È stata una tattica di guerra utilizzata ampiamente dagli Stati Uniti nelle
loro campagne paradossali di peace-keeping, ad esempio in
Iraq: shock and awe, colpisci e terrorizza. È stato
teorizzato da Harlan Ullman, ufficiale in congedo e veterano del Vietnam ora
inserito nel gotha del pensiero strategico applicato al business, e da James
Wade nel saggio di oramai 24 anni fa “Shock and Awe: Achieving Rapid
Dominance“. E già il titolo, se non bastasse il testo, è tutto un
programma: come arrivare rapidamente al dominio.
In guerra si è tradotto in un utilizzo di metodi e pratiche che potremmo
definire non ortodosse, basterebbe ricordare Abu Ghraib o le dimostrazioni di
forza con l’uso di armi che non avevano l’obiettivo di radere al suolo la
potenza di fuoco nemica ma di abbatterne il morale e l’equilibrio psicologico.
Del resto lo stesso Sun Tzu, nell’Arte della Guerra, suggeriva di
evitare il nemico quando il suo morale è alto, e attaccarlo quando è basso, o
quando i suoi soldati hanno nostalgia di casa.
Questo per poter avere controllo sul fattore morale.
Il terrore e lo shock portano, per poter sopravvivere, a diverse reazioni
grazie all’attivazione di parti del cervello particolarmente antiche, come il
sistema limbico: l’attacco, la fuga o uno stato definito “freezing”, in
cui ogni reazione viene sospesa in uno stato di stand-by.
Il sovraccarico del sistema nervoso porta a un temporaneo sganciamento
dagli stimoli esterni e da quelli interni, attivando una vera e propria
dissociazione.
Questo avviene nei singoli organismi viventi. Ma altrettanto può accadere in
quelli sociali in cui la psiche collettiva gioca un ruolo non indifferente nel
determinarne i fenomeni e le reazioni.
Lo shock genera spaesamento, disorientamento e dissociazione nelle persone
e nella popolazione generale. Questo avviene nel pieno di una
guerra, ma può essere attivato anche da altri stimoli estremi come
un’alluvione, un forte terremoto. O una pandemia globale.
Il combinato disposto di un pericolo reale come il virus e l’infezione che
porta con sé, le stesse caratteristiche della malattia (polmonite, senso di
soffocamento, intubazione) che alimentano un senso di claustrofobia e
un’informazione contraddittoria, a volte sensazionalistica e con una politica
basata sulla navigazione a vista, assieme a mesi di confinamento sociale (che alimentano
distanza emotiva e diffidenza, altro che “ne usciremo migliori”) hanno creato
le condizioni per uno shock generalizzato.
Ed è in questo, come ben preconizzava Naomi Klein nel 2007, che si
inseriscono gli interessi predatori delle élite capitalistiche. E la questione
sostanziale sta proprio nella loro capacità di essere avvoltoi, che riescono a
trarre vantaggio dai disastri e non solo in forma diretta, ma soprattutto
indiretta.
Le politiche del governo di Draghi sono perfettamente inserite in questa
cornice. Usare il momento di fragilità psicologica e sociale del nostro Paese per
far passare scelte che altrimenti difficilmente sarebbero state
accettate: le privatizzazioni più o meno evidenti nel ddl concorrenza,
l’attacco alle pensioni presentando i pensionati come la causa principale dei
disastri del nostro Paese, le continue regalie alle imprese e a Confindustria
come lo sblocco dei licenziamenti e il flusso incessante di denaro senza
condizioni che caratterizzerà l’epoca del PNRR.
Per non citare l’incapacità nella gestione di processi epocali come la
transizione ecologica o di conflitti laceranti come quello sul green pass,
sostanzialmente ridotto a problema di ordine pubblico, appiattendone tutte le
posizioni su quella no-vax complottista.
E i problemi di ordine pubblico, per un governo di inadeguati, si risolvono
blindando l’agibilità democratica di un intero Paese. Nessuna
manifestazione, nessun corteo, nessuna espressione del dissenso che non sia
semplice opinione: sit in, qualche cartello e se volete postate le foto su
facebook.
Questo è il salto di qualità della shock economy, e questo è un
innalzamento del livello del conflitto che non può essere accettato in una
democrazia non solo formale. La democrazia autoritaria, a tutto
vantaggio di Confindustria che chiede di non alimentare nessun conflitto tra
servi e padroni, facendo finta di conoscere Hegel e tacendo sull’unico
interesse di classe ancora in piedi, il suo, va bloccata sul nascere.
C’è un blocco sociale che si sta saldando in modo palese: il mondo degli
affari e delle imprese con il Governo dell’Uomo della necessità. E che vede i
sindacati confederali incapaci di prendere parola e la gran parte dei media
allineati nella santificazione di Mario Draghi.
Forse, rimanendo in metafora, tra attacco, fuga e freezing, è venuto il
momento di fare una scelta collettiva.
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