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(Paginauno
n. 74, ottobre – novembre 2021)
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Gli ultimi studi su vaccini, contagiosità e immunità
naturale, la blockchain europea del Green Pass con le ‘condizionalità’ che
implementa e l’identità digitale, i corpi docili e la disciplina come pratica
di potere
“Il corpo è anche direttamente immerso in un campo
politico: i rapporti di potere operano su di lui una presa immediata,
l’investono e lo marchiano, lo addestrano, lo suppliziano, lo costringono a
certi lavori, l’obbligano a delle cerimonie, esigono da lui dei segni. Questo
investimento politico del corpo è legato, secondo relazioni complesse e
reciproche, alla sua utilizzazione economica. È in gran parte come forza di
produzione che il corpo viene investito da rapporti di potere e di dominio, ma,
in cambio, il suo costituirsi come forza di lavoro è possibile solo se esso
viene preso in un sistema di assoggettamento: il corpo diviene forza utile solo
quando è contemporaneamente corpo produttivo e corpo assoggettato.”
Michel Foucault, Sorvegliare e punire
“Chi non astrae da ciò che è dato, chi non collega i
fatti ai fattori che li hanno prodotti, chi non disfà i fatti nella sua mente,
in realtà non pensa.”
Herbert Marcuse, L’uomo a una dimensione
Ciò che ruota attorno a Covid-19,
vaccini e Green Pass andando a investire le sfere politiche, economiche e
sociali, è molto ampio. Circoscrivere un’analisi a un focus è inevitabile. Su
ciò che è stata la gestione politica della pandemia abbiamo già scritto ad
aprile 2020 (1), e con il passare del tempo la situazione non è affatto
cambiata. La novità degli ultimi mesi sono i vaccini. Non si intende qui
approfondire l’intricata questione – sperimentazione, produzione, brevetti,
effetti collaterali, sviluppo alternativo del protocollo per le terapie di cura
ecc. – ma la campagna vaccinale italiana e l’introduzione del Green Pass, con
la tecnologia blockchain e la rete europea Gateway che lo
caratterizzano.
Partiamo dai punti fermi.
1. Vaccinazione e Green Pass sono due
atti differenti. La scelta di vaccinarsi contro il virus Sars-Cov-2 tocca
aspetti intimi e personali quali le ataviche paure della malattia e della
morte, a cui ciascuno risponde con le proprie, insindacabili, scelte. Quanto la
martellante propaganda politica e mediatica abbia alimentato ad arte tutte le possibili paure umane in questi quasi due
anni, è un discorso che esula dalla riflessione che si vuole qui affrontare:
resta l’esistenza del sentimento con cui ognuno deve scendere a patti, e la vaccinazione
è uno dei patti possibili. Il Green Pass è un’altra cosa: pur vaccinandosi, si
può decidere di non scaricarlo e di non utilizzarlo. Sulla sua divenuta
obbligatorietà di fatto, legata all’università e al lavoro, torneremo più
avanti, ma la questione focale è che vaccinazione e Green Pass sono due azioni
separate, due decisioni diverse in capo a ogni persona, e la prima non implica
per forza la seconda.
2. La libertà individuale non è
assoluta: all’interno di una comunità deve fare i conti con la dimensione
collettiva, ossia deve limitarsi.
Stabilito questo, si tratta di
ragionare.
Il sonno della logica
Due sono gli aspetti che investono la
vaccinazione: protezione personale e circolazione del virus (ossia protezione
degli altri). Su questi temi, aggiungiamo altri punti fermi.
3. Il vaccino tutela il vaccinato dal
contrarre la malattia in forma grave e quindi, in teoria, dal ricovero
ospedaliero e, si spera, dalla morte. L’ultimo studio al momento disponibile
(21 luglio 2021) dell’Istituto Superiore di Sanità (2) analizza le
caratteristiche dei 127.044 pazienti deceduti e positivi a SARS-CoV-2 (sono lo
0,21% della popolazione italiana, secondo i dati Istat): l’età media è 80 anni
e, su un campione rappresentativo di ogni fascia di età, il numero medio di
patologie presenti è 3,7. Sono numeri che, a distanza di 16 mesi dall’inizio
dell’epidemia, confermano il dato che i decessi colpiscono gli anziani,
prevalentemente con patologie, e le persone non anziane già compromesse da
patologie.
4. Si moltiplicano studi e dichiarazioni
che fissano a sei mesi la protezione degli attuali vaccini, periodo dopo il
quale l’efficacia progressivamente diminuisce in modo importante. Una ricerca
pubblicata su Lancet e confermata da Luis Jodar, vicepresidente senior e direttore
medico di Pfizer Vaccines, afferma che dopo sei mesi l’efficacia di due dosi
Pfizer decade dall’88% al 47% e che “le infezioni da Covid-19 nelle persone che
hanno ricevuto due dosi di vaccino sono pertanto molto probabilmente dovute
alla diminuzione di efficacia e non causate dalla Delta o altre varianti che
sfuggono alla protezione del vaccino” (3): da qui l’avvio della campagna per la
terza dose.
5. Anche le persone vaccinate possono
trasmettere il virus. Al momento non si hanno ancora studi con numeri
definitivi, ma la contagiosità sembra essere inferiore rispetto ai non
vaccinati. Quello della Oxford University del 29 settembre, pubblicato in
preprint su MedrXiv (4) – quindi ancora privo della peer-reviewed – sembra
essere l’ultimo e più completo studio sul tema: basato sul tracciamento di un
campione di 95.716 casi indice, ha rilevato una minore contagiosità rispetto
alla variante Delta del 65% per Pfizer e del 36% per AstraZeneca. Da una parte
quindi si conferma che i due principali vaccini non bloccano la trasmissione,
dall’altra è comunque positivo, soprattutto per il dato di Pfizer – molto meno
per quello di AstraZeneca – poter ridurre la circolazione del virus. Tuttavia
il tracciamento operato ha evidenziato anche che dopo appena 12 settimane (meno
di tre mesi) non si misura più alcuna differenza tra vaccinati e non vaccinati
nella trasmissione della variante Delta. In altre parole, i due vaccini presi
in esame proteggono dal contagio per appena tre mesi.
