Non siete stati ancora sconfitti è la
prima traduzione in italiano degli scritti di Alaa Abdel Fattah. È pubblicato
da hopefulmonster editore, nella collana La stanza del mondo curata da Paola
Caridi, e tradotto da Monica Ruocco.
“Noi dobbiamo impedire per vent’anni a questo cervello di
funzionare!” disse qualcuno di Antonio Gramsci, buttando la chiave della cella.
Ad Alaa Abdel Fattah, ammiratore e studioso
di Gramsci va ancora peggio. Mentre Gramsci aveva potuto scrivere in galera i Quaderni dal carcere, ad Alaa vengono
negate carta e penna.
Chi legge gli scritti di Alaa Abdel Fattah soffrirà, nel leggere che
terribile sorte capita a una persona lucida, pacifica, pericolosa perché
libera.
Dalla “rivoluzione” di Piazza Tahrir Alaa Abdel Fattah, e anche prima, è
stato un attento osservatore e protagonista della “rivoluzione”, sino ad oggi,
cercando di ragionare, pensare, ipotizzare un futuro, in un presente sempre più
difficile.
In questi anni è morto il padre, è nato un figlio, ma lui era sempre in
prigione.
Leggendo alcune parti del libro ti viene quasi da piangere, non è un
romanzo, è la vita vera in un paese governato da una dittatura schifosa, sostenuta
dal governo italiano, e questo fa arrabbiare.
L’Egitto delle torture, delle decine di migliaia di prigionieri politici,
di un sistema giudiziario che supera, in peggio, quello fascista, l’Egitto di
Giulio Regeni è un regime schifoso sostenuto dal governo italiano.
Se pure esistesse un governo guidato da Alaa Abdel Fattah (o dai suoi
compagni e compagne) l’Italia sarebbe contraria, le esportazioni di armi dall’Italia
verso l’Egitto crollerebbero, con tutto l’indotto di corruzione (scusate, si
chiamano commissioni e consulenze).
...Il libro più potente del 2021 è
quello che raccoglie gli scritti dal carcere di uno dei più importanti
attivisti politici egiziani, Alaa Abd El-Fattah. Il libro, You
Have Not Yet Been Defeated-Non siete ancora stati sconfitti (Fritzcarraldo Editions,
traduzione italiana edita da Hopefulmonster)
raccoglie dieci anni di pensiero di Alaa Abd El-Fattah,
pagine scritte per lo più dalle carceri egiziane dove l’autore ha trascorso la
maggior parte dell’ultimo decennio. Il libro di Alaa segue un decenni di
sviluppi politici, sociali e tecnologici sorti dopo l’esperienza della
Primavera araba egiziana, la sua sconfitta e i diversi colpi di coda autoritari
che si sono susseguiti dopo le proteste iniziate in Piazza Tahrir il 25 gennaio
2011. L’introduzione all’edizione in lingua inglese è di Naomi Klein.
A dieci anni da quegli eventi il
libro è un documento potente e doloroso che si muove in almeno
due dimensioni: una prima privata, in cui Alaa scrive della sua prigionia e
delle ripercussioni che il carcere ha avuto sulla sua vita privata e sul
attivismo; e una seconda, più pubblica, in cui le riflessioni dell’autore
toccano il significato della rivoluzione, e il suo impatto sullo zeitgeist politico
internazionale e sulla tecnologia come suo specchio. Tutte le
pagine sono intrise di una scrittura umana, densa e lirica che rende
impossibile scindere la sfera privata da quella pubblica, così tanto
intrecciate nel vissuto e nella prigionia di Alaa che qui emerge in una
raccolta di interviste, post di blog, aggiornamenti sui social media e
deposizioni ufficiali alle autorità. I testi, che in diversi casi sono stati
fatti trapelare di nascosto dal carcere, sono stati tradotti dall’arabo in
inglese da un collettivo.
