giovedì 25 novembre 2021

La strategia della shock economy - Alberto Zoratti

 

È stata una tattica di guerra utilizzata ampiamente dagli Stati Uniti nelle loro campagne paradossali di peace-keepingad esempio in Iraq: shock and awe, colpisci e terrorizza. È stato teorizzato da Harlan Ullman, ufficiale in congedo e veterano del Vietnam ora inserito nel gotha del pensiero strategico applicato al business, e da James Wade nel saggio di oramai 24 anni fa Shock and Awe: Achieving Rapid Dominance. E già il titolo, se non bastasse il testo, è tutto un programma: come arrivare rapidamente al dominio.

In guerra si è tradotto in un utilizzo di metodi e pratiche che potremmo definire non ortodosse, basterebbe ricordare Abu Ghraib o le dimostrazioni di forza con l’uso di armi che non avevano l’obiettivo di radere al suolo la potenza di fuoco nemica ma di abbatterne il morale e l’equilibrio psicologico.

Del resto lo stesso Sun Tzu, nell’Arte della Guerra, suggeriva di evitare il nemico quando il suo morale è alto, e attaccarlo quando è basso, o quando i suoi soldati hanno nostalgia di casa.

Questo per poter avere controllo sul fattore morale.
Il terrore e lo shock portano, per poter sopravvivere, a diverse reazioni grazie all’attivazione di parti del cervello particolarmente antiche, come il sistema limbico: l’attacco, la fuga o uno stato definito “freezing”, in cui ogni reazione viene sospesa in uno stato di stand-by.

Il sovraccarico del sistema nervoso porta a un temporaneo sganciamento dagli stimoli esterni e da quelli interni, attivando una vera e propria dissociazione.
Questo avviene nei singoli organismi viventi. Ma altrettanto può accadere in quelli sociali in cui la psiche collettiva gioca un ruolo non indifferente nel determinarne i fenomeni e le reazioni.

Lo shock genera spaesamento, disorientamento e dissociazione nelle persone e nella popolazione generale. Questo avviene nel pieno di una guerra, ma può essere attivato anche da altri stimoli estremi come un’alluvione, un forte terremoto. O una pandemia globale.

Il combinato disposto di un pericolo reale come il virus e l’infezione che porta con sé, le stesse caratteristiche della malattia (polmonite, senso di soffocamento, intubazione) che alimentano un senso di claustrofobia e un’informazione contraddittoria, a volte sensazionalistica e con una politica basata sulla navigazione a vista, assieme a mesi di confinamento sociale (che alimentano distanza emotiva e diffidenza, altro che “ne usciremo migliori”) hanno creato le condizioni per uno shock generalizzato.

Ed è in questo, come ben preconizzava Naomi Klein nel 2007, che si inseriscono gli interessi predatori delle élite capitalistiche. E la questione sostanziale sta proprio nella loro capacità di essere avvoltoi, che riescono a trarre vantaggio dai disastri e non solo in forma diretta, ma soprattutto indiretta.

 

Le politiche del governo di Draghi sono perfettamente inserite in questa cornice. Usare il momento di fragilità psicologica e sociale del nostro Paese per far passare scelte che altrimenti difficilmente sarebbero state accettate: le privatizzazioni più o meno evidenti nel ddl concorrenza, l’attacco alle pensioni presentando i pensionati come la causa principale dei disastri del nostro Paese, le continue regalie alle imprese e a Confindustria come lo sblocco dei licenziamenti e il flusso incessante di denaro senza condizioni che caratterizzerà l’epoca del PNRR.

Per non citare l’incapacità nella gestione di processi epocali come la transizione ecologica o di conflitti laceranti come quello sul green pass, sostanzialmente ridotto a problema di ordine pubblico, appiattendone tutte le posizioni su quella no-vax complottista.

E i problemi di ordine pubblico, per un governo di inadeguati, si risolvono blindando l’agibilità democratica di un intero Paese. Nessuna manifestazione, nessun corteo, nessuna espressione del dissenso che non sia semplice opinione: sit in, qualche cartello e se volete postate le foto su facebook.

Questo è il salto di qualità della shock economy, e questo è un innalzamento del livello del conflitto che non può essere accettato in una democrazia non solo formale. La democrazia autoritaria, a tutto vantaggio di Confindustria che chiede di non alimentare nessun conflitto tra servi e padroni, facendo finta di conoscere Hegel e tacendo sull’unico interesse di classe ancora in piedi, il suo, va bloccata sul nascere.

C’è un blocco sociale che si sta saldando in modo palese: il mondo degli affari e delle imprese con il Governo dell’Uomo della necessità. E che vede i sindacati confederali incapaci di prendere parola e la gran parte dei media allineati nella santificazione di Mario Draghi.

Forse, rimanendo in metafora, tra attacco, fuga e freezing, è venuto il momento di fare una scelta collettiva.

da qui

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