Il disegno
di legge concorrenza, ovvero la festa delle privatizzazioni - Domenico Gallo
Il 4 novembre è una data significativa nella storia
del nostro paese, non solo festa delle forze armate, ma anche celebrazione
della pace ritrovata, della fine del grande massacro della guerra
del1915-18. Si parva licet componere magnis, il 4
novembre 2021 è anch’esso una data da ricordare. Il Consiglio dei ministri ha
varato il tanto atteso disegno di legge sulla concorrenza e il mercato. Secondo
il comunicato stampa: «Il disegno di legge ha come finalità: 1) promuovere lo
sviluppo della concorrenza, anche al fine di garantire l’accesso ai mercati di
imprese di minori dimensioni; 2) rimuovere gli ostacoli regolatori, di
carattere normativo e amministrativo, all’apertura dei mercati; 3) garantire la
tutela dei consumatori. Il testo interviene sulla rimozione delle barriere
all’entrata dei mercati, sui servizi pubblici locali, su energia e
sostenibilità ambientale, sulla tutela della salute, sullo sviluppo delle
infrastrutture digitali e sulla rimozione degli oneri e la parità di
trattamento tra gli operatori».
La filosofia di fondo è che bisogna rimuovere le
barriere normative all’entrata dei mercati e sviluppare la produzione di beni e
servizi in regime di concorrenza. In altre parole bisogna consentire al
mercato, cioè all’impresa privata di penetrare nel territorio dei servizi
pubblici nel quale è difficile espandersi per la presenza dello Stato e della
impresa pubblica. Nel comunicato si afferma che: «Il Disegno di legge mira ad
assicurare una maggiore qualità ed efficienza nell’erogazione dei servizi
pubblici locali, prevedendo una serie di norme finalizzate a definire un quadro
regolatorio maggiormente coerente con i principi del diritto europeo. […] In
questa prospettiva si introducono norme finalizzate a: ridefinire la disciplina
dei servizi pubblici locali, al fine di rafforzare la qualità e l’efficienza e
razionalizzare il ricorso da parte degli enti locali allo strumento delle
società in house, anche attraverso la previsione dell’obbligo di
dimostrare, da parte degli enti medesimi, le ragioni del mancato ricorso al
mercato, dei benefici della forma dell’in house dal punto di vista
finanziario e della qualità dei servizi e dei risultati conseguiti nelle
pregresse gestioni attraverso tale sistema di auto-produzione».
Si chiama razionalizzazione, ma in realtà la parola
giusta è scoraggiamento. L’obiettivo è quello di scoraggiare gli Enti pubblici
locali dal ricorrere alle società in house (le cosiddette
municipalizzate) per la fornitura dei servizi pubblici locali. Il presupposto
ideologico è che, se forniti da imprese private, i servizi pubblici sono più
belli ed efficienti. In realtà può anche darsi il caso che taluni servizi
pubblici in talune località possano essere sviluppati in modo più efficiente da
imprese private, ma l’esigenza di aprire il mercato dei servizi pubblici al
capitale privato è una mera opzione ideologica che nulla ha a che vedere con il
benessere dei cittadini e delle finanze pubbliche. Dietro questa opzione ci
sono corposi interessi privati, c’è l’interesse di spartirsi la torta dei
servizi pubblici e questo spiega l’entusiasmo che con cui viene accolto Draghi
nelle assemblee di Confindustria.