Lo studio rileva inoltre che gli eventi di
contatto si sono verificati “prevalentemente all’interno delle famiglie (70%),
nei visitatori delle famiglie (10%), in eventi e attività (10%) e al
lavoro/scuola (10%)”: ci si contagia dunque all’80% nell’ambiente domestico e
solo per il 20% nei luoghi pubblici (dove ora è necessario il Green Pass).
Infine un dato estremamente
significativo: la contagiosità degli asintomatici. Il tracciamento ha mostrato
che, nel caso dei vaccinati, la trasmissibilità del virus (variante Delta) da
parte degli asintomatici era ridotta del 39%; contemporaneamente però si è
rilevato che “le cariche virali nelle infezioni della variante Delta che si
verificano dopo la vaccinazione sono
simili negli individui vaccinati e non vaccinati, anche se la durata dello
spargimento virale può essere ridotta. Ciò mette in dubbio che la vaccinazione
possa controllare la diffusione della Delta con la stessa efficacia di Alpha
(la precedente variante, n.d.a.) e se, con
una maggiore trasmissibilità, ciò spieghi la rapida diffusione globale della
Delta nonostante la crescente copertura vaccinale”. Ripetiamo che è uno studio
recente che attende la peer-reviewed, e quindi dati definitivi sulla questione
ancora non esistono, ma indubbiamente i ricercatori sono autorevoli e il
campione preso in esame è ampio.
6. L’immunità naturale offre una
protezione più duratura rispetto ai vaccini, e la acquisiscono anche gli
asintomatici e i paucisintomatici. Il 7 luglio 2021 l’Istituto Mario Negri
affronta il tema (5) mettendo a confronto diversi studi internazionali, e
aggiunge: “I dati ufficiali riportano che circa il 10% della popolazione
italiana ha avuto una diagnosi di laboratorio di positività al SARS-CoV-2.
Questa percentuale, in realtà, potrebbe essere molto più alta dato che la
maggior parte delle infezioni (si stima tra l’80 e il 90%) rimane asintomatica
e non viene quindi diagnosticata”. Per quanto sia una stima, è un numero
impressionante; anche fosse solo il 40-50%. Perché significa, dopo 19 mesi di
pandemia e tre ondate, che oggi una parte niente affatto irrilevante della
popolazione – milioni di persone – è già protetta dall’immunità naturale senza saperlo, e altri milioni di cittadini potrebbero
acquisirla entrando in contatto con il virus evitando di ammalarsi. Una
immunità a lungo termine, che potrebbe durare addirittura anni grazie alle
“cellule della memoria” che si rifugiano nel midollo osseo, e proteggere anche
dalle varianti (quelle finora conosciute, ovviamente: non si può studiare ciò
che ancora non esiste): si rimanda direttamente al link in nota per i dettagli
scientifici. L’Istituto Negri evidenza inoltre che nelle persone già in
possesso dell’immunità naturale la vaccinazione aumenta la protezione dal
virus, ed è ovvio: produce gli anticorpi a breve – quelli che decadono dopo sei
mesi circa – sommandoli alla protezione delle cellule della memoria. Ma il
punto è che gli studi effettuati finora mostrano che l’immunità naturale di
durata già offre, di per sé, la protezione.
7. Quando ragioniamo in termini di
trasmissibilità/circolazione del virus, quindi, la semplice equazione
“non-vaccinato = maggiore contagiosità rispetto al vaccinato” è errata: sia
perché non tiene conto dell’immunità naturale già acquisita inconsapevolmente da milioni di persone rimaste
asintomatiche nelle precedenti ondate, sia perché la minore contagiosità dei
vaccinati potrebbe durare appena tre mesi (a fronte di un Green Pass che ne
dura dodici). Certo il Pass viene rilasciato anche a chi ha una diagnosi di
guarigione dal Covid, dunque a chi ha l’immunità naturale, ma è evidente che un
asintomatico non può avere una diagnosi di guarigione da una malattia di cui
non ha manifestato sintomi.
Tirando le somme, il vaccino protegge se
stessi dalla malattia grave ma non protegge in egual misura gli altri; pur diminuendo
la diffusione del virus (forse per appena tre mesi), non ne blocca la
circolazione – né l’eventuale creazione di varianti –; milioni di persone hanno
inconsapevolmente già acquisito una immunità naturale che li pone sullo stesso
piano dei vaccinati ed è durevole (a differenza di quella data dai vaccini, a
quanto pare); gli asintomatici vaccinati hanno cariche virali simili a quelle
dei non vaccinati, e questo incide nella trasmissibilità del virus; la
mortalità per Covid-19 colpisce i ‘fragili’, ossia anziani (prevalentemente con
patologie) e non anziani già compromessi da patologie.
La prima considerazione è ovvia: le
categorie ‘fragili’ possono proteggersi. Questo è il dato principale e positivo
della vaccinazione. E significa anche, parallelamente, che non si pone alcun
dilemma etico tra libertà individuale e collettività, perché le conseguenze
della scelta di non immunizzarsi con il siero ricadono unicamente sulla persona
che opera tale scelta: l’altro, che ha
optato per la vaccinazione, è protetto. Dunque, come è insindacabile la
decisione personale di vaccinarsi, lo è quella contraria.
