“Non si può lasciare che il business farmaceutico faccia da padrone durante una pandemia”.
Intervista
alla suora, medico e teologa Teresa Forcades di Assumpció Maresma1 e Julia Partal
In quest’anno di pandemia, Teresa Forcades non ha fatto alcuna apparizione
sui media principali. È stato un anno difficile per tutti: le ultime cifre
parlano di oltre tre milioni di morti dovuti a questo virus devastante.
Il modo in cui l’emergenza è stata gestita sin dall’inizio è stato caotico e
poco efficiente. Il futuro si è ristretto. Molte persone si sono ridotte in
povertà a causa di decisioni politiche volte al contenimento del contagio, che
però si sono rivelate fallimentari. Non occorre dire altro, ci siamo tutti
dentro. In questo contesto, è emersa una polarizzazione nei modi di vedere la
pandemia verso la quale i governi e le grandi aziende hanno spesso scelto di
mantenere una zona di comfort informativo, riducendo tutto a semplificazione.
Come giornalista e redattrice di «VilaWeb», questa situazione mi mette a
disagio e mi angoscia. E poiché ci troviamo a vivere un momento di incertezza,
penso che avere una visione più ampia e meno timorosa di fronte al dissenso sia
un buon punto di partenza. Evitare il negazionismo pandemico non implica che
non si debba ascoltare né discutere. Dobbiamo dare argomenti e cercare
risposte. Per questo motivo, «VilaWeb» ha voluto sapere cosa pensa Teresa
Forcades di quello che sta succedendo, in una lunga conversazione che non cerca
le prime pagine ma che nasce da un impegno per la libertà e la responsabilità.
Io, vaccinata con una dose; lei, critica verso la strategia di vaccinazione. È
solo una delle cose che ci rendono diverse, e forse ce ne sono molte altre, ma
nonostante tutto siamo unite dalla convinzione che parlare e discutere sia uno
degli strumenti più potenti che abbiamo per combattere l’ignoranza. Per questo
motivo abbiamo collegato all’intervista una serie di link, fra cui uno rimanda
al magnifico reportage giornalistico di John Le Carré sulla corruzione
nell’industria farmaceutica, successivo al suo romanzo Il giardiniere tenace che ha ispirato il noto film.
Perché alla fine non ha partecipato al programma
FAQS2? È vero che sarebbe dovuta andare?
Sì, sono stata invitata. L’intenzione era quella di farmi prendere parte a
un dibattito con un’altra persona: questa avrebbe presentato la versione
ufficiale riguardo la gestione dei vaccini, io invece avrei dovuto fare da
contraltare. Così ho fatto alcune richieste che però si sono diffuse in rete in
maniera diversa da come le avevo formulate (io infatti mantenevo una posizione
più neutrale).
Di che si tratta?
Avevo chiesto che il mio interlocutore non avesse legami economici con
l’industria farmaceutica e che, in caso li avesse, li dichiarasse sin
dall’inizio, come si suol fare nelle pubblicazioni scientifiche. In secondo
luogo, chiedevo che la moderatrice potesse fare il suo lavoro e che gli ospiti
non si interrompessero a vicenda. Terzo, che gli argomenti fossero
scientificamente fondati e non ad hominem, e che gli articoli citati
potessero essere mostrati sullo schermo. Ho agito così perché avevo visto un
dibattito di FAQS trasformarsi in uno spettacolo e personalmente mi rifiuto di
prendere parte a questo tipo di cose. Ho anche chiesto che a un argomento
scientifico non si potesse rispondere con un argomento di autorità.
E cosa è successo?
Le ultime notizie che ho avuto da loro è che stavano cercando la persona
adatta, poi non so nient’altro.
Teresa Forcades è tacciata di essere
un’antivaccinista, è vero?
Da un punto di vista scientifico non ha senso essere a favoreo contro un
determinato argomento. Non è una questione di opinione, né di posizione
personale. Ad esempio, qualche tempo fa ho studiato il vaccino dell’influenza
perché c’era una controversia relativa ai vaccini dell’influenza A e del
papilloma. In questi due vaccini ho visto che le raccomandazioni provenienti
dalla sanità pubblica non corrispondevano all’evidenza scientifica: in entrambi
i casi il rischio per la popolazione generale era maggiore del beneficio.
