Nel giro di pochi giorni a Roma due case sono state negate ai legittimi destinatari, ma con esiti assolutamente diversi.
Il primo caso, ormai arcinoto,
nel quartiere Don Bosco, periferia sud. Il signor Ennio esce di casa per fare
delle analisi impegnative, che richiedono di stare vicino alla struttura
sanitaria, va per qualche giorno ospite del fratello in un altro quartiere e
quando torna trova la casa occupata da una signora di origine Rom aiutata da
altre persone. Per fortuna si mobilità l’intero quartiere, persino la
magistratura accelera i tempi, in tre settimane il signor Ennio può rientrare
nell’appartamento scortato dalle forze dell’ordine e, seppur con danni notevoli
da affrontare, possiamo dire per una volta che il lieto fine c’è.
Cambiamo scenario, ci spostiamo
al quartiere San Basilio, periferia est, dove a una famiglia Rom, i signori
Zehera e Nhao, rispettivamente di 78 e 79 anni, insieme alla loro figlia
disabile Miki, 62 anni, è stato legittimamente assegnato un appartamento
dell’Ater. La famiglia proviene dal campo di via Salviati, tramite una sorta di
autorecupero pagano di tasca loro i lavori di manutenzione della casa per poi
scalare il costo dagli affitti. Anche in questo caso il quartiere si è
mobilitato, ma per impedire alla famiglia di Rom di prendere possesso
dell’alloggio legalmente assegnato, una casa ridotta in pessime condizioni e al
limite dell’agibilità. I cosiddetti “residenti”, come vengono chiamati dai
giornali, hanno cambiato la serratura di casa, esattamente come aveva fatto la
signora Rom che occupava illegittimamente l’appartamento di Don Bosco con il
proprietario reale, usando come pretesto che la zona già ospita troppi
stranieri. A Zehera, Nhao e Mika non è rimasto altro da fare che guardare da
lontano gli esagitati. Anche in questo caso sono intervenute le forze
dell’ordine, ma, al contrario della situazione precedente, non sono riusciti a
far rispettare la legge.
L’altra differenza con la vicenda
di Don Bosco è che di Zehera, Nhao e Mika da domani non parlerà più nessuno,
non ci saranno mobilitazioni dei fanatici della legalità, per i giornali non
faranno più notizia, e, soprattutto, non entreranno nella casa che gli era
stata legalmente assegnata.
Non occorre essere osservatori
sofisticati per mettere in relazione i due fatti identici e la palese
ingiustizia del secondo caso, eppure nè giornali nè politici dedicano un solo
accostamento alle due vicende. Sarebbe semplice farlo ma è politicamente
pericoloso e inopportuno, fa perdere voti e copie di giornale, non porta nessun
beneficio schierarsi per il rispetto del diritto a difesa della famiglia Rom
con la stessa giusta fermezza usata nel caso del signor Ennio.
Anzi, meglio non ricordare che
già nel 2019 a Casal Bruciato, sulla direttrice che conduce a Pietralata, ci fu
una sommossa popolare con barricate e cassonetti date alle fiamme sempre per
impedire che un’altra famiglia Rom prendesse possesso dell’alloggio
regolarmente assegnato. E subito dopo a Torre Maura, periferia sud est, a causa
di un centro d’accoglienza non voluto dai residenti, con scontri, una roulotte
incendiata e i panini portati da un’organizzazione umanitaria ai Rom calpestati
dai solerti cittadini in favore di telecamera.
Non è un problema di ordine
pubblico, è un problema politico a tutto tondo, dove non c’è chi è a favore e
chi è contro qualcosa, ma esiste un’unica posizione che fa comodo a tutti: non
se ne deve parlare. E’ la veltroniana cultura di mettere sotto il tappeto i
cocci di una città con un tessuto sociale ormai decomposto. Come quando venne
ripulita in una notte la sponda del Tevere sulla Magliana dove sarebbero
passati gli ospiti internazionali del Festival del cinema, un centinaio di
persone sgombrate, rinchiuse illegalmente in un deposito Ama, identificate e
buttate per strada. Così è stato affrontato il sociale a Roma negli ultimi
venti anni. Così continuerà a essere affrontato, a meno che il sindaco
Gualtieri si dimostri diverso dai suoi predecessori.
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