È privo di fondamento ribattere che la
mancata inoculazione è comunque un atto egoista e irresponsabile in quanto, se
si contrae la malattia, si contribuisce a intasare gli
ospedali, pesando quindi economicamente sul sistema sanitario e togliendo posti
letto ad altre patologie: al di là del fatto che il ragionamento apre a una
pericolosa deriva da Stato etico, che impone una condotta sanitaria ai
cittadini in nome dell’utilitarismo (non fumare perché il tuo eventuale tumore
ai polmoni inciderà sul sistema sanitario, non ingrassare, non bere ecc.),
quanti 12enni, 20enni, 30enni, 40enni, 50enni hanno intasato gli ospedali nelle precedenti ondate,
occupando posti letto? I dati dell’ISS (6) danno la risposta. Dal 23 febbraio
2020 al 4 ottobre 2021 (19 mesi) i ricoveri totali sono stati 433.835: appena
il 17,16% hanno riguardato la fascia di età 12-50 anni (0,91% per 12-20 anni;
2,79% per 21-30 anni; 4,74% per 31-40 anni; 8,71% per 41-50 anni). Se guardiamo
alle terapie intensive, negli stessi 19 mesi il totale degli ingressi è stato
di 58.950: solo il 10,16% relativo a persone tra 12 e 50 anni (0,25% nella
fascia di età 12-20; 0,82% per 21-30 anni; 2,41% per 31-40 anni; 6,68% per
41-50 anni). Numeri che nulla hanno intasato.
La seconda considerazione investe la
scelta politica di mettere in atto una campagna vaccinale sull’intera
popolazione sopra i 12 anni – mentre si sta studiando anche il siero per i
bambini –: sulla base dei dati e dei fattori sopra analizzati, è una decisione
che non ha alcun fondamento logico. Una cosa è rendere disponibile il vaccino a
tutti i cittadini, dando la priorità alle categorie ‘fragili’: questo approccio
consente a ognuno di fare insindacabilmente la propria libera scelta (libera significherebbe informata, l’esatto contrario della propaganda da cui
siamo stati martellati, ma è un diverso discorso che qui non affrontiamo); un
altro è obbligare di fatto tutta la popolazione a vaccinarsi, con
l’introduzione del Green Pass – che vedremo.
A sostegno della inoculazione di massa
si continua a portare il rapporto rischi/benefici, ma è una narrazione falsata
in partenza perché mistifica i fattori di realtà fino a oggi conosciuti: anche
escludendo i recenti dati acquisiti nello studio della Oxford University sopra
riportato (soprattutto la decadenza del minor contagio da vaccinazione dopo 12
settimane, poi la questione degli asintomatici), da una parte abbiamo
l’immunità naturale duratura già
acquisita da milioni di persone e il loro contributo al rallentamento della
circolazione del virus, dall’altra c’è l’attuale impossibilità a conoscere gli
effetti a lungo termine della vaccinazione; un aspetto che non può essere messo
da parte con superficiale rapidità, soprattutto per adolescenti e giovani – per
non parlare dei bambini.
Vale la pena ricordare che l’EMA ha
rilasciato a tutti i vaccini una “autorizzazione condizionata” (conditional marketing authorization) proprio per
l’assenza delle informazioni relative ai rischi a lungo termine: Pfizer, per
esempio, prevede di terminare i trial clinici il 2 maggio 2023 (7). Una
criticità evidenziata sia dall’OMS (“Non sono ancora disponibili dati sulla
sicurezza a lungo termine e il tempo di follow-up rimane limitato” [8]) che
dall’EMA (“Al momento della disponibilità del vaccino, la sicurezza a lungo
termine del vaccino BNT162b2 mRNA [Pfizer] non è completamente nota […] le
informazioni mancanti riguardano: dati di sicurezza a lungo termine; uso in
gravidanza e durante l’allattamento; uso in pazienti immunocompromessi; uso in
pazienti fragili con comorbilità […] uso in pazienti con disturbi autoimmuni o
infiammatori; interazione con altri vaccini” [9]). Ora, detta brutalmente: una
persona anziana può a ragion veduta ritenere poco rilevanti gli eventuali
effetti a lungo termine del vaccino, a fronte di un rischio molto più concreto
di malattia grave Covid-19; un adolescente o un 50enne inverte i fattori
dell’equazione.
Certo esiste una parte di popolazione
che per ragioni di salute non può vaccinarsi, ma purtroppo è un aspetto che i
vaccini non hanno affatto risolto, vista la loro incapacità a bloccare la
circolazione del virus. È infatti un ulteriore dato che avrebbe dovuto
incentivare investimenti e attenzione sullo studio dei protocolli di cura,
rimasti invece al palo: i vaccini ci salveranno è
stato l’unico approccio sanitario, fin dall’inizio. E se gettiamo uno sguardo
al domani, l’impostazione non sembra cambiare: il 4 ottobre l’Ema ha approvato
la terza dose per tutti gli over18 mentre Ugur Sahin, amministratore delegato
di BioNTech (in un’intervista al Financial Times), Albert Bourla,
amministratore delegato di Pfizer (alla ABC) e Stéphane Bancel, CEO di Moderna
(al quotidiano svizzero Neue Zuercher Zeitung) hanno già messo le mani avanti
dichiarando in coro che il futuro sarà la vaccinazione annuale (10).
Affermazione che è scappata di bocca anche a Draghi, nella conferenza stampa
dell’8 aprile scorso: “Dovremo continuare a vaccinarci negli anni a venire
perché ci saranno delle varianti, quindi questi vaccini vanno adattati”.
Approccio valido per i ricchi Paesi che possono acquistare e pagare alle
società farmaceutiche le dosi di vaccino, ovviamente: i cittadini ‘fragili’ dei
Paesi poveri possono sperare e attendere (11).
A supporto dell’imposizione di una
vaccinazione di massa non può essere richiamato nemmeno l’eventuale fattore
‘long covid’, non essendoci ancora studi in grado di fotografarlo con dati
certi, e nemmeno il tema ‘varianti’: gli attuali sieri sono stati sviluppati
precedentemente all’individuazione delle varianti. L’apertura della campagna
vaccinale in queste condizioni è stata una scommessa: solo dopo infatti i dati
hanno mostrato che i vaccini danno protezione anche dalla variante Delta. Una
scelta decisamente discutibile sul piano del rapporto rischi/benefici.
