Una rinnovata intensa attività dell’intelligence
mondiale (con la variante turca) ha allarmato ultimamente gli esperti di
spionaggio. In particolare decisioni di pubblico dominio, come il dimezzamento
dei rappresentanti russi nell’ufficio di collaborazione tra Nato e Russia –
indicati come agenti sotto copertura –, s’intrecciano con manovre più nascoste
che preludono a un muscolare confronto militare e dunque a operazioni di
spionaggio di cui i più raffinati analisti si stanno occupando per rilevare
indiscrezioni e metterle in fila nel tentativo di restituire un quadro più
chiaro dell’intricato mosaico che si va disegnando sullo scacchiere
internazionale. Tutto ciò capita in occasione dell’uscita del primo volume
frutto degli approfondimenti di OGzero, La
spada e lo scudo, scritto per noi da Yurii Colombo per tentare di
chiarire storia, modalità e tensioni interne ed esterne ai servizi segreti
russi.
Questo articolo va a illustrare il doppio binario su
cui si trovano a lavorare i servizi russi: l’offensiva occidentale volta a
ridimensionare l’influenza di Mosca sui paesi ai confini europei all’indomani
del ritiro dall’Afghanistan sta producendo un piano di contenimento e difesa
globale per l’area europea nel caso di attacco russo (il primo dopo la fine
della Guerra Fredda). Contemporaneamente i servizi si trovano ad affrontare un
rinnovato attivismo del controspionaggio turco che ha a sua volta operato
arresti di agenti russi, che tradizionalmente stanziano a Istanbul con
l’incarico di individuare ed eliminare i leader ceceni; arresti riconducibili
all’epilogo della Guerra siriana con lo sgombero degli alleati turchi da Idlib,
ma che collocano i servizi di Ankara in una posizione di battitore semilibero,
in opposizione e collegato da accordi sia con l’Occidente (la Nato) sia con la
Russia (Astana, non ancora messa in soffitta).
Tensioni tra apparati spionistici,
preludio di confronti militari?
Lo scontro
tra Russia e i paesi della Nato, con la recentissima sospensione delle
reciproche rappresentanze a Mosca e Bruxelles è entrata in una nuova fase. Dal
1° novembre infatti la Federazione ha sospeso ufficialmente la sua
rappresentanza presso la Nato e contemporaneamente ha posto sotto sfratto
l’ufficio informazioni dell’Alleanza a Mosca. A partire da quella data – come
ha ricordato il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov – per i contatti con
Mosca, la Nato dovrà rivolgersi all’ambasciatore russo in Belgio. La decisione
del Cremlino è giunta come reazione alla decisione della Alleanza Atlantica di
ridurre da 20 a 10 i membri della rappresentanza russa a Bruxelles, rendendo
impossibile di fatto l’operatività dell’ufficio. La rappresentanza russa era
già stata ridotta da 30 a 20 funzionari ai tempi del caso Skripal [il tema è stato sviluppato
dall’estensore dell’articolo nel volume La
spada e lo scudo]; otto dei dieci funzionari russi rispediti a casa,
sarebbero una ritorsione per il presunto coinvolgimento del Gru (i Servizi russi militari per l’attività
all’estero) in un attentato contro un deposito di munizioni nella Repubblica Ceca del 2014
[anche per questo episodio si trovano approfondimenti nel volume La
spada e lo scudo] anche se il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg ha sostenuto che «non esiste un
motivo particolare per le espulsioni dei diplomatici russi», rimandandole
semplicemente alla perdurante politica aggressiva russa in Europa.
«La politica della Nato nei confronti della Russia rimane coerente. Abbiamo
rafforzato la nostra deterrenza e difesa in risposta alle azioni aggressive
della Russia, mentre allo stesso tempo rimaniamo aperti per un dialogo
significativo» ha dichiarato a Sky News un funzionario della Nato.
Il difficile equilibrio caucasico indispensabile
per Mosca
Mosca, dal
canto suo, si sente sempre più accerchiata e non si può dire che questa
percezione possa essere semplicemente derubricata alla voce “vittimismo” (anche
se il Cremlino ha dimostrato di soffrirne talvolta). Le vicende del recente
passato, l’addio quasi definitivo della Moldavia dall’area
d’influenza russa (il governo filoccidentale di Chişinău comunque è tornato
dopo l’esplosione dei prezzi degli idrocarburi di quest’autunno a chiedere con
il cappello in mano a Putin gas a prezzi calmierati), la faglia bielorussa e l’instabile alleanza con l’Armenia, impongono alla Russia la massima vigilanza.
Il portavoce
presidenziale russo Dmitry Peskov ha affermato con nettezza che la decisione
della Nato di espellere i diplomatici russi e le accuse di “attività ostili”
hanno completamente minato le prospettive di normalizzazione delle relazioni e
di ripresa del dialogo.
