Quel che sta accadendo ultimamente per le strade preoccupa e rinfranca. Preoccupa per la reazione violenta della polizia contro le proteste pacifiche degli studenti (leggi anche Finalmente noi di Marco Arturi). Una foto di Internazionale, a fine gennaio, ci avverte che in Gran Bretagna sono in corso manifestazioni contro il “Police, crime, sentencing and courts bill”, un progetto di legge sull’ordine pubblico che sta per essere votato e che darebbe alla polizia la facoltà di impedire manifestazioni e sit-in, anche pacifici. Si intravvedono i segnali sempre più chiari di una chiusura, che ormai equipara protesta a violenza – quando non “terrorismo” – qualunque sia la forma del manifestarsi. E non accade più solo in Birmania o in Bielorussia, ma anche nell’Occidente ex liberale.
Ma quel che sta accadendo può anche rinfrancarci. Studenti che finalmente
sembrano aver aperto gli occhi e mangiato la foglia. E che urlano:
“Siamo stanchi di vivere nella paura!”, “La vostra scuola ci fa schifo!”, “Gli
immaturi siete voi!”. E che protestano finalmente contro l’assuefazione alla
precarietà e allo schiavismo coperto rappresentato dalla tanto osannata
“alternanza scuola-lavoro”.
Così come già accaduto con Friday for future ed Extinction Rebellion,
emergono forme di opposizione ai suadenti (e ferrei) regimi del TINA.
Difficile sapere, pensare o credere che possano ottenere qualcosa. Forse
uno scritto in meno alla maturità: nessuno o quasi sa più scrivere, e perché
dovrebbero saperlo dei diciottenni, dopo la Dad, le scuole che frequentano e
gli smart phone che smanettano? Lì, è chiaro, non si può imparare più né a
leggere né a scrivere veramente. Non riesco a farne loro una colpa. Semmai la
responsabilità è solo degli adulti che hanno provato a sedurli col mito del
“fast&smart” e gli hanno propinato twitter e facebook.
O forse iniziano a sentirsi dei rumori di fondo più significativi
che ci fanno pensare a una nuova rivolta che comincia ancora una volta da lì? Sinceramente,
se sarà, non vedo come potrebbe essere altrimenti. Inutile attendere qualcosa
di più che qualche articolo e qualche pacca sulle spalle dalla quasi totale
maggioranza di noi adulti, più o meno serenamente integrati.
Faccio il morto, da tempo. Ma ho sempre detto che, se qualcosa riprendesse
a muoversi, sarei felice di vederlo, riconoscerlo, accoglierlo, accarezzarlo.
E, se trovassi – se si trovasse – il modo e il tempo, di accompagnarlo ed
accogliere – come un cane che scodinzola – la sua compagnia. Almeno così, per
attraversare la catastrofe con loro, con qualcuno, con altri. In tempi tanto
tristi non sarebbe poco.
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