In conclusione, la realtà che viviamo è
nebulosa e illogica: nebulosa per tutto ciò che ancora non è chiaro, illogica
per tutto ciò che già lo è. E anziché agire con cautela, riservare il vaccino
alle categorie ‘fragili’ di tutti i Paesi
del pianeta, informare adeguatamente i cittadini, rafforzare la sanità di
territorio e lo studio dei protocolli di cura, rendere accessibili tamponi
gratuiti, l’Unione europea si è inventata il Green Pass e governo e Parlamento
italiano l’hanno trasformato in un obbligo vaccinale.
L’obbligo vaccinale
del Green Pass
Si parla di “spinta gentile” e di
“obbligo surrettizio”, invocando perfino una legge che renda l’obbligo
trasparente. Il Green Pass è un ricatto: esteso a università (1 settembre) e
lavoro (15 ottobre) si configura come un obbligo vaccinale che discrimina chi
non accetta un trattamento sanitario.
È un obbligo perché non lascia scelta a
milioni di persone, coloro che non possono permettersi di pagare due/tre
tamponi a settimana, operando una discriminazione di tipo economico su un bisogno fondamentale: il lavoro. (E non
chiamiamolo diritto perché raggira la
realtà: diritto è qualcosa che mi appartiene e posso
scegliere se rivendicare o meno, bisogno è qualcosa
che non mi lascia scelta. Diverso è ciò che Marx definiva “attività” in una
società non capitalistica, ma è un altro discorso…) Il lavoro è un bisogno
perché per vivere, pagare il cibo, l’affitto e le bollette, si deve lavorare. Al prezzo calmierato di 15 euro a
tampone si sommano 45 euro a settimana, 180 euro al mese. Per una persona. In
ottica familiare, magari con figli all’università, la spesa può moltiplicarsi.
La scelta che viene data a queste persone, nella
situazione nebulosa e illogica in cui ci troviamo, è accettare un trattamento
sanitario che non vogliono o non avere i soldi per sopravvivere.
C’è poi l’aspetto della gestione:
cercare la farmacia che applica il prezzo calmierato, prenotare il tampone ogni
due giorni, calcolare l’orario – compatibilmente con quello lavorativo – per
poter sfruttare a pieno le 48 ore… quanto tempo si può resistere prima di
cedere al ricatto? Al momento, l’Italia è l’unico Paese al mondo che ha esteso
il Green Pass ai luoghi di lavoro, mentre solo quattro Stati hanno imposto
l’obbligo vaccinale direttamente per legge: Indonesia, Turkmenistan, Tagikistan
e Micronesia.
Per non parlare del paradosso che prende
vita: all’interno dei luoghi ‘solo Green Pass’ sono i vaccinati a poter portare
il virus; chi sceglie di non farlo ha in mano un tampone negativo e quindi
tutela davvero gli altri.
Tamponi e protocolli di cura infatti,
accanto alla vaccinazione delle persone ‘fragili’, sono strumenti sanitari; il
Green Pass è un lasciapassare politico.
“L’Assemblea esorta gli Stati membri e
l’Unione europea” afferma la Risoluzione 2361 del 27 gennaio 2021 del Consiglio
d’Europa (12) “a garantire che i cittadini siano informati che la vaccinazione
non è obbligatoria e che nessuno è sottoposto a pressioni politiche, sociali o di
altro tipo per essere vaccinato se non lo desidera; a garantire che nessuno
venga discriminato per non essere stato vaccinato, per possibili rischi per la
salute o per non volersi vaccinare; […] a distribuire informazioni trasparenti
sulla sicurezza e sui possibili effetti collaterali dei vaccini […] a
comunicare in modo trasparente i contenuti dei contratti con i produttori di
vaccini e renderli pubblicamente disponibili per l’esame parlamentare e
pubblico” (13). Parole vuote, prive della forza di imporre alcunché ai governi
dei Paesi e aggirabili con la fasulla alternativa del tampone.
C’è altro: il Green Pass non rappresenta
solo l’obbligo vaccinale. È insieme una tecnologia e una pratica di potere.
Partiamo dalla prima.
La blockchain del
controllo
Il Green Pass entra in vigore il primo
luglio, ed è una creazione europea: il Parlamento Ue lo approva e viene
presentato come una “facilitazione” per i viaggi tra Paesi all’interno della
Ue, perché elimina quarantene e tamponi. Tutti gli Stati europei lo abilitano:
alcuni lasciano i cittadini liberi di scaricarlo, altri (per ora Francia,
Irlanda, Austria, Olanda, Portogallo, Grecia, Romania, Danimarca, Croazia) lo
legano all’accesso a ristoranti, cinema, musei ecc. Tra il 22 luglio e il 16
settembre il governo Draghi approva una serie di decreti legge – convertiti in
legge dal Parlamento con una rapidità che raramente si è vista – che lo rende
obbligatorio prima per ristoranti al chiuso, cinema, musei ecc., poi per treni
a lunga percorrenza e università, infine per i luoghi di lavoro, pubblici e
privati.
Il Green Pass si basa su una tecnologia
blockchain a crittografia asimmetrica, ossia a doppia chiave, pubblica e
privata (14). Senza entrare in eccessivi tecnicismi, permette di collegare
determinate ‘condizioni’ a un individuo, il quale, scaricando il Pass, apre la
propria identità digitale sulla relativa piattaforma di rete europea (la
DGCG, Digital Green Certificate Gateway, anche detta Gateway, gestita direttamente dalla Commissione Ue:
permette l’interoperabilità delle reti nazionali Digital Green Certificate-DGC) (15). Oggi la
‘condizione’ implementata è sanitaria: la vaccinazione o il tampone negativo o
la guarigione dal Covid-19 abilitano il soggetto a entrare in determinati
luoghi, ottenendo il via libera all’accesso dal software VerificaC19 che controlla il QR code del Pass. Le
‘condizioni’, lo abbiamo visto, sono state decise da governo e Parlamento
italiani per via legislativa, e allo stesso modo possono mutare.