I vaccini hanno significato un miglioramento per
la società…
Il principio della vaccinazione mi sembra eccellente: dai al corpo la
possibilità di produrre anticorpi in condizioni controllate o completamente
sicure. Se il virus è inattivo non c’è pericolo di infezione, quindi il corpo
produce anticorpi ed è pronto a dare la risposta immunitaria. Invece trovo
problematico in quali mani lasciamo questi vaccini e che tipo di studi vengono
fatti per il loro monitoraggio.
Con i vaccini Covid, gli scienziati hanno fatto
il loro lavoro?
L’attuale vaccinazione di massa influisce sulla prevenzione della malattia
ma non sulla trasmissione (così sono tutti i vaccini che vengono iniettati:
Pfizer, Moderna, AstraZeneca, Johnson & Johnson e così via), e questo a
lungo termine è controproducente perché lascia il lavoro “a metà” e fa mutare
il virus in un ceppo più virulento in grado di colpire i più giovani e i
bambini. Questo è spiegato molto bene dal Dr. Geert Vanden Bossche3 ed è
confermato da una ricerca in
Sudafrica. Il dottor Peter McCullogh, che è un grande cardiologo statunitense, si
chiede come mai alcune ricerche siano state fermatee altre invece siano state
potenziate. Il problema è che tutti i vaccini attuali attaccano la
proteina spike e producono anticorpi specifici che non
eliminano la trasmissione. Questa è una strategia fallimentare, che potrebbe
portare a seri problemi nel giro di sei mesi.
Tutti gli studi indicano che la mortalità
diminuirà.
Anche in questo caso si tratta di una strategia a breve termine, perché è
stato dimostrato che l’attuale vaccinazione non impedisce la trasmissibilità e
quindi si può trasmettere la malattia in modo asintomatico. Infatti, se sei vaccinato,
ma hai il virus e non te ne accorgi, puoi infettare un’altra persona che può
ammalarsi. E questo aumenta la capacità del virus di espandersi e di mutare. È
vero che la mutazione è un fenomeno normale, ma è altrettanto vero che la
vaccinazione offre un vantaggio competitivo ai ceppi più virulenti. Questo è il
caso della variante sudafricana, resistente ai vaccini attuali. Inoculare
questo tipo di vaccini nel bel mezzo di una pandemia è un esperimento su larga
scala che sta selezionando varianti più virulente, come appunto quella
sudafricana. Se crei l’immunità al virus ma non lo elimini, lo inviti a mutare
in una nuova variante.
E quale alternativa propone?
Si potrebbe lavorare con un’altra strategia vaccinale volta a provocare
l’immunità cellulare, a stimolare le cellule Natural Killer che
i giovani attivano quando affrontano una malattia asintomatica. Mi pongo delle
domande perché voglio davvero delle risposte che mi tolgano l’angoscia per
tutto quello che sta succedendo. La confusione ora è grande e gli studi devono
essere fatti; separare il grano dalla pula costa, e quindi dovrebbe essere
fatto un monitoraggio a lungo termine di tutti i volontari che hanno
partecipato agli studi sui vaccini, in modo da ricavare informazioni preziose.
Gli effetti a lungo termine sono difficili da valutare e questa sarebbe
un’opportunità per farlo.
L’urgenza della pandemia non giustifica il
rischio?
Lo giustificherei solo se non ci fossero alternative. E ci sono: il dottor
Peter McCullough denuncia che la FDA (Food and Drug Administration) non ha
sostenuto lo studio del vaccino che agisce sull’immunità cellulare proposto
dalla società inglese Immodulon Pharmaceuticals. A differenza degli
anticorpi, questa immunità è un’immunità innata e, cosa più importante, aspecifica.
Ciò significa che è efficace contro tutti i ceppi del virus, da quello
originale alle varianti, mentre i vaccini che abbiamo sono specifici. Sarebbe
l’ideale se fossero al contempo specifici ed eliminassero il virus, ma se non
impediscono la trasmissione – e questo è il caso – è controproducente usarli
nel mezzo di una pandemia. La ricerca che abbiamo sui vaccini è stata
finanziata negli Stati Uniti con enormi quantità di denaro pubblico: 500
milioni di dollari sono stati dati alle aziende che ora fanno pagare il vaccino
per poi non assumersi e che poi non saranno responsabili degli effetti
collaterali. Se metà di questo denaro fosse stato speso per studiare possibili
cure (non vaccini, ma cure per i malati), forse avremmo avuto più benefici.
Tuttavia, abbiamo già un trattamento che se tempestivamente somministrato è
efficace nell’85% dei casi.