Il Forum italiano dei movimenti per l’acqua parla di
una dichiarazione di guerra all’acqua e ai beni comuni, osservando che si
tratta di: «un provvedimento ispirato da un’evidente ideologia neoliberista in
cui la supremazia del mercato diviene dogma inconfutabile nonostante la realtà
dei fatti dimostri il fallimento della gestione privatistica, soprattutto nel
servizio idrico: aumento delle tariffe, investimenti insufficienti, aumento
delle perdite delle reti, aumento dei consumi e dei prelievi, carenza di depurazione,
diminuzione dell’occupazione, diminuzione della qualità del servizio, mancanza
di democrazia. Questa norma, di fatto, punta a rendere residuale la forma di
gestione del cosiddetto in house providing, ossia l’autoproduzione
del servizio compresa la vera e propria gestione pubblica, per cui gli Enti
locali che opteranno per tale scelta dovranno “giustificare” (letteralmente) il
mancato ricorso al mercato. Nel disegno di legge emerge chiaramente la scelta
della privatizzazione. Gli Enti locali che intendano discostarsi da
quell’indirizzo dovranno dimostrare anticipatamente e successivamente
periodicamente il perché di un’altra scelta, sottoponendola al giudizio
dell’Antitrust, oltre a prevedere sistemi di monitoraggio dei costi. Mentre i
privati avranno solo l’onere di produrre una relazione sulla qualità del
servizio e sugli investimenti effettuati».
In realtà quando si parla di servizi pubblici, il tema
non è quello della concorrenza, ma quello della capacità dello Stato e degli
Enti pubblici di assicurare la qualità dei servizi a cui sono collegati diritti
fondamentali dei cittadini e la loro fruizione universale. Quello che colpisce
di più è che si perseguono vecchie opzioni ideologiche senza fare tesoro delle
obiezioni che vengono dalla realtà, e in particolare della lezione che la
pandemia che ci ha impartito in ordine al valore della sanità pubblica e
all’esigenza di rafforzare tutti i presidi pubblici. È assurdo che, per la
tutela della salute, la preoccupazione principale del disegno di legge
concorrenza sia quella di agevolare l’accesso all’accreditamento delle
strutture sanitarie private, cioè di rafforzare il settore privato anziché
quello pubblico.
Fino a oggi non è stato ancora pubblicato il testo del
disegno di legge concorrenza e sono ancora possibili ripensamenti se ci sarà
una mobilitazione immediata dei cittadini e una protesta collettiva degli Enti
locali. È urgente che la società civile e l’Associazione Nazionale Comuni
italiani facciano sentire la loro voce in difesa dei beni comuni minacciati
dalle privatizzazioni. Oggi abbiamo bisogno di più Stato e meno mercato, non
viceversa.
Si scrive concorrenza, si
legge monopolio privato - coniarerivolta
Il Consiglio dei Ministri ha
recentemente varato il Disegno di Legge per il Mercato
e la Concorrenza. Un altro tassello delle
condizionalità europee va così al suo posto. Come abbiamo detto a più riprese, l’elargizione delle risorse messe a
disposizione dalle istituzioni europee attraverso il programma Next Generation
EU è strettamente subordinata all’adempimento di una lista lunga e
dettagliatissima di condizioni. In questo contesto, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR),
approvato dal Governo Draghi in primavera, ha rappresentato il cavallo di Troia
con cui le condizionalità sono state per la prima volta esplicitate per
l’Italia. Adesso, un passo alla volta, i principi generali enunciati nel PNRR
vanno tradotti in misure concrete e provvedimenti legislativi, senza i quali si
interrompe il flusso di finanziamenti europei, che non a caso vengono erogati a
rate semestrali, per garantire che nessun Paese rallenti il ritmo al quale
vanno fatti i compiti a casa.
In tale contesto, il DdL Concorrenza
è dunque una misura cruciale, che rientra tra
le riforme abilitanti previste dal PNRR, “ovvero gli interventi
funzionali a garantire l’attuazione del Piano e in generale a rimuovere gli
ostacoli amministrativi, regolatori e procedurali che condizionano le attività
economiche e la qualità dei servizi erogati”. Il Governo, peraltro, inizia così
a mettere in atto quanto la Legge sulla concorrenza –
introdotta nel 2009 ma mai davvero attuata – postula, cioè “rivedere lo stato
della legislazione e verificare se permangano vincoli normativi alla
competitività e al funzionamento dei mercati”, che tradotto in parole semplici
vuol dire rimuovere le residue forme di regolamentazione che
potrebbero impedire alla ricerca del profitto di esprimersi in maniera piena e
senza regole.