L’eccezionalità del Green Pass è infatti la sua caratteristica tecnica che lo
rende uno strumento dinamico, il cui utilizzo potrà estendersi e arricchirsi
nelle forme più diverse: potrà abilitare il soggetto in base a condotte di
comportamento (oggi la vaccinazione, domani pagamenti…) o a status (residenza,
occupazione, dichiarazione dei redditi, fedina penale… qualsiasi cosa).
Non solo. La struttura a blockchain
permette una raccolta dei dati (potenzialmente infinita) che non è aggregata:
la blockchain individualizza i dati,
legandoli all’identità digitale creata, e come tali li conserva. Il Green Pass
quindi sta attuando una schedatura di massa. Nella migliore delle ipotesi sta
testando la funzionalità dell’infrastruttura – che potrebbe essere la base del
futuro euro digitale – nella peggiore sta già creando le identità digitali dei
cittadini e implementando il database di una piattaforma che potrà essere
utilizzata per gli usi più diversi. Al Green Pass si affianca infatti un
cambiamento legislativo sull’utilizzo dei dati.
Con il decreto legge n. 139 dell’8
ottobre, il governo ha messo mano alla legge 196/2003 sulla privacy: con
l’articolo 9, il nuovo decreto stabilisce che “il trattamento dei dati
personali da parte di un’amministrazione pubblica […] nonché da parte di una società
a controllo pubblico statale […] è sempre consentito se necessario per
l’adempimento di un compito svolto nel pubblico interesse o per l’esercizio di
pubblici poteri a essa attribuiti. La finalità del trattamento, se non
espressamente prevista da una norma di legge o, nei casi previsti dalla legge,
di regolamento, è indicata dall’amministrazione, dalla società a controllo
pubblico in coerenza al compito svolto o al potere esercitato”. Viene inoltre
abrogato l’articolo 2 quinquesdecies del codice della Privacy, che consentiva
al Garante di intervenire preventivamente sull’attività della pubblica
amministrazione imponendo “misure e accorgimenti a garanzia” dei dati
dell’interessato se il trattamento dei dati presentava “rischi elevati”, anche
se svolto “per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico”. In altre
parole, ora qualsiasi ente pubblico o società a controllo statale potrà
decidere autonomamente (“la finalità del trattamento è indicata
dall’amministrazione stessa”) di utilizzare tutti i dati
personali del cittadino per qualsiasi obiettivo (la vaghezza della dicitura
“pubblico interesse”); per di più eludendo il controllo preventivo del Garante
della Privacy.
L’accoppiata Gateway/modifica legislativa mette le basi per una
nuova realtà. L’incrocio dei dati è infatti sempre stato il principale problema
dell’amministrazione pubblica: lo Stato già detiene molte informazioni
personali del cittadino, ma su database separati. Il Digital Green Certificate nazionale è la
piattaforma nella quale poter trasferire, e poi via via aggiornare, tutti i
dati dei cittadini (catasto, motorizzazione, Agenzia Entrate, fascicolo
sanitario, dati giudiziari… per non parlare delle informazioni in mano alle
diverse società partecipate dallo Stato), collegandoli alle loro identità
digitali; il Gateway europeo permetterà
l’interoperabilità tra le reti nazionali; la blockchain consentirà l’emissione
di Pass ‘condizionati’.
Anche la conservazione dei dati diventa
potenzialmente infinita. A oggi, il Green Pass e i dati di contatto forniti
(telefono e/o email), così come le informazioni che hanno generato il Pass
(vaccino, tampone o guarigione) sono conservate fino alla scadenza del Pass
stesso, dopodiché “vengono cancellate”; queste ultime, tuttavia, possono essere
conservate nel caso “siano utilizzate per altri trattamenti, disciplinati da
apposite disposizioni normative, che prevedono un tempo di conservazione più
ampio” (16).
Si aggiunge infine la questione del
tracciamento. Oggi la app VerificaC19 lavora
offline: la legge raccomanda di connettersi al Gateway almeno
una volta nell’arco di 24 ore e aggiornare, in locale, i codici dei Green Pass
esistenti. Non potrebbe fare diversamente, la rete non reggerebbe. Ma è facile
ipotizzare che quando sarà attivo il 5G il tracciamento diventerà possibile,
accanto alla creazione di nuovi Pass, nuove ‘condizionalità’ e nuove app di
verifica che lavoreranno online.
Il costante controllo della nostra vita
operato da Google, Facebook, Microsoft ecc. a fini economici è divenuto
‘usuale’ e difficilmente aggirabile; anche l’utilizzo dei dati raccolti da Big
Tech per obiettivi politici è qualcosa con cui abbiamo già fatto i conti (vedi
Cambridge Analytica); ma il controllo da parte dello Stato è un’altra cosa. Non
si tratta di scomodare il Grande Fratello di Orwell – anche perché sarebbe
piuttosto il “mondo nuovo” di Huxley, vista la remissività con cui il Green
Pass è stato accettato dalla popolazione – ma di essere consapevoli che il
campo di potere politico è sempre, in potenza, quello dominante: perché detiene
il monopolio della violenza e perché emette le leggi, ossia stabilisce cosa è
legale e cosa non lo è; a quale condotta corrisponde un reato e quindi una
pena, detentiva o meno. Con Gateway, blockchain
e Green Pass lo Stato potrà operare un controllo capillare e individualizzato
su ogni cittadino, preventivo o a posteriori, e attuare discriminazioni (come
già ha fatto). Senza nemmeno la necessità dello smartphone, perché il QR code
può essere verificato anche su carta.
