G20 del 30-31 ottobre, quando si costruisce
una campagna di stampa di tre settimane su allarmi inesistenti in riferimento
alle manifestazioni dei movimenti sociali, che portano esercito per strada e
cecchini sui tetti a fronteggiare nientepopodimeno che la giovane generazione
ecologista dei Fridays For Future. Naturalmente la buona riuscita delle
mobilitazioni viene attribuita al Ministero dell’Interno che ha “impedito” alle
stesse di produrre disagi all’ordine pubblico.
Serve la goccia per far traboccare il vaso: ed ecco l’annuncio di un
possibile cluster di contagiati dovuto alla ripetute
manifestazioni No Green Pass nella città di Trieste e la presa
di posizione del Sindaco della città, il quale, senza nessun senso delle
proporzioni e del ridicolo, richiede a gran voce l’adozione di leggi
speciali “come ai tempi delle Brigate Rosse”.
Il pranzo è servito e il governo Draghi – non contento
di aver imposto un Parlamento embedded, totalmente allineato
alle sue scelte politiche sul post pandemia – prova a risolvere anche
l’altro polo del problema, rappresentato dal conflitto sociale.
Ed ecco il nuovo pacchetto di provvedimenti annunciato sugli organi di
stampa dalla Ministra Lamorgese, la quale, naturalmente non disconosce il
diritto a manifestare (art. 21 della Costituzione), ma lo colloca dopo il
“diritto” dei cittadini a non partecipare ai cortei (come se fosse
obbligatorio) e dopo il “diritto” dei commercianti a poter trarre gli usuali
benefici dallo shopping festivo e, ancor più, natalizio prossimo venturo.
Saranno vietati i cortei nei centri storici delle città, in tutte le vie
dei negozi e in prossimità dei punti sensibili. E, come se
non bastasse, laddove non ci siano “particolari esigenze e garanzie” –
chi le stabilisce? – saranno vietati i cortei in quanto tali e permesse solo
manifestazioni statiche e sit-in.
Il quadro è sufficientemente chiaro. La pandemia ha messo in evidenza tutte
le contraddizioni e la generale insostenibilità di un modello di società basato
sull’economia del profitto. Il governo Draghi si è imposto il compito di
proseguire con quel modello costi quel che costi.
Ed ecco allora un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza tutto rivolto ad
accontentare le imprese e a mortificare il lavoro e i suoi diritti; una
politica fiscale volta a liberare i ceti abbienti dalle insopportabili imposte,
di nuovo scaricate su lavoratori e pensionati; una transizione ecologica
interamente vocata al greenwashing; una nuova ondata di
privatizzazioni di tutti i servizi pubblici locali; un attacco alla povertà,
attraverso provvedimenti vergognosi come il tentativo di restringere il reddito
di cittadinanza e di comprimere l’indennità alle persone con disabilità.
Tutte misure che, com’è ovvio, acuiranno il disagio delle persone e
produrranno rabbia e conflitto sociale.
Come risolverlo? Non c’è problema, basta vietarlo.
D’altronde, non è da tempo che i grandi poteri finanziari dicono che le
Costituzioni dei paesi del Sud Europa sono poco adatte alla modernità perché
troppo intrise di idee socialiste?
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