Alaa Abd El-Fattah è stato uno dei
volti più noti e una delle voci più forti della rivoluzione egiziana del 2011
ed è oggi uno dei prigionieri politici più duramente colpiti dalla
repressione di tutti i governi che si sono
susseguiti in Egitto a partire dal 2006. Attivista, sviluppatore e blogger classe 1981, Alaa è
stato arrestato una prima volta nel 2006, poi nel 2011 dopo Tahrir, ancora una
volta nel 2013, di nuovo nel 2015 e un’ultima volta nel 2019, sei mesi dopo la
precedente scarcerazione. Pochi giorni fa, dopo aver già passato due anni in
detenzione preventiva, Alaa è stato condannato a 5 anni di reclusione,
dopo un processo iniziato lo scorso ottobre. Complessivamente, Alaa è stato
incarcerato dai governi di Hosni Mubarak, Mohamed Morsi, e Abdel Fattah
el-Sisi, senza distinzioni. Anche quando fuori dal carcere, Alaa ha comunque
visto la sua libertà fortemente limitata, dovendo, ad esempio, sottostare a un
obbligo di permanenza in una caserma della polizia per 12 ore al giorno:
all’oggi, Alaa si trova ancora (e dal 2019) in un carcere di massima sicurezza
e lo scorso settembre ha
denunciato al
suo avvocato le durissime condizioni della sua detenzione, confessando
anche di aver meditato il suicidio. Amnesty International ha definito la sua detenzione “inumana” e
ha chiesto più volte l'immediata scarcerazione di Alaa. Secondo una recente
stima di Human Rights Watch, sarebbero oltre 60mila i prigionieri politici
rinchiusi nelle carceri egiziane del regime di al-Sisi…
Egitto, la morte del diritto – Enrico Campofreda
E’ la morte del
diritto a spingere la rete cairota d’informazione sui diritti umani (Arabic
Network Human Rights Information) a interrompere la propria attività.
L’annuncia lo stesso gruppo che in questi anni oscuri di omicidi, sparizioni,
detenzioni, torture, persecuzioni compiuti dal regime contro cittadini
egiziani, ha tenuto accese luce e speranze assistendo chi ne aveva bisogno.
Finendo direttamente tormentato e stritolato fra mukhabarat e
magistrati compiacenti al presidente al Sisi e al suo piano di feroce
repressione che incrimina gli stessi avvocati degli imputati e quelli della
citata associazione. Anhri ribadisce d’aver fatto di tutto,
proseguendo strenui tentativi di difesa di spazi di libertà ossessivamente
violati dal governo non solo verso attivisti e giornalisti, ma nei confronti
d’ogni persona che proponga una libera espressione, pur slegata da partiti
politici. Altre Ong che s’occupano della questione dei diritti subiscono
molestie, però i membri di Anhri sono stati oggetto di furti,
attacchi fisici, convocazioni poliziesche illegali, arresti, torture. La
cessazione dell’attività, dopo diciotto anni d’instancabili battaglie civili e
legali, inseguendo gli spazi che la legislazione della nazione consentiva, è
sicuramente uno stop inaccettabile per i sentimenti di democrazia e libertà che
l’organismo persegue e difende. Deve, comunque, far riflettere quel mondo
libero che osserva e si rapporta all’Egitto sulla caduta agli inferi di questa
nazione. “Oggi abbiamo sospeso il nostro impegno istituzionale, ma
continueremo a essere avvocati coscienti e come individui indipendenti,
difensori dei diritti umani lavoreremo a fianco con altre organizzazioni che
curano i diritti umani” ha dichiarato il direttore Gamal
Eid. Ecco un sunto della “cura Sisi” rivolta al network dal 2013:
confisca del quartier generale di Anhri che non ha più potuto
recuperare forniture e documenti; nel 2015 sequestro della pubblicazione Wasla;
nel 2016 divieto di spostamenti al fondatore e direttore dell’organismo più
congelamento dei fondi di Anhri e chiusura delle sue
biblioteche pubbliche; ancora nel 2016 diffamazione del direttore, di sua
moglie e della figlia minore; nel 2017 blocco del sito web Katib;
convocazione di due avvocati del gruppo da parte della National Security; nel
2018 arresto e torture a un funzionario Anhri; nel 2019 furti e
attacco fisico a Eid; ancora nel 2019 arresto dell’avvocato del gruppo Amr
Imam, con una progressione repressiva nell’ultimo biennio volta a imprigionare
tutti i legali della struttura così da bloccare qualsiasi iniziativa giuridica.
La scrittura censurata delle prigioni - Paola Caridi
Nell’era evanescente del
digitale, è ancora la parola su carta a far paura alle dittature. Come succede
alle parole di @alaa, il prigioniero di coscienza più noto in Egitto
Per la scrittura dal carcere nella sua dimensione globale, Antonio Gramsci
rappresenta un esempio alto, altissimo. Un vero e proprio modello filosofico,
di pensiero, letterario. Ci se ne accorge appena si esce dai confini del
Belpaese, quando Gramsci non è solo un nome citato più e più volte, ma
soprattutto un corpus conosciuto, studiato, citato a ragione. La scrittura dal
carcere non si è, ahimè, estinta con le lettere e i quaderni dal carcere di
Gramsci. Tutt’altro. Le parole tentano ancora di uscire dalle celle, nonostante
i sistemi carcerari di dittature e autocrazie tentino di soffocare anche la
minima idea di comporre il pensiero su un pezzo di carta. Nell’era del
digitale, della parola che viaggia su piattaforme da noi considerate
evanescenti, inconsistenti, un pezzo di carta e una penna divengono tra i
desideri più ambiti, dopo la libertà dalla costrizione e dalla tortura.