Lei non è favorevole a mescolare i vaccini…
Penso che ci sia troppa incertezza per produrre vaccini in quantità
maggiore. Tutto è troppo sperimentale. Se è stato creato un vaccino che prevede
più dosi, non si apportano variazioni in medias res. Se sono
necessarie due o tre dosi dello stesso vaccino, fatele. Sono anche preoccupata
per il fatto che vogliono aumentare l’intervallo tra le dosi o inocularne solo
la prima. Lo vedo un trattamento antibiotico a metà che aumenta la possibilità
di selezionare varianti più aggressive.
Ora si è aperto il dibattito sulla vaccinazione
dei giovani e dei bambini, lei come la vede?
I vaccini che si vogliono dare ai bambini sono gli stessi degli adulti. E
hanno, quindi, gli stessi problemi menzionati sopra. Nessuno di questi vaccini
è stato approvato, ma solo autorizzato ad essere somministrato nella
popolazione adulta a causa dello stato di emergenza: sono vaccini sperimentali
e chi decide di farli non avrà diritto di pretendere nulla in caso ci siano
problemi. Non ci sono studi, nemmeno uno, sugli effetti a lungo termine. Né
sappiamo quanto durano gli anticorpi. E non sappiamo quale sia il rischio
effettivo di ADE4. Per i bambini questo virus non è un’emergenza, e anche se ci
sono dei casi accertati n?n sono comunque sufficienti a costituire
un’emergenza. Vaccinarli significherebbe sottoporli a un rischio che non può
essere giustificato.
Perché si è spinto così tanto per i vaccini e
così poco per le cure? Perché il trattamento con i farmaci esistenti non è
stato incoraggiato?
Le linee guida di trattamento dovrebbero essere delle raccomandazioni utili
ad aiutare i medici, non divieti di trattamento. Il giudizio dei medici, che
conoscono e si fidano dei loro pazienti, non può essere ignorato. Si dovrebbe
lasciare che ogni medico possa agire in modo responsabile, come si è sempre
fatto. E denunciare i medici che hanno dimostrato di agire in modo
irresponsabile, come si è sempre fatto. Se fosse andata così ci sarebbero state
molte più iniziative di intervento. Invece, non solo questo non è stato
favorito, ma è stato perfino vietato, anche sotto la minaccia di sanzioni. Sono
state dedicate poche risorse sia alla prevenzione con farmaci esistenti, sia al
potenziamento dell’assistenza primaria e del trattamento precoce a casa. Il
risultato è stato un dramma: le persone avrebbero potuto ricevere le cure a
casa già alle prime avvisaglie della malattia, ma non è stato fatto. Questo il
dottor McCollough lo spiega molto bene in un’audizione pubblica davanti al Senato degli Stati Uniti in cui dice che
la strategia di trattamento non dovrebbe includere i vaccini. C’è anche il noto
caso del dottor Didier Raoult, un epidemiologo di
Marsiglia finora molto rispettato.
Entrambi i medici propongono e applicano un
trattamento con medicine già esistenti.
Il dottor Didier Raoult, all’inizio della pandemia, ha fatto degli studi in
cui spiega che l’idrossiclorochina, se combinata con l’azitromicina e lo zinco,
è efficace. Si comincia a fare studi in tutto il mondo, ma nel maggio 2020 le
riviste «The New England Journal of Medicine» e «The Lancet» pubblicano degli articoli in cui si dimostra che
l’idrossiclorochina aumenta il rischio di mortalità. L’OMS ferma tutti gli
studi. In seguito, grazie all’inchiesta del «Guardian», si scopre che questi articoli sono
stati rimossi perché falsi. Lo scandalo è enorme, ma cosa si è fatto dopo? Si è
tornati a dare l’idrossiclorochina, come già si faceva in molti ospedali? Beh,
no, si è fermato tutto, sebbene questo trattamento in Grecia sembri funzionare.
Il dottor Peter McCullough ha stilato un protocollo molto completo in cui
associa i farmaci esistenti – come idrossiclorochina, ivermectina, prednisone,
aspirina e così via – ai diversi stadi della malattia5 e ribadisce che il
Covid può essere trattato. Purtroppo però viene censurato.
E cosa si dovrebbe allora?
Le mie conclusioni sono che si dovrebbero fare ricerche e valutazioni
mediche indipendenti dall’industria. Quello che sto dicendo dovrebbe essere
ovvio, poichè sono necessari degli studi sugli effetti a lungo termine dei
vaccini. Ritengo inoltre necessario evitare che le scuole di medicina, le
riviste mediche, le associazioni professionali e le autorità sanitarie
dipendano dai finanziamenti dell’industria farmaceutica.
