sabato 20 novembre 2021

più concorrenza = meno concorrenza (equazione nella neolingua del governo italiano)

 

Il disegno di legge concorrenza, ovvero la festa delle privatizzazioni - Domenico Gallo

 

Il 4 novembre è una data significativa nella storia del nostro paese, non solo festa delle forze armate, ma anche celebrazione della pace ritrovata, della fine del grande massacro della guerra del1915-18. Si parva licet componere magnis, il 4 novembre 2021 è anch’esso una data da ricordare. Il Consiglio dei ministri ha varato il tanto atteso disegno di legge sulla concorrenza e il mercato. Secondo il comunicato stampa: «Il disegno di legge ha come finalità: 1) promuovere lo sviluppo della concorrenza, anche al fine di garantire l’accesso ai mercati di imprese di minori dimensioni; 2) rimuovere gli ostacoli regolatori, di carattere normativo e amministrativo, all’apertura dei mercati; 3) garantire la tutela dei consumatori. Il testo interviene sulla rimozione delle barriere all’entrata dei mercati, sui servizi pubblici locali, su energia e sostenibilità ambientale, sulla tutela della salute, sullo sviluppo delle infrastrutture digitali e sulla rimozione degli oneri e la parità di trattamento tra gli operatori».

La filosofia di fondo è che bisogna rimuovere le barriere normative all’entrata dei mercati e sviluppare la produzione di beni e servizi in regime di concorrenza. In altre parole bisogna consentire al mercato, cioè all’impresa privata di penetrare nel territorio dei servizi pubblici nel quale è difficile espandersi per la presenza dello Stato e della impresa pubblica. Nel comunicato si afferma che: «Il Disegno di legge mira ad assicurare una maggiore qualità ed efficienza nell’erogazione dei servizi pubblici locali, prevedendo una serie di norme finalizzate a definire un quadro regolatorio maggiormente coerente con i principi del diritto europeo. […] In questa prospettiva si introducono norme finalizzate a: ridefinire la disciplina dei servizi pubblici locali, al fine di rafforzare la qualità e l’efficienza e razionalizzare il ricorso da parte degli enti locali allo strumento delle società in house, anche attraverso la previsione dell’obbligo di dimostrare, da parte degli enti medesimi, le ragioni del mancato ricorso al mercato, dei benefici della forma dell’in house dal punto di vista finanziario e della qualità dei servizi e dei risultati conseguiti nelle pregresse gestioni attraverso tale sistema di auto-produzione».

Si chiama razionalizzazione, ma in realtà la parola giusta è scoraggiamento. L’obiettivo è quello di scoraggiare gli Enti pubblici locali dal ricorrere alle società in house (le cosiddette municipalizzate) per la fornitura dei servizi pubblici locali. Il presupposto ideologico è che, se forniti da imprese private, i servizi pubblici sono più belli ed efficienti. In realtà può anche darsi il caso che taluni servizi pubblici in talune località possano essere sviluppati in modo più efficiente da imprese private, ma l’esigenza di aprire il mercato dei servizi pubblici al capitale privato è una mera opzione ideologica che nulla ha a che vedere con il benessere dei cittadini e delle finanze pubbliche. Dietro questa opzione ci sono corposi interessi privati, c’è l’interesse di spartirsi la torta dei servizi pubblici e questo spiega l’entusiasmo che con cui viene accolto Draghi nelle assemblee di Confindustria.