Silenzio dalle prigioni. Nessuna parola deve alzarsi in volo e superare le
alte mura delle carceri. Anche se dentro – dentro le celle, nelle stanze degli
interrogatori e delle torture, nelle limitate ore d’aria e lungo i bracci dei
reparti – le voci si levano alte. Spesso sono grida, oppure pensieri ossessivi
che rimangono nella testa dei prigionieri chiusi nelle celle d’isolamento.
Basta che non si scriva e non si legga. Nessuna parola nero su bianco. Nell’era
evanescente del digitale, del consumo compulsivo di dati, è ancora la carta a
far paura alle dittature. Alle autocrazie, ai regimi più o meno illiberali.
Carta e penna sono vietate, o soggette a un estenuante negoziato. Eppure, carta
e penna sono gli oggetti necessari per scrivere le lettere alle famiglie. Ai
propri cari. Perché le visite nei parlatoi sono centellinate, se va bene.
Proibite, nella maggior parte dei casi. Oppure carta e penna sono gli strumenti
necessari per mettere giù i pensieri che affollano la mente, e riconquistare in
questo modo il tempo che scorre. E poi c’è la carta dei libri, l’inchiostro
delle riviste. Perché anche il semplice gesto di leggere e sfogliare pagine è
considerato un pericolo.
Parliamo dell’Egitto di oggi. Di Iran e Turchia. Potremmo parlare
dell’Egitto di ieri, della Nigeria degli anni Sessanta, della Polonia degli
anni Ottanta. O dell’Italia del fascismo e del suo prigioniero più famoso,
Antonio Gramsci.
Proprio Gramsci è divenuto, nel corso dei decenni, un simbolo,
oltreconfine. Nelle università americane e britanniche. Nei circoli
intellettuali di tutto il mondo, soprattutto di quello non occidentale. E anche
tra gli arabi. Il Gramsci delle lettere e dei quaderni dal carcere non è solo
molto tradotto e ancora di più letto, diviene una figura di riferimento per
intere generazioni, in particolare quelle più recenti.
Com’è riferimento per Alaa Abd-el Fattah, il prigioniero più noto tra i
circa sessantamila detenuti di coscienza che affollano fino all’inverosimile le
carceri egiziane. Numeri, questi, forniti dalle associazioni internazionali per
la difesa dei diritti umani, come Amnesty International. Alaa Abd-el Fattah, o
@alaa, com’è conosciuto nella realtà virtuale, non è solo la figura iconica
della rivoluzione di piazza Tahrir del 2011. È una delle menti politiche più
lucide che è possibile trovare in tutta la regione araba, e che occorre leggere
– soprattutto noi italiani – per comprendere cos’è veramente successo e cosa
sta accadendo in Egitto in questi ultimi anni. Sette degli ultimi anni @alaa li
ha passati nel carcere di massima sicurezza di Tora, al Cairo. È ancora lì
dentro, dopo gli ultimi due anni in detenzione cautelare, sino a che – alla
scadenza dei termini – le autorità del tribunale d’emergenza (non un tribunale
ordinario) hanno deciso di rinviarlo a giudizio per accuse che i suoi avvocati
non possono ancora vedere per studiare il suo caso. L’ennesimo, per un
uomo che è stato limitato nella libertà da tutti coloro che si sono succeduti
al potere al Cairo, a cominciare da Hosni Mubarak. E la sentenza, il 20
dicembre 2021, è arrivata, un oltraggio alla giustizia, al diritto e ai
diritti. Cinque ulteriori anni di carcere per Alaa Abd-el Fattah, da cui non
verranno scontati i due anni di carcere preventivo. E quattro anni agli altri
due imputati di presunti reati, l’avvocato di @alaa, Mohammed Baker, arrestato
in un palazzo di giustizia quando due anni fa era andato a difendere i diritti
del suo assistito. E Mohammed Ibrahim, Oxygen come lo conosce il mondo del web,
blogger tra i più noti, a cui viene vietato da anni di incontrare i suoi
familiari e che ha già tentato il suicidio.