Il varo del DdL Concorrenza
risponde, infine, alla necessità di adempiere alle Raccomandazioni Specifiche per
Paesedella Commissione Europea – secondo cui “l’eliminazione degli
ostacoli alla concorrenza gioverebbe a diversi settori, in particolare quello
dei servizi”, che sarebbe “oggetto di una regolamentazione eccessiva” – e porre
rimedio a diverse procedure d’infrazione a
carico dell’Italia, tra le quali possono essere menzionate quelle conseguenti
alla mancata applicazione del Regolamento sui servizi
portuali e della Direttiva dell’Unione Europea
2006/123/CE (anche nota come Direttiva Bolkenstein),
che prevede la liberalizzazione dei servizi nei Paesi dell’Unione.
Ma cosa prevede il DdL Concorrenza? Tra i
punti che hanno attirato maggiormente l’attenzione c’è sicuramente la Sezione
II, che si occupa di Concessioni e riguarda nello specifico i
balneari e gli ambulanti, oltre a settore portuale, distribuzione
del gas naturale ed energia idroelettrica.
In particolare, per quanto
concerne balneari e ambulanti, l’articolo 2 rimanda ogni
provvedimento e misura, delegando il Governo ad avviare entro sei mesi una
mappatura in vista di una futura riforma. Una volta definito un quadro chiaro
dei beneficiari, della durata e dei rinnovi, dei canoni e della natura della
concessione, si potrà procedere a una standardizzazione dei dati e a un’analisi
del fenomeno nell’ottica della valorizzazione del bene nell’interesse pubblico,
per avviare una discussione sui nuovi meccanismi della messa a gara: insomma,
quando si inizierà a fare qualcosa saremo tutti morti di sonno. Nell’unico
ambito, quindi, in cui l’introduzione di più ‘concorrenza’ avrebbe comportato
una limitazione degli abusi di pochi privilegiati che traggono le proprie
fortune dalla messa a profitto delle coste del nostro Paese, tutto è rimandato
fumosamente a un futuro non ben specificato.
E poco cambia il fatto che, qualche
giorno fa, il Consiglio di Stato abbia
sancito che le attuali concessioni marittime potranno
continuare fino al 2023, mentre dal 2024 le concessioni saranno assegnate
tramite gara alla quale, però, potranno partecipare i proprietari attuali. Ciò
che rimane agli atti è che, nell’unico settore in cui si potevano colpire
ingiustificati privilegi privati, il Governo ha optato per un compromesso al ribasso
dai risvolti inesistenti.
Ma ecco che la ‘concorrenza’ pensata
dal Governo Draghi ritrova subito vigore e determinazione, quando si tratta
invece di andare ad intaccare i pochi residui di intervento pubblico
nell’economia. Con logica in effetti analoga a quella in virtù della si
lasciano in pace i possessori di concessioni balneari, cioè la messa a profitto
di ogni ambito possibile e immaginabile, ecco la Sezione III del Ddl Concorrenza, che si occupa di Servizi Pubblici
Locali e Trasporti.
In particolare, l’articolo 6 delega
il governo ad adottare un decreto di riordino della materia (anche tramite
apposito testo unico) che preveda l’obbligo di una motivazione anticipata e
qualificata a carico degli Enti Locali che vogliano gestire in house – cioè all’interno del perimetro
dell’ente pubblico e non affidandoli a privati – i servizi pubblici locali. L’onere della prova, per così
dire, passa a carico della gestione pubblica, che va ritenuta fino a prova
contraria di per sé meno efficiente e desiderabile. La gestione
privatistica, l’esternalizzazione va invece ritenuta la
norma, alla quale derogare solamente dopo avere dimostrato
preventivamente altrimenti, in maniera rafforzata e inequivocabile. Un onere da
ripetere continuativamente, perché la revisione periodica dell’affidamento, già
prevista per legge, dovrebbe d’ora in poi considerare le ragioni che
giustificano il mantenimento dell’autoproduzione del servizio (un altro modo
per dire in house).