Il Forum italiano dei movimenti per l’acqua parla di una dichiarazione di guerra all’acqua e ai beni comuni, osservando che si tratta di: «un provvedimento ispirato da un’evidente ideologia neoliberista in cui la supremazia del mercato diviene dogma inconfutabile nonostante la realtà dei fatti dimostri il fallimento della gestione privatistica, soprattutto nel servizio idrico: aumento delle tariffe, investimenti insufficienti, aumento delle perdite delle reti, aumento dei consumi e dei prelievi, carenza di depurazione, diminuzione dell’occupazione, diminuzione della qualità del servizio, mancanza di democrazia. Questa norma, di fatto, punta a rendere residuale la forma di gestione del cosiddetto in house providing, ossia l’autoproduzione del servizio compresa la vera e propria gestione pubblica, per cui gli Enti locali che opteranno per tale scelta dovranno “giustificare” (letteralmente) il mancato ricorso al mercato. Nel disegno di legge emerge chiaramente la scelta della privatizzazione. Gli Enti locali che intendano discostarsi da quell’indirizzo dovranno dimostrare anticipatamente e successivamente periodicamente il perché di un’altra scelta, sottoponendola al giudizio dell’Antitrust, oltre a prevedere sistemi di monitoraggio dei costi. Mentre i privati avranno solo l’onere di produrre una relazione sulla qualità del servizio e sugli investimenti effettuati».

In realtà quando si parla di servizi pubblici, il tema non è quello della concorrenza, ma quello della capacità dello Stato e degli Enti pubblici di assicurare la qualità dei servizi a cui sono collegati diritti fondamentali dei cittadini e la loro fruizione universale. Quello che colpisce di più è che si perseguono vecchie opzioni ideologiche senza fare tesoro delle obiezioni che vengono dalla realtà, e in particolare della lezione che la pandemia che ci ha impartito in ordine al valore della sanità pubblica e all’esigenza di rafforzare tutti i presidi pubblici. È assurdo che, per la tutela della salute, la preoccupazione principale del disegno di legge concorrenza sia quella di agevolare l’accesso all’accreditamento delle strutture sanitarie private, cioè di rafforzare il settore privato anziché quello pubblico.

Fino a oggi non è stato ancora pubblicato il testo del disegno di legge concorrenza e sono ancora possibili ripensamenti se ci sarà una mobilitazione immediata dei cittadini e una protesta collettiva degli Enti locali. È urgente che la società civile e l’Associazione Nazionale Comuni italiani facciano sentire la loro voce in difesa dei beni comuni minacciati dalle privatizzazioni. Oggi abbiamo bisogno di più Stato e meno mercato, non viceversa.

da qui



 

Si scrive concorrenza, si legge monopolio privato - coniarerivolta

 

Il Consiglio dei Ministri ha recentemente varato il Disegno di Legge per il Mercato e la ConcorrenzaUn altro tassello delle condizionalità europee va così al suo posto. Come abbiamo detto a più riprese, l’elargizione delle risorse messe a disposizione dalle istituzioni europee attraverso il programma Next Generation EU è strettamente subordinata all’adempimento di una lista lunga e dettagliatissima di condizioni. In questo contesto, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), approvato dal Governo Draghi in primavera, ha rappresentato il cavallo di Troia con cui le condizionalità sono state per la prima volta esplicitate per l’Italia. Adesso, un passo alla volta, i principi generali enunciati nel PNRR vanno tradotti in misure concrete e provvedimenti legislativi, senza i quali si interrompe il flusso di finanziamenti europei, che non a caso vengono erogati a rate semestrali, per garantire che nessun Paese rallenti il ritmo al quale vanno fatti i compiti a casa.

In tale contesto, il DdL Concorrenza è dunque una misura cruciale, che rientra tra le riforme abilitanti previste dal PNRR, “ovvero gli interventi funzionali a garantire l’attuazione del Piano e in generale a rimuovere gli ostacoli amministrativi, regolatori e procedurali che condizionano le attività economiche e la qualità dei servizi erogati”. Il Governo, peraltro, inizia così a mettere in atto quanto la Legge sulla concorrenza – introdotta nel 2009 ma mai davvero attuata – postula, cioè “rivedere lo stato della legislazione e verificare se permangano vincoli normativi alla competitività e al funzionamento dei mercati”, che tradotto in parole semplici vuol dire rimuovere le residue forme di regolamentazione che potrebbero impedire alla ricerca del profitto di esprimersi in maniera piena e senza regole.