Gramsci, dunque. Lo stesso Gramsci a cui per parecchio tempo fu negata
carta e penna “dato che – scriveva nel 1928 in una delle sue lettere
contingentate – passo per essere un terribile individuo, capace di mettere il
fuoco ai quattro angoli del paese o giú di lí”. @alaa lo cita poco meno di un
secolo dopo, in una lettera del 2019, uno degli scritti contenuti in Non
siete stati ancora sconfitti, da poco pubblicato da hopefulmonster editore
in contemporanea con l’edizione in inglese di Fitzcarraldo, risultato di un
sorprendente lavoro collettivo di collazione, selezione e traduzione delle sue
parole, spesso chiuse nel carcere di Tora. Per l’edizione in italiano, è Monica
Ruocco ad aver tradotto dall’arabo le parole di Alaa Abd-el Fattah. ARCI e
Amnesty International sezione italiano hanno dato il loro sostegno per la
pubblicazione di un testo che Wired.it, nella recensione di Philip
Di Salvo, ha definito il “libro più potente” del 2021.
“Non riesco davvero a sforzare la mia immaginazione con sogni post-rilascio
ma, sai, cerco di trovare una ragione per essere un minimo ottimista di fronte
all’ondata di destra che sta sommergendo il pianeta, e i cui effetti prima o
poi arriveranno anche qui”, scrive Alaa Abd-el Fattah. “Certo, mi sforzo di
applicare la teoria di Gramsci riguardo “il pessimismo della ragione e
l’ottimismo della volontà”, ma qui c’è una tale negazione della volontà che devo
fare esercizio di ottimismo della ragione prima di incasinare i miei compagni”.
Tutti i sistemi autoritari, del passato e dell’oggi, sono accomunati
dall’incapacità di gestire il proprio rapporto con l’atto del pensare.
L’esercizio del pensiero, del dubbio, della confutazione è per questi sistemi
insopportabile: può essere come l’acqua che marcisce le deboli fondamenta
dell’autocrazia, che solo sulla violenza e la repressione può mantenere – fin
quando possibile – il proprio potere. L’esercizio del pensiero è quella
forza dei fragili che impone, alla tirannia, di togliere dalla vista della
società, o meglio, di coloro che sono (ancora) liberi, i corpi dei dissidenti e
rinchiuderli dentro le mura delle carceri perché restino invisibili.
…. il testo continua su invisiblearabs, il blog di Paola Caridi. Questa
riflessione amplia l’articolo che Paola ha scritto per l’Espresso, sul numero in
edicola il 27 dicembre 2021.
https://www.lettera22.it/la-scrittura-censurata-delle-prigioni/
Alaa Abdel Fattah
è ancora in carcere, ma il suo pensiero è libero - Catherine Cornet
Esiste una ricchissima tradizione di “letteratura carceraria” egiziana. È
addirittura uno dei generi letterari più praticati: pensatori islamisti o
laici, socialisti o liberali che hanno subìto la politica repressiva dei vari
regimi egiziani, in particolare da Gamal Abdel Nasser in poi, hanno scritto
dietro le sbarre, testimoni di una società civile e di un mondo intellettuale
che non si lascia facilmente sconfiggere.
Uno degli archetipi di questa società civile dal coraggio straordinario è
la famiglia Abdel Fattah-Soueif. Il padre, Ahmed Seif al Islam, fu imprigionato
due volte sotto il presidente Anwar al Sadat e altre due sotto Hosni Mubarak.
Durante la prigionia fu torturato con scariche elettriche e gli furono rotte le
braccia e le gambe. Nonostante questo, si laureò in legge nel carcere dove
stava scontando una pena di cinque anni. Uscito di prigione, fondò l’Hicham
Mubarak center e divenne uno dei più rispettati avvocati per i diritti umani in
Egitto. La madre, Laila Soueif, è docente di fisica e attivista della prima
ora. E poi c’è Alaa Abdel Fattah, il loro figlio, blogger, attivista e
pensatore, uno dei protagonisti della rivoluzione egiziana del 2011, che ha
trascorso sette degli ultimi otto anni in carcere insieme ad altri 60mila
prigionieri politici egiziani.
Non siete stati ancora sconfitti è la prima
traduzione in italiano degli scritti di Alaa Abdel Fattah. È pubblicato da
hopefulmonster editore, nella collana La stanza del mondo curata da Paola
Caridi, e tradotto da Monica Ruocco.