Nonostante lo stupore di alcuni,
tali disposizioni non sono particolarmente innovative rispetto a quelle già
contenute nel Codice degli Appalti in merito
all’affidamento in house (articolo 192), ma rafforzano senza
dubbio la tendenza all’esternalizzazione dei Servizi Pubblici Locali. In altre
parole, il Governo con questa misura frappone ulteriori ostacoli
all’affidamento in house, appesantendo fortemente
le procedure a carico di quei Comuni che vogliano continuare a gestire in
proprio il servizio, i quali dovranno ‘giustificare’ tale scelta, sulla base
della presunzione che la gestione privata negli ultimi anni si sia dimostrata
intrinsecamente migliore dal punto di vista dell’efficienza e della qualità del
servizio.
D’altro canto, stava già tutto
scritto nero su bianco nel PNRR (pagina 76) e non è finita qui. La portata
dell’intervento si coglie considerando la generalità dei servizi considerati e
le loro caratteristiche.
I Servizi pubblici locali
ricomprendono infatti settore idrico, rifiuti ed
energia, dove l’ulteriore limitazione dell’in house non comporterà l’introduzione della
concorrenza, ma la cessione a un singolo privato di un monopolio naturale. Per
come è strutturata la filiera di gestione di questi settori, una volta
effettuata la gara il soggetto aggiudicatario sarà a tutti gli effetti una
società che opera in una situazione di monopolio. Il fortunato monopolista
privato dovrà poi fare i conti esclusivamente con la blanda regolazione da
parte di un’autorità indipendente – cui la legge affida il compito di regolare
le tariffe, la qualità dei servizi e lo stato delle infrastrutture,
indipendentemente dalla forma assunta dalla società di gestione (pubblica,
mista o privata) – cui compete, a fronte di una capacità di controllo pressoché
inesistente, la garanzia dei margini di profitto del gestore privato.
In definitiva, nel settore dei Servizi
Pubblici Locali la tanto decantata concorrenza si traduce concretamente in una
intensificazione del processo di privatizzazione: non dovremmo stupirci più di
tanto, questa misura è in perfetta continuità con i contenuti della lettera del 2011 con cui Mario
Draghi invitava il Governo Berlusconi a procedere sulla strada
delle indispensabili “privatizzazioni su larga scala”, in particolare proprio
nella “fornitura di servizi pubblici locali”. L’accelerazione imposta dal DdL
Concorrenza risulta ancora più odiosa nel settore idrico, se consideriamo
l’esito del referendum sull’acqua del 2011,
che andava in direzione diametralmente opposta. Ma anche qui, le ragioni per
stupirsi sono effettivamente poche, poiché già nel PNRR (p. 151) si poteva leggere a chiare lettere
quanto fosse prioritario “rafforzare il processo di industrializzazione del
settore (si parla qui di servizi idrici integrati) favorendo la
costituzione di operatori integrati, pubblici o privati e realizzando economie
di scala per una gestione efficiente degli investimenti e delle operazioni”,
allo scopo di affermare un modello di multiutility (la
natura integrata del servizio si riferisce a questo) che subordina il diritto
all’acqua all’accumulazione di profitti e rendite monopolistiche (da qui,
invece, l’enfasi sulle economie di scala).
Molto altro si potrebbe dire sul DdL
Concorrenza in merito alle disposizioni su trasporto pubblico locale e
trasporto non di linea (taxi), servizi portuali e concessioni idroelettriche ma
non cambia la sostanza del ragionamento. La linea politica portata avanti dal
Governo Draghi è, infatti, perfettamente coerente da questo punto di vista:
dietro la cortina fumogena della
concorrenza si nasconde sempre e solo la promozione di enormi
interessi economici a favore delle classi dominanti e dei pochi, giganteschi
attori industriali che si muovono nel business della gestione privatistica dei
servizi pubblici. Con il DdL Concorrenza compiamo un ulteriore passo nella
direzione della trasformazione strutturale della nostra economia, portata
avanti sotto la spinta delle condizionalità imposte dalle istituzioni europee
per accedere ai fondi del Next Generation EU.
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