Il ministro
della difesa russo Sergej Šoigu ha
aggiunto – a muso duro – come «l’attuazione del piano di “contenimento” della
Nato in Afghanistan è finito in un disastro, che tutto il mondo sta ora
affrontando» e ha voluto ricordare a Berlino come andò a finire l’ultima volta
che la Germania cercò di trovare uno “spazio vitale” a est.
«Sullo sfondo delle richieste di una deterrenza militare della Russia, la
Nato sta costantemente sospingendo le proprie forze verso i nostri confini. Il
ministro della difesa tedesco dovrebbe sapere molto bene come nel passato ciò
si concluse per la Germania e l’Europa», ha sottolineato il ministro della
difesa russo.
Quest’ultima
dichiarazione è giunta dopo che il ministro della Difesa tedesco Annegret Kramp-Karrenbauer, il 21 ottobre, alla domanda
se la Nato stesse contemplando scenari di dissuasione della Russia per le
regioni del Baltico e del Mar Nero, anche nello spazio aereo con armi nucleari,
ha risposto che dovrebbe essere reso molto chiaro alla Russia che anche i paesi
occidentali sono pronti a usare tali mezzi. I media tedeschi hanno anche
riferito che la Nato si starebbe preparando per un conflitto con la Russia.
Il piano di difesa della alleanza occidentale avrebbe definito perimetri e parametri su come replicare a
possibili attacchi dalla Russia e alla minaccia terroristica. Un
tale piano – se confermato – rappresenterebbe una vera novità visto che tali
ipotesi dopo il crollo del muro di Berlino erano stati messi in soffitta, ha
fatto rilevare la “Suddeutsche Zeitung”. Del resto come sottolinea il
portale russo “Vzglyad” già un mesetto prima, il 22 settembre
2021, i ministri della difesa della Nato avevano firmato un accordo per un
fondo tecnologico militare da 1 miliardo di euro. Secondo la Nato questo piano
di difesa rappresenta anche una risposta alla decisione di Mosca di mettere in
cantiere la produzione di nuove armi nucleari a medio raggio e sviluppare nuovi sistemi d’arma.
Le forze armate russe avrebbero persino recentemente testato i robot da
combattimento nelle esercitazioni, lavorando all’uso dell’intelligenza
artificiale in campo militare e sull’aggiornamento dei sistemi spaziali.
In questo quadro «I ministri della difesa della Nato a Bruxelles hanno
adottato giovedì un nuovo piano di difesa globale per l’area europea e
nordatlantica dell’alleanza. In esso l’alleanza occidentale definisce come
risponderà a possibili attacchi dalla Russia, così come la minaccia del
terrorismo in corso. È il primo piano globale di questo tipo dalla fine della
Guerra Fredda: copre scenari che vanno da attacchi militari convenzionali e
guerra ibrida ad attacchi informatici e disinformazione, così come combinazioni
e attacchi simultanei, per esempio nelle regioni del Baltico e del Mar Nero»,
ha sostenuto Paul-Anton Krueger in un intervento su “RIA Novosti”.
Segnali di riposizionamenti geopolitici
dietro il controspionaggio turco
A complicare
lo scenario per la Russia, c’è l’attivismo sul piano del
confronto spionistico della Turchia, sempre più battitore libero e sempre meno
affidabile alleato della Nato. L’8 ottobre a Istanbul (ma la notizia
è stata divulgata solo il 22 ottobre) sono state arrestate sei persone accusate
di essere agenti dei servizi di intelligence russa. Si tratta di quattro
cittadini russi – Abdulla Abdullayev, Ravshan Akhmedov, Beslan Rasaev e Aslanbek
Abdulmuslimov – oltre a un cittadino ucraino, Igor Efrim, e un cittadino
uzbeko, Amir Yusupov. Il gruppo è accusato di aver violato l’articolo 328 del
codice penale turco (“spionaggio politico o militare”), e ora rischiano da 15 a
20 anni di prigionia. Secondo Giancarlo Elia Valori in un articolo pubblicato
sul portale “Le
Formiche”.
L’offensiva ottomana nei confronti della Russia sarebbe da rimandare a un
rinnovato asse tra Erdoğan e il
consigliere per la sicurezza nazionale degli Emirati
arabi uniti, Tahnun bin Zayed al-Nahyan. Secondo Valori, ci sarebbe
«voglia di voltare pagina su otto anni di gelide relazioni, cristallizzate dal
rovesciamento nel 2013 dell’egiziano Mohamed Morsi, un membro dei Fratelli
Musulmani vicino alla Turchia e fermamente osteggiato dagli Emirati Arabi
Uniti». In realtà, come rileva il giornale russo “Gazeta.ru”, oggi forse la voce più vicina al
Cremlino, il nucleo di intelligence (che sarebbe stato trovato in possesso
anche di armi e passaporti falsi) stava lavorando al fine di
eliminare alcuni rappresentanti dell’“opposizione
cecena” rifugiatisi in Turchia. Ricordiamo che già negli
ultimi anni alcuni dei più noti oppositori al regime di Kadyrov a Grozny erano stati oggetti di misteriosi
attentati in Germania e in Austria.