Solidarietà internazionale
Dobbiamo la pubblicazione di questo libro al coraggio e alla resistenza di tre
donne: Laila Soueif e le sue figlie Mona e Sanaa, le sorelle di Alaa. Sono
tutte e tre attiviste per i diritti umani che hanno trascorso decine di ore
fuori della temutissima prigione di Tora al Cairo in attesa di una lettera, di
uno scritto di Abdel Fattah. Sono state aggredite davanti alla prigione mentre
le forze dell’ordine lasciavano fare. Sanaa, che ha 26 anni, è stata arrestata
mentre era andata a denunciare il pestaggio alla polizia. Il 17 marzo è stata
condannata a un anno e mezzo di carcere con accuse del tutto false secondo Amnesty
international. Dal 2014 era già stata condannata al carcere in relazione a due altri
casi, come ricorda questo video sul murale che le
è stato dedicato dall’artista egiziano Ammar Abo Bakr a Roma.
Il libro esiste anche grazie alla bella solidarietà internazionale di un
collettivo che circonda ancora i rivoluzionari di piazza Tahrir. I testi di
Alaa Abdel Fatah sono stati pubblicati in inglese e in italiano
contemporaneamente. La versione inglese ha un’introduzione della giornalista
canadese Noemi Klein, quella italiana è presentata da Paola Caridi, giornalista
esperta di Medio Oriente, mentre delle utilissime note ripercorrono il contesto
politico degli scritti.
Il formato cartaceo potrebbe sembrare paradossale per un autore che è un
programmatore di formazione ed è giustamente considerato come il padre dei
blogger egiziani, avendo inventato, insieme alla moglie Manal Hassan, gli
aggregatori di blog Manalaa e Omraneya, che intorno al 2005 spalancarono una
nuova porta per la libertà di espressione in Egitto, sei anni prima della
rivoluzione di piazza Tahrir.
Alaa Abdel Fattah è un intellettuale e attivista contemporaneo che si
esprime con grande chiarezza su vari supporti e il libro abbraccia questa
comunicazione molteplice. Ci sono gli articoli del periodo rivoluzionario,
quando i suoi scritti erano pubblicati da diversi giornali contemporaneamente:
l’articolo pubblicato da Al Shorouq il 10 luglio 2011, che apre la raccolta, è
dedicato allo studio della costituzione sudafricana. L’entusiasmo e l’intensità
democratica del pensiero di Abdel Fattah si evincono fin dalle prime pagine:
Ogni singolo problema importante, come la questione di avere un sistema
presidenziale o uno parlamentare, richiede un’ampia discussione che può anche
durare settimane. I dibattiti dovrebbero essere pubblici e dovrebbero esserci
consultazioni per consentire ai cittadini, ai rappresentati della società
civile, ai nostri movimenti politici e di protesta di partecipare alle
discussioni.
Per rendere omaggio al suo attivismo durante il periodo tra il 2012 e il
2013, il collettivo di curatori ha selezionato invece i contributi pubblicati
su Twitter e Facebook. In quel periodo Abdel Fattah è presente su tutti i
fronti e, secondo il loro calcolo, se dal 2007 ha twittato oltre 290mila
volte, “significa che se un libro contiene 300 pagine e ogni pagina contiene
dieci tweet, equivale a circa cento libri composti soltanto di tweet”.
Ci sono anche interventi in contesti internazionali come il suo discorso di
apertura della RightsCon, una conferenza sui diritti umani in epoca digitale
tenuta nella Silicon Valley, in cui accusa pubblicamente le reti di telefonia
private come Vodafone di essersi piegate all’autoritarismo durante la
rivoluzione. Ma il suo pensiero politico va oltre e individua le ragioni
strutturali della situazione, che hanno implicazioni globali:
Il mercato è altamente centralizzato, altamente monopolizzato, e ciò per
assicurare privilegi a queste società. In cambio, le grandi società estendono i
propri privilegi al governo, consentendogli di esercitare un maggiore
controllo.
Il volume comprende inoltre estratti di interviste televisive, dialoghi con
amici pubblicati dal giornale indipendente egiziano Mada Masr, collaborazioni
letterarie con poeti tramite “grida da una cella all’altra”, lettere scritte su
pezzi di carta in carcere e raccolte dalla madre e dalle sorelle. O ancora le
sue famose dichiarazioni al magistrato: non avendo più neanche carta e penna in
cella, l’intellettuale approfitta di questa occasione in cui gli viene data la
parola per mischiare denunce puntuali del sistema giudiziario e riflessioni
politiche...
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