Risultava curioso, infatti, il nome
scelto per il lasciapassare: Green Pass.
Certo oggi tutto si inscrive nella narrazione green perché
ciò che è green è cool, ma ora è evidente che non si tratta solo di
marketing: il Pass è qui per restare. Il suo nome non poteva richiamare un
evento specifico, per di più drammatico, come una pandemia.
È questa la Rivoluzione Tech? La nuova società digitalizzata che ci
attende? Non si dovrebbe mai dimenticare che la privacy non è la nostra
dimensione privata ma la relazione di potere tra individuo, Stato e mercato.
Corpi docili
In termini di pratiche di potere, dove
si inscrive il Green Pass?
“La disciplina fabbrica degli
individui”, “fabbrica corpi sottomessi ed esercitati, corpi ‘docili’. La
disciplina aumenta le forze del corpo (in termini economici di utilità) e
diminuisce queste stesse forze (in termini politici di obbedienza)”. E ancora:
“Il potere disciplinare è un potere che, in luogo di sottrarre e prevalere, ha
come funzione principale quella di ‘addestrare’ o, piuttosto, di addestrare per
meglio prelevare e sottrarre di più. Non incatena le forze per ridurle, esso
cerca di legarle facendo in modo, nell’insieme, di moltiplicarle e
utilizzarle”; “non è un potere trionfante, che partendo dal proprio eccesso può
affidarsi alla propria sovrapotenza; è un potere modesto, sospettoso, che
funziona sui binari di un’economia calcolata, ma permanente”. Sono parole di Michel Foucault, tratte
da Sorvegliare e punire (17). Non si può non andare
al pensatore francese se si vuole ragionare sulle pratiche di potere. Sono
diversi i punti di riflessione che il testo apre, nel momento in cui lo si
rilegge immersi nella realtà del Green Pass. Proviamo a toccarli.
Primo punto: correggere.
La disciplina, riflette Foucault,
produce corpi pronti a eseguire le prestazioni richieste; mentre la legge vieta o impone e i meccanismi di sicurezza gestiscono una realtà, la disciplina prescrive. Essa include la punizione (la sanzione per
chi rifiuta il Green Pass, che da pecuniaria arriva fino alla sospensione dal
lavoro senza stipendio) ma il suo obiettivo non è punire, bensì correggere: “Il
castigo disciplinare ha la funzione di ridurre gli scarti. Deve dunque essere
essenzialmente correttivo”; “la punizione, nella
disciplina, non è che un elemento di un sistema duplice:
gratificazione-sanzione. Ed è questo sistema a divenire operante nel processo
di addestramento e di correzione”. Dopo mesi di lockdown e assenza di
socialità, il potere ‘gratifica’ il cittadino con la ‘libertà’: non si impone
(legge) con una obbligatorietà vaccinale ma prescrive un comportamento. Tutto tranne un altro lockdown è ciò che
probabilmente ognuno di noi si è sentito dire da almeno un amico; Il Green Pass è libertà è stato lo slogan politico
servilmente riportato dai grandi media.
Una ‘libertà’ – va da sé, o non si
porrebbe la necessità del secondo elemento, la correzione – accessibile solo
al buon cittadino, colui che è pronto a eseguire la
prestazione richiesta: la vaccinazione. Qualsiasi tipo di potere sa che non
potrà mai aspirare a imporsi sulla totalità dei cittadini, e infatti la
disciplina riduce gli scarti, non li
elimina. Chi invoca la persuasione per convincere i no-vax – non operando in
malafede alcuna distinzione tra no-vax e no-pass – finge di non sapere che il
potere ha storicamente sempre accettato che una parte della popolazione si
sottragga al suo dominio, finendo ai margini della società, nei bassifondi di
un ‘mondo altro’ – piccola criminalità, sottoproletariato, poveri, stranieri
irregolari… Ciò che conta è la dimensione: questa alterità esclusa deve essere
quantitativamente minima per non divenire un problema di difficile gestione. La
prima sanzione ha colpito la socialità – il Green Pass di agosto – la seconda
ha alzato l’asticella all’università, la terza al luogo di lavoro: aumento
progressivamente la sanzione per ottenere più correzione e ridurre gli scarti.
Secondo punto: normalizzare.
“L’arte di punire, nel regime del potere
disciplinare,” scrive Foucault, “non tende né all’espiazione e neppure
esattamente alla repressione, ma pone in opera cinque operazioni ben distinte:
[…] paragona, differenzia, gerarchizza, omogeneizza, esclude. In una
parola, normalizza. […] Appare, attraverso le discipline, il
potere della Norma”. Poco importa se la ‘norma’ creata è del tutto illogica,
ciò che conta è che sia percepita dalla popolazione come normale. Ed è la lenta progressione della
disciplina a farla percepire come tale, il lento spostamento dei punti di
riferimento, l’abitudine che si acquisisce alla nuova realtà, dimenticando
quella precedente: la costante mancanza di coerenza nella gestione
dell’epidemia è divenuta normale, i vaccini
che decadono dopo sei mesi sono normali, offrire il
proprio smartphone a uno scanner per entrare in un ristorante, al cinema, al
lavoro è normale.
Terzo punto: dividere.
Creata la ‘norma’,la disciplina
riproduce, costantemente, “la divisione tra normale e anormale”, e quel che
rientra in quest’ultima categoria – creata dalla società stessa – è,
ovviamente, ciò che la società mette ai margini ed esclude. È un processo
talmente evidente che pochi esempi sono sufficienti: “Propongo una colletta per
pagare ai no-vax gli abbonamenti Netflix per quando dal 5 agosto saranno agli
arresti domiciliari chiusi in casa come dei sorci” (Roberto Burioni, 23
luglio); “È sbagliato considerare l’attacco no-vax come un attacco perseguibile
a querela: oggi è un attacco contro lo Stato e come tale dovrebbe essere
perseguito” (Matteo Bassetti, 25 luglio); “Criminali no-vax” (Libero, 31
agosto, titolo di prima pagina); “Escludiamo chi non si vaccina dalla vita
civile” (Mattia Feltri, Il Domani, 5 settembre).