Ciò che
sorprende in questa vicenda è che per ora il governo di Ankara non ha
confermato la notizia e tutte le informazioni provengono dall’agenzia
“Anadolu”, anche se il ministero degli esteri russo ha di fatto confermato gli
arresti. Una fonte anonima di “Gazeta.ru” sostiene che al centro
dell’operazione del controspionaggio turco ci sarebbe in realtà il tentativo
della Russia, dopo le sconfitte micidiali degli armeni nei cieli durante la
guerra con gli azeri dello scorso anno, di raccogliere informazioni
dettagliate sui droni
Bayraktar TB2, così come altri nuovi progetti riguardanti altri
tipi di armi avanzate. Va ricordato però che questa crisi tra i due paesi non è
un temporale scoppiato a ciel sereno. Come abbiamo già rilevato in altri nostri
pezzi scritti per OGzero, dopo Astana i rapporti tra Russia
e Turchia hanno
continuato a volgere al brutto. All’inizio di ottobre, il capo della diplomazia
turca Mevlüt Çavuşoğlu è
intervenuto al Forum sulla sicurezza di Varsavia ribadendo necessità di
sostenere l’Ucraina nel suo tentativo di entrare nella Nato. Inoltre, si è
venuto a sapere in quell’occasione che i militari turchi starebbero addestrando
i loro colleghi ucraini in tattiche di guerriglia urbana e secondo l’agenzia di
stampa siriana “Sana”, ulteriori unità dell’esercito turco sono state spostate
nella provincia siriana di Idlib e si
parla insistentemente di una possibile operazione militare contro i
paramilitari curdi a Tel Rifat.
«A causa di ciò che sta accadendo a Idlib, Turchia e Russia stanno
iniziando ad avere ulteriori attriti, ulteriori problemi». Questo è già
successo in passato, ha commentato l’analista politico Yashar Niyazbayev: i
rapporti dei media turchi «inizialmente suonavano – ha dichiarato – più come
una gaffe informativa che come spiegazioni intelligibili in relazione alle spie
russe».
La versione
che l’arresto dei sei a Istanbul sia da rimandare a possibili omicidi politici
contro ex oppositori ceceni è messa in discussione da Ivan Starodubtsev, un
esperto di Turchia, autore del libro Russia-Turchia: 500 anni di
vicinato tormentato il quale sul suo canale Telegram ha
affermato: «deve essere innanzitutto una questione di possesso illegale di
armi». Starodubtsev si dice convinto che la mafia cecena e, più in generale
quella caucasica, opera attivamente a Istanbul da tempo immemore, e le “rese
dei conti” criminali al loro interno sarebbero abbastanza frequenti. Del resto casi di morte di vari boss criminali caucasici per mano
dei loro complici e concorrenti non sono rari a Istanbul. Si tratta
di una tesi – da non escludere – che però è stata più volte usata dal Fsb
ceceno per allontanare da sé accuse e sospetti.
In passato,
al contrario, i servizi segreti turchi hanno ripetutamente collegato
l’uccisione di ex comandanti di campo e militanti ceceni a Istanbul alle
attività dei servizi di sicurezza russi che avrebbero “vendicato” la loro
partecipazione a bande e attacchi terroristici dei primi anni Duemila, quando
la guerriglia indipendentista raggiunse il suo apice.
Uno dei
primi omicidi di più alto profilo ebbe luogo nel dicembre 2008, quando l’ex
signore della guerra Islam Dzhanibekov fu
ucciso sulla soglia della sua casa nel quartiere Ümraniye di Istanbul. Il
killer in quel caso aveva usato una pistola con il silenziatore a doppia canna
“Groza”. Nel 2009, l’ex signore della guerra Musa
Asayev fu anch’egli ucciso a Istanbul. A quel tempo era noto
per essere un rappresentante del terrorista Doku
Umarov, coinvolto nella raccolta di denaro per i militanti del radicalismo
musulmano.
Infine, nel 2011, tre membri della diaspora cecena, Berg-Khazh Musayev, Rustam Altemirov e Zaurbek Amriyev, erano stati associati al terrorista Doku Umarov e successivamente erano stati uccisi sempre a Istanbul. In Russia, però i tre erano a quell’epoca ricercati in quanto sospettati di aver organizzato un attacco terroristico all’aeroporto internazionale Domodedovo nel gennaio dello stesso anno.
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