Il varo del DdL Concorrenza risponde, infine, alla necessità di adempiere alle Raccomandazioni Specifiche per Paesedella Commissione Europea – secondo cui “l’eliminazione degli ostacoli alla concorrenza gioverebbe a diversi settori, in particolare quello dei servizi”, che sarebbe “oggetto di una regolamentazione eccessiva” – e porre rimedio a diverse procedure d’infrazione a carico dell’Italia, tra le quali possono essere menzionate quelle conseguenti alla mancata applicazione del Regolamento sui servizi portuali e della Direttiva dell’Unione Europea 2006/123/CE (anche nota come Direttiva Bolkenstein), che prevede la liberalizzazione dei servizi nei Paesi dell’Unione.

Ma cosa prevede il DdL Concorrenza? Tra i punti che hanno attirato maggiormente l’attenzione c’è sicuramente la Sezione II, che si occupa di Concessioni e riguarda nello specifico i balneari e gli ambulanti, oltre a settore portuale, distribuzione del gas naturale ed energia idroelettrica.

In particolare, per quanto concerne balneari e ambulanti, l’articolo 2 rimanda ogni provvedimento e misura, delegando il Governo ad avviare entro sei mesi una mappatura in vista di una futura riforma. Una volta definito un quadro chiaro dei beneficiari, della durata e dei rinnovi, dei canoni e della natura della concessione, si potrà procedere a una standardizzazione dei dati e a un’analisi del fenomeno nell’ottica della valorizzazione del bene nell’interesse pubblico, per avviare una discussione sui nuovi meccanismi della messa a gara: insomma, quando si inizierà a fare qualcosa saremo tutti morti di sonno. Nell’unico ambito, quindi, in cui l’introduzione di più ‘concorrenza’ avrebbe comportato una limitazione degli abusi di pochi privilegiati che traggono le proprie fortune dalla messa a profitto delle coste del nostro Paese, tutto è rimandato fumosamente a un futuro non ben specificato.

E poco cambia il fatto che, qualche giorno fa, il Consiglio di Stato abbia sancito che le attuali concessioni marittime potranno continuare fino al 2023, mentre dal 2024 le concessioni saranno assegnate tramite gara alla quale, però, potranno partecipare i proprietari attuali. Ciò che rimane agli atti è che, nell’unico settore in cui si potevano colpire ingiustificati privilegi privati, il Governo ha optato per un compromesso al ribasso dai risvolti inesistenti.

Ma ecco che la ‘concorrenza’ pensata dal Governo Draghi ritrova subito vigore e determinazione, quando si tratta invece di andare ad intaccare i pochi residui di intervento pubblico nell’economia. Con logica in effetti analoga a quella in virtù della si lasciano in pace i possessori di concessioni balneari, cioè la messa a profitto di ogni ambito possibile e immaginabile, ecco la Sezione III del Ddl Concorrenza, che si occupa di Servizi Pubblici Locali e Trasporti.

In particolare, l’articolo 6 delega il governo ad adottare un decreto di riordino della materia (anche tramite apposito testo unico) che preveda l’obbligo di una motivazione anticipata e qualificata a carico degli Enti Locali che vogliano gestire in house – cioè all’interno del perimetro dell’ente pubblico e non affidandoli a privati – i servizi pubblici locali. L’onere della prova, per così dire, passa a carico della gestione pubblica, che va ritenuta fino a prova contraria di per sé meno efficiente e desiderabile. La gestione privatistica, l’esternalizzazione va invece ritenuta la norma, alla quale derogare solamente dopo avere dimostrato preventivamente altrimenti, in maniera rafforzata e inequivocabile. Un onere da ripetere continuativamente, perché la revisione periodica dell’affidamento, già prevista per legge, dovrebbe d’ora in poi considerare le ragioni che giustificano il mantenimento dell’autoproduzione del servizio (un altro modo per dire in house).

