Mentre in Germania si dice ormai
apertamente che l’impennata dei contagi è dovuta alla troppa libertà concessa
ai vaccinati («Il virus si sta diffondendo anche tra i vaccinati. Il vaccino ha
efficacia su una percentuale di persone oscillante tra il 50% e il 70%, questo
significa che su dieci vaccinati, da tre a cinque potrebbero trasmettere il
virus. E quando si consentono manifestazioni senza più misure di controllo
senza test e distanziamento, queste diventano focolai d’infezione», ha detto
al Corriere della sera il microbiologo Alexander Kekulè), in
Italia ci si dedica alla repressione delle manifestazioni del dissenso. Invece
di chiedersi se sia stato sensato fidarsi dei tamponi veloci; abolire il
distanziamento a scuola; far gremire (e senza alcun filtro) supermercati, treni
pendolari, autobus urbani e chiese; far affollare ristoranti necessariamente
senza mascherina; e riportare al 100% la capienza di cinema e teatri, è molto
più semplice praticare l’eterna caccia all’untore: la colpa è dei no vax!
Come se non esistessero circa sei
milioni di bambini non vaccinati, oltre ai marginali abbandonati a se stessi, e
ai turisti che arrivano esibendo solo un tampone (altrettante potenziali bombe
virali: ma “portano soldi”). La sensazione è che invece di correggere (certo
dolorosamente, per tutti noi: ma doverosamente) comportamenti pericolosi si
preferisca imboccare la strada larga della ricerca del nemico. La stampa, quasi
coralmente genuflessa davanti al soglio di Draghi, non esorta alla
responsabilità di ciascun vaccinato e non richiama il Governo alla prudenza, ma
fabbrica colpevoli, capri espiatori, streghe da bruciare.
Intendiamoci: chi non si vaccina (quale
che sia la ragione, spesso una incontrollabile paura, che andrebbe anch’essa
curata) fa una scelta individualista, anzi gravemente egoista, lacerando ogni
vincolo di solidarietà e responsabilità sociale. E deve dunque accettare di
essere trattato diversamente nell’accesso agli spazi chiusi: ma questo non
significa affatto che abbia perso anche il diritto a manifestare liberamente,
in piazza. Un diritto che ha che fare non solo con la sua, ma con la nostra
comune libertà.
Naturalmente ogni degenerazione violenta
va fermata (prima e non dopo, come invece nel caso dell’assalto fascista alla
Cgil), ma non è pensabile che una democrazia vieti la manifestazione del
dissenso di coloro ai quali impone (pur per ottime ragioni) un trattamento
sanitario di fatto pressoché obbligatorio. Invece, è quel che fa il Governo
Draghi: che non scioglie (come potrebbe e dovrebbe) Forza Nuova, ma applica nel
peggiore dei modi le pessime norme repressive contenute nei decreti sicurezza
di Salvini (il quale peraltro ora protesta, in un sussulto estremo di
cialtroneria), rifugiandosi dietro i contagi. Quei contagi che non impedirono ai
vertici della Repubblica di festeggiare la vittoria agli Europei, ma oggi
impedirebbero di esercitare un diritto costituzionalmente protetto.
La cosa peggiore di questa orribile
situazione è che è estremamente difficile distinguere, e sviluppare quella critica
che invece appare vitale. Il linciaggio delle poche voci dissonanti è
desolante: non sono d’accordo con la gran parte delle obiezioni degli sparuti
intellettuali critici sulla gestione del green pass e dei
vaccini, ma riconosco che la loro voce è preziosa, che il loro diritto al
dissenso coincide col nostro comune diritto alla democrazia. Più in generale,
deve essere possibile contestare la razionalità delle argomentazioni usate per
i progressivi giri di vite imposti dall’esecutivo senza essere accusati di
intelligenza col nemico no vax. Si può dire che è intollerabile proibire le
manifestazioni all’aperto invocando il contagio, e al tempo stesso consentire
lo shopping prenatalizio nei centri commerciali o costringere gli studenti e i
lavoratori a viaggiare in carri bestiame che sembrano allevamenti di Covid? E
che tutto questo rivela che ci sta molto più a cuore il mercato che non la
democrazia?
Occorrerebbe, soprattutto, equilibrio.
Ma lo stesso capo dello Stato ha attaccato con inusitata virulenza le
manifestazioni di dissenso, affermando che avrebbero provocato impennate di
contagi e che sarebbero «tasselli, più o meno consapevoli, di una intenzione
che pone in discussione le basi stesse della nostra convivenza». Le
costituzioni nascono per proteggere chi sta in basso dagli abusi di potere di
chi sta in alto: ora invece il garante della Costituzione si schiaccia
sull’esecutivo e denuncia minacce dal basso. È una delle conseguenze nefaste
della retorica della guerra e dell’unità nazionale: non basta nemmeno il
Governo di unità nazionale con dentro anche la Lega, ci vuole una granitica
unità popolare. Peccato che più di metà del Paese non voti più: segno chiaro
che un conto è il Paese legale, altro conto il Paese reale, per usare
un’espressione storica che ben si attaglia alla regressione di questi nostri
tempi. Se si aggiunge che il Parlamento è di fatto congelato, l’impressione è
che stiamo riducendo la democrazia alla dimensione della decisione, rinunciando
a ogni bilanciamento, a ogni garanzia. Come se la democrazia, in tempi di
emergenza, fosse un intralcio e non la nostra più importante risorsa.
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