Quarto punto: sorvegliare.
“[Il potere disciplinare] si organizza
come potere multiplo, automatico e anonimo; poiché se è vero che la
sorveglianza riposa su degli individui, il suo funzionamento è quello di una
rete di relazioni dall’alto al basso, ma, anche, fino a un certo punto, dal
basso all’alto e collateralmente. […] La disciplina fa ‘funzionare’ un potere
relazionale che si sostiene sui suoi propri meccanismi e che, allo splendore
delle manifestazioni, sostituisce il gioco ininterrotto di sguardi calcolati.
Grazie alle tecniche di sorveglianza, la ‘fisica’ del potere, la presa sul
corpo, si effettuano tutto un gioco di spazi, di linee, di schermi, di fasci,
di gradi, e senza ricorrere, almeno in linea di principio, all’eccesso, alla
forza, alla violenza. Potere che è in apparenza tanto meno ‘corporale’ quanto
più è sapientemente ‘fisico’”. Spazi (luoghi in cui si può accedere solo con il
Green Pass), sorveglianza verticale (Gateway e
blockchain) e collaterale (il cameriere, il controllore sul treno, il
bigliettaio del cinema, l’impiegato adibito al lavoro, a cui bisogna esibire il
Pass): una rete di sguardi che quotidianamente controllano. Potere fisico non
solo perché si impone sul corpo, ma perché il corpo è il primo ‘oggetto’ che
viene investito dalla disciplina del lasciapassare: deve essere sottoposto a un
trattamento sanitario (vaccino) o a un esame diagnostico (tampone).
Quinto punto: utilizzare.
“La disciplina è il procedimento tecnico
unitario per mezzo del quale la forza del corpo viene, con la minima spesa,
ridotta come forza ‘politica’ e massimalizzata come forza utile”. Abbiamo già
visto, nel corso della prima ondata, quali sono stati i punti di crisi dell’epidemia,
quelli che hanno mosso le decisioni politiche; sappiamo tutti, tolto il velo
dell’ipocrisia pelosa ai discorsi ufficiali e alle lacrime da studio
televisivo, che per la classe dirigente politica ed economica di questo Paese
il problema non è mai stato la morte di migliaia di anziani in pensione, ma il
blocco dell’economia e gli ospedali pieni, la pressione di Confindustria da una
parte e il conflitto sociale che ne poteva scaturire, dall’altra. Il Green Pass
riesce a massimalizzare l’utilità di tutti i corpi: quelli dei cittadini attivi
producono e consumano, vanno a lavorare e al ristorante; quelli degli
anziani/’fragili’ fanno pressione affinché il resto della popolazione si
disciplini: non ti importa che io possa morire? L’umano
sentimento della solidarietà viene trasformato in strumento utile alle pratiche
disciplinari e in annullamento del pensiero critico.
Tirando le somme, il Green Pass ha
corretto, normalizzato, diviso, sorvegliato e utilizzato i cittadini,
disciplinandoli. È, a oggi, l’ultimo atto di una serie di pratiche politiche
(18) che hanno creato una popolazione docile perché impaurita, prima shockata e
poi normalizzata in una nuova abitudine, che si affida
al ‘sovrano’ per la sua salvezza, convinta che la propria vita dipenda da un
trattamento sanitario a cui è disposta a sottoporsi annualmente, e da un
lasciapassare politico che lo attesti e che le garantisca l’accesso a luoghi
nei quali possa interagire solo con persone altrettanto verificate e
controllate. Una popolazione che ora si sente corroborata dal calo del numero
dei contagi e delle ospedalizzazioni (ma attendiamo la stagione fredda per
vedere quel che accade, viste le caratteristiche degli attuali vaccini), e non
si domanda se la stessa situazione sarebbe stata raggiunta anche vaccinando
solo le categorie a rischio e lasciando la libera scelta: perché eliminando la
malattia grave tra anziani e ‘fragili’ gli ospedali sarebbero comunque stati
vuoti; perché dopo 19 mesi di pandemia, l’immunità naturale dei milioni di
asintomatici avrebbe comunque rallentato la circolazione del virus, garantendo
anche la diffusione di una immunità di durata. Non si chiede, insomma, se senza
il ricatto e la discriminazione del Green Pass non si troverebbe ora nella
stessa situazione di salute pubblica, ma in una società molto diversa: dove le
persone, e non lo Stato, possono ancora decidere del rapporto rischi/benefici
di un trattamento sanitario sul proprio corpo.
Non ci sono risposte. Come sopra già
evidenziato, la situazione è nebulosa e illogica. Ma ciò che lascia sconcertati
è che non ci siano – e non ci siano state – domande.
Discriminazione
Al 22 luglio, data del primo decreto
Green Pass, il 47,6% dei cittadini si erano volontariamente già
vaccinati, e arrivavano al 62,4% se aggiungiamo al conteggio l’inoculazione
delle prime dosi: quella italiana non si poteva certo definire una popolazione
che fuggisse il vaccino. Al 20 luglio erano già stati volontariamente scaricati 36 milioni di Green Pass
(19); al 29 luglio, pochi giorni dopo il decreto, erano diventati 41,3 milioni
(20). Sorprende che milioni di persone non abbiano battuto ciglio sulla
discriminazione che il Pass già operava, accettando supinamente che in alcuni
luoghi dove prima tutti i cittadini potevano
avere accesso con misurazione della temperatura, mascherina e distanziamento,
dal 6 agosto potessero entrare, sempre con misurazione della temperatura,
mascherina e distanziamento, solo coloro che avevano acconsentito a un
trattamento sanitario o a un esame diagnostico. Poco importa se ristoranti al
chiuso, cinema, teatri ecc. non si configurano come diritti o bisogni
fondamentali: il principio non cambia. La discriminazione non è qualcosa di
quantificabile: è o non è.
