Un altro virus si aggira per l’Europa, non meno socialmente pericoloso del
Covid: è quello che potremmo chiamare dell’incattivimento sociale o inimicizia
sociale che porta a vedere nell’altro il nemico da cui difendersi o da
demolire.
I due virus interagiscono l’uno con l’altro come parti di un sistema
finalizzato ad un unico scopo finale: l’autodistruzione della specie.
La manifestazione più evidente e drammatica dell’inimicizia sociale è la
sindrome di accerchiamento che spinge ad un odio spietato e molecolare di
ognuno contro tutti: il vicino di casa, il commerciante all’angolo della
strada, l’immigrato, il medico, colui che professa semplicemente idee diverse
dalle nostre.
La sindrome da accerchiamento prende spesso anche la forma più estrema,
come nel caso dei due giovani uccisi in auto perché sospettati dal proprietario
di una villetta di essere potenziali rapinatori.
Il virus si propaga velocemente, la sua diffusione avviene attraverso i
mass media, i talk show televisivi, la pubblicità, giornalisti alla ricerca di
gossip e, infine, per mezzo di una classe politica che vede nell’avversario
solo un pericoloso nemico da distruggere.
Gli esempi non mancano, anzi si moltiplicano quasi che il paese fosse
diventato un arena dove si svolgono combattimenti mortali, come nella serie
televisiva Squid Game. Dove masse di diseredati lottano tra loro per
conquistare un ricchissimo premio in denaro.
Thomas Mann attraverso la descrizione della vita quotidiana di una famiglia
borghese, i Buddenbrook, ci restuì l’immagine della dissoluzione
della società borghese e dei suoi valori destinati inesorabilmente a sparire.
Oggi ci vorrebbe un’analoga opera letteraria per descrivere la
trasformazione antropologica di una famiglia degli anni Cinquanta, dei suoi
valori, delle speranze e delle passioni politiche che l’animavano.
Perché c’è stato un tempo, subito dopo la guerra e per tutti gli anni
Cinquanta e Sessanta, in cui famiglie di tramvieri, ferrovieri, operai che con
il loro lavoro e facendo grandi sacrifici, erano sorrette da una fede nel
futuro e c’era un clima di convivenza pacifica cui contribuiva l’opera di
assistenza del Partito comunista e del sindacato.
Le sezioni di strada accoglievano chiunque si affacciasse alla loro porta,
le discussioni politiche favorivano l’emancipazione dei singoli, una
solidarietà universale tra lavoratori creava quella cornice di convivenza
pacifica.
Ora quelle famiglie senza più guida sono state catturate dalle lusinghe di
una destra rancorosa: al momento del voto il figlio più piccolo non va alle
urne, quello più grande forse sceglie 5S, la mamma vota Salvini e il vecchio
padre, un tempo militante comunista, non lo dichiara, vergognandosene un po’.
Un furore collettivo anima le piazze dove un tempo le persone si
ritrovavano accomunate da passioni e sentimenti di cambiamento. Ognuno con le
sue motivazioni personali come è dato osservare a proposito delle
manifestazioni no-vax, no green-pass.
Prevalgono individualismo, trasgressività conformista, edonismo permissivo,
azioni fuori da ogni ideologia e da ogni finalità politica: rabbia, furore,
risentimento, rancore, frustrazione.
Le cause sono note ma spesso mal dibattute: la sfiducia nella
classe politica tutta, l’impoverimento generale in un mondo dove la gente
povera diventa sempre più povera e quella ricca sempre più ricca, la delusione
per le aspettative della globalizzazione, salutata negli anni Novanta,
anche dalla sinistra, come benefica e portatrice di un nuovo progresso, la
disoccupazione, il cinismo di gruppi padronali che delocalizzano fabbriche in
base ai costi della manodopera, l’informazione carente e contraddittoria sul
Covid. Ne è testimone la bassa affluenza alle urne e la disaffezione, fattasi
rancore, per tutta la sinistra.
Sembra cadere anche il naturale sentimento di rispetto per gli anziani: la
famosa metafora attribuita a Newton dove i giganti (i vecchi) hanno il compito
di portare sulle loro spalle i nani (i giovani) ancora incapaci di muoversi
autonomamente.
Ora i giganti, umiliati ed offesi, vagano smarriti privati di questo nobile
ruolo e molti giovani, liberi da tutte le regole di convivenza, credono di
acquisire prestigio attraverso gadget e oggetti e scambiano la felicità con il
consumo.
La parata del G20 a Roma è stata un ulteriore elemento di frustrazione: vedere
la città paralizzata mentre file di suv blindati impazzavano per consentire ai
Grandi della Terra di gettare monetine nella Fontana di Trevi. Parata smisurata
se confrontata coi magri risultati ottenuti.
Quant’è lontana questa manifestazione smodata e teatrale da quella
silenziosa di Papa Francesco che, in mesta solitudine attraversava via del
Corso o a quella dello stesso Francesco che, solitario, saliva le scale della
Basilica di San Pietro per inginocchiarsi di fronte alla croce. Forse, di questi
tempi, un po’ di umiltà e sobrietà farebbe bene anche alla sinistra.
Articolo pubblicato anche su il Manifesto
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