Nonostante lo stupore di alcuni, tali disposizioni non sono particolarmente innovative rispetto a quelle già contenute nel Codice degli Appalti in merito all’affidamento in house (articolo 192), ma rafforzano senza dubbio la tendenza all’esternalizzazione dei Servizi Pubblici Locali. In altre parole, il Governo con questa misura frappone ulteriori ostacoli all’affidamento in house, appesantendo fortemente le procedure a carico di quei Comuni che vogliano continuare a gestire in proprio il servizio, i quali dovranno ‘giustificare’ tale scelta, sulla base della presunzione che la gestione privata negli ultimi anni si sia dimostrata intrinsecamente migliore dal punto di vista dell’efficienza e della qualità del servizio.

D’altro canto, stava già tutto scritto nero su bianco nel PNRR (pagina 76) e non è finita qui. La portata dell’intervento si coglie considerando la generalità dei servizi considerati e le loro caratteristiche.

I Servizi pubblici locali ricomprendono infatti settore idrico, rifiuti ed energia, dove l’ulteriore limitazione dell’in house non comporterà l’introduzione della concorrenza, ma la cessione a un singolo privato di un monopolio naturale. Per come è strutturata la filiera di gestione di questi settori, una volta effettuata la gara il soggetto aggiudicatario sarà a tutti gli effetti una società che opera in una situazione di monopolio. Il fortunato monopolista privato dovrà poi fare i conti esclusivamente con la blanda regolazione da parte di un’autorità indipendente – cui la legge affida il compito di regolare le tariffe, la qualità dei servizi e lo stato delle infrastrutture, indipendentemente dalla forma assunta dalla società di gestione (pubblica, mista o privata) – cui compete, a fronte di una capacità di controllo pressoché inesistente, la garanzia dei margini di profitto del gestore privato.

In definitiva, nel settore dei Servizi Pubblici Locali la tanto decantata concorrenza si traduce concretamente in una intensificazione del processo di privatizzazione: non dovremmo stupirci più di tanto, questa misura è in perfetta continuità con i contenuti della lettera del 2011 con cui Mario Draghi invitava il Governo Berlusconi a procedere sulla strada delle indispensabili “privatizzazioni su larga scala”, in particolare proprio nella “fornitura di servizi pubblici locali”. L’accelerazione imposta dal DdL Concorrenza risulta ancora più odiosa nel settore idrico, se consideriamo l’esito del referendum sull’acqua del 2011, che andava in direzione diametralmente opposta. Ma anche qui, le ragioni per stupirsi sono effettivamente poche, poiché già nel PNRR (p. 151) si poteva leggere a chiare lettere quanto fosse prioritario “rafforzare il processo di industrializzazione del settore (si parla qui di servizi idrici integrati) favorendo la costituzione di operatori integrati, pubblici o privati e realizzando economie di scala per una gestione efficiente degli investimenti e delle operazioni”, allo scopo di affermare un modello di multiutility (la natura integrata del servizio si riferisce a questo) che subordina il diritto all’acqua all’accumulazione di profitti e rendite monopolistiche (da qui, invece, l’enfasi sulle economie di scala).

Molto altro si potrebbe dire sul DdL Concorrenza in merito alle disposizioni su trasporto pubblico locale e trasporto non di linea (taxi), servizi portuali e concessioni idroelettriche ma non cambia la sostanza del ragionamento. La linea politica portata avanti dal Governo Draghi è, infatti, perfettamente coerente da questo punto di vista: dietro la cortina fumogena della concorrenza si nasconde sempre e solo la promozione di enormi interessi economici a favore delle classi dominanti e dei pochi, giganteschi attori industriali che si muovono nel business della gestione privatistica dei servizi pubblici. Con il DdL Concorrenza compiamo un ulteriore passo nella direzione della trasformazione strutturale della nostra economia, portata avanti sotto la spinta delle condizionalità imposte dalle istituzioni europee per accedere ai fondi del Next Generation EU.

da qui

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