Difficile dire se questa arrendevolezza
abbia consentito a governo e Parlamento di alzare l’asticella del ricatto al
lavoro; sicuramente l’ha facilitato. Incontrando resistenze, forse il potere
politico avrebbe abbandonato l’idea (come precedentemente accaduto per la app
Immuni) e l’obbligo non sarebbe stato esteso. Il ‘se fosse’ è sempre un gioco
inutile perché il filo del tempo non si può riavvolgere, ma nel momento in cui
lo si utilizza per un’analisi costruttiva non è affatto una sterile
speculazione. L’apertura di un conflitto sociale inizia sempre con una scelta
individuale: scioperare, andare in piazza, rifiutarsi, sono innanzitutto scelte
– e responsabilità – personali, che solo dopo si trasformano in collettive. Chi
lotta sa che l’impotenza e la frustrazione sono sentimenti diffusi, perché
nella complessità politica ed economica di oggi è difficile che l’apertura di
un conflitto con il potere porti a un cambiamento sociale nel breve termine. Ma
il Green Pass, come prima la app Immuni, offriva questa possibilità. Quella di
dire NO, di rifiutarsi di avallare con il proprio comportamento – scaricare e
utilizzare il Pass – una pratica discriminatoria. Era una scelta politica che,
ricordiamo, aveva nulla a che fare con l’insindacabile decisione di vaccinarsi,
e non richiedeva certo un gran sacrificio: non andare al ristorante, a teatro,
al cinema…
Molti cittadini, in numero maggiore
rispetto a quelli che stanno riempiendo le piazze contro il Pass, ora si
dichiarano contrari alla sua applicazione al lavoro; eppure, in una incoerenza
che sembra non riguardarli, continuano ad avallare la discriminazione
utilizzando il lasciapassare per riempire locali serali e ristoranti; non hanno
modificato la loro condotta dopo il 16 settembre, quando il governo ha esteso
l’obbligo al lavoro a partire dal 15 ottobre e l’asticella della discriminazione
si è alzata. Lasciare vuoti ristoranti, cinema, teatri ecc. può diventare
un’arma economica di pressione sul potere politico, oltre a rappresentare un
atto di protesta collettiva e di coerenza personale.
Non si può né sperare né attendere una chiamata
strutturata e organizzata, da sinistra, per questo conflitto: salvo poche
realtà o singoli individui, la sinistra movimentista che si riempie
continuamente la bocca della parola ‘discriminazione’, dichiarando di volerla
combattere, si è appiattita sulle posizioni governative spedendo il cervello in
vacanza. Sta, dunque, a ciascuno di noi. Scegliere.
(Articolo chiuso in redazione il 12
ottobre 2021)
1) Giovanna Cracco, Covid-19. Lockdown, Paginauno n. 67/2020
2) Cfr. https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/sars-cov-2-decessi-italia
3) Cfr. Lancet:
“Due dosi Pfizer efficaci fino a sei mesi”, Il Fatto Quotidiano, 5
ottobre 2021
4) Cfr. The impact of SARS-CoV-2
vaccination on Alpha & Delta variant transmission, https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2021.09.28.21264260v1.full-text
5) Cfr. Covid-19
ed immunità: quanto a lungo può durare la protezione? https://www.marionegri.it/magazine/covid-19-durata-immunita
6) Per comodità sono stati presi i
numeri già elaborati dal gruppo CovidStat dell’Istituto Nazionale di Fisica
Nucleare (INFN), basati sui dati acquisiti dall’Istituto Superiore di Sanità
(ISS). Cfr. https://covid19.infn.it/iss/
7) Cfr. https://clinicaltrials.gov/ct2/show/NCT04368728?term=NCT04368728&draw=2&rank=1
8) Cfr. https://apps.who.int/iris/rest/bitstreams/1327316/retrieve
9) Cfr. https://www.ema.europa.eu/en/documents/rmp-summary/comirnaty-epar-risk-management-plan_en.pdf
10) Cfr. «Varianti, servirà un nuovo
vaccino», A. Caperna, Il Giornale, 4 ottobre 2021
11) Vedi Rapporto Oxfam International,
pag. 36
12) Il Consiglio d’Europa, nato nel
1949, è un’organizzazione internazionale che promuove la difesa dei diritti
umani, della democrazia e dello Stato di diritto; è composto da 47 Stati membri
ed è un organo indipendente dall’Unione europea
13) Cfr. https://pace.coe.int/en/files/29004/html
14) Abbiamo già parlato di blockchain in
relazione ai bitcoin: le caratteristiche tecniche restano le medesime. Cfr.
Giovanna Cracco, Bitcoin, tra tecnologia e politica, Paginauno n. 56,
febbraio 2018
15) Cfr. Disposizioni attuative
dell’articolo 9, comma 10, del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52
16) Disposizioni attuative dell’articolo
9, comma 10, del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, art. 16
17) Tutti i virgolettati di questa parte
dell’articolo sono tratti da: Michel Foucault, Sorvegliare
e punire, Einaudi
18) La disciplina sui corpi è iniziata
con le limitazioni alla libertà di movimento; l’obbligo di certificare per
iscritto il proprio essere fuori di casa tramite un modulo da portare con sé e
da esibire, se richiesto, alle forze di polizia; l’imposizione di mascherine e
di un distanziamento tra persone. Anche il rituale del bollettino giornaliero
sul numero dei contagiati e dei morti rientrava nel meccanismo disciplinatorio:
dati privi di coerenza sistemica avevano l’obiettivo di continuare a spaventare
una popolazione già totalmente disorientata, rendendola ancora più arrendevole
alla disciplina. Cfr. Giovanna Cracco, Covid-19. Lockdown, Paginauno n. 67,
aprile 2020
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