Ci viene detto però che senza questi
finanziamenti non è possibile fare ricerca…
C’è una prassi che non dovrebbe esistere, e cioè che le industrie
farmaceutiche paghino l’agenzia di regolamentazione affinché metta più persone
a lavorare in modo da poter approvare i farmaci in tempi più rapidi.
Ufficialmente, dicono di non fare alcuna pressione. Ma prima, su dieci
richieste di approvazione di un farmaco, una andava a buon fine e le altre nove
no. Ora, invece, è il contrario: nove vengono approvate e solo una viene
negata.
E da quanto tempo va avanti questa penetrazione
del finanziamento farmaceutico nelle decisioni sanitarie?
Una volta questo non succedeva. Mi sono laureata in medicina nel 1990 e
direi che quasi nessuno dei miei professori era pagato da qualche industria
farmaceutica. Ora non si può dire lo stesso. Inoltre, ricevo costantemente lamentele
dagli studenti perché molti master sono finanziati e condizionati da queste
industrie.
Cosa ha provocato questo cambiamento?
Un precedente importante risale all’approvazione dell’immunità a favore
delle industrie farmaceutiche da parte di Reagan, che le elevò a servizio
pubblico essenziale. Per incoraggiare la crescita di queste industrie, la sua
amministrazione decise che lo Stato avrebbe risposto in prima persona in caso
ci fosse stato un farmaco dannoso sul mercato. Queste aziende aumentarono così
i loro profitti grazie a questa condizione di privilegio. Si sa che ormai da
molto tempo guadagnano più delle banche.
Tra l’altro uno degli uomini delle
amministrazioni Reagan e Bush più strettamente associato agli affari bellici,
Donald Rumsfeld, era legato anche all’industria farmaceutica…
Uno dei più grandi scandali degli ultimi anni è quello del Tamiflu della
Roche. Impiegato per l’influenza A, si disse che avrebbe portato alla
diminuzione delle patologie gravi e della mortalità. Ma la realtà è che ha solo
diminuito i sintomi di un giorno e ha creato tendenze suicide negli
adolescenti. In Giappone lo hanno bloccato. Il «British Medical Journal»ha
indagato sulla faccenda e ha scoperto che l’azienda aveva nascosto gli esiti
negativi di una grossa fetta di studi. Una cosa del genere non si dovrebbe
fare, ma l’EMA (European Medicines Agency) – che, ricordiamolo, è finanziata al
75% dalle compagnie farmaceutiche – non dice che un’azienda farmaceutica è
tenuta a mettere a disposizione dei medici ricercatori (o di tutti, come io
auspico) l’intera storia delle sue ricerche. Questo non è obbligatorio. Quindi,
se sono un medico e mi viene detto che uno studio su un farmaco è andato bene,
cosa faccio? Beh, ci credo e lo prescrivo. Ma se conosco la verità e vedo che
su venti studi solo uno è andato bene, allora non lo prescrivo. È evidente.
Lo scandalo del Vioxx, un farmaco che doveva
essere ritirato, ha evidenziato un altro paradosso: le aziende farmaceutiche
potrebbero trovare più redditizio pagare milioni di multe e continuare a
ingannare per fare più affari.
Il Vioxx era un farmaco antinfiammatorio della Merck e si diceva fosse
sicuro per lo stomaco. È stato sul mercato dal 1999 al 2004 e subito si è visto
che dava effetti collaterali, causando in particolare l’infarto del miocardio.
Nel processo alla Merck per il ritiro del farmaco sono stati refertati 29.000
morti. Ma la multa che hanno dovuto pagare, nonostante fosse di miliardi, è
stata inferiore ai profitti avuti dalle vendite del Vioxx.
Uno degli scandali più recenti è stato quello del
dottor Baselga, il quale non ha rivelato di essere stato pagato da
AstraZeneca dovendo così ritirarsi dallo Sloan Kettering
Institute.
Siamo arrivati a un punto di non ritorno: o diventiamo consapevoli e
attuiamo un cambiamento radicale o tutto andrà fuori controllo. Una delle
questioni chiave è chi decide cosa dire o non dire in merito alle ricerche. Il
partenariato pubblico-privato è un’ottima cosa, ma in molti partenariati il
settore privato ha la percentuale maggiore. Non c’è una vera collaborazione,
l’azienda privata approfitta delle istituzioni pubbliche per riservarsi la
capacità di decidere. L’industria fa marketing, produzione e
distribuzione. Il suo posizionamento tentacolare all’interno della società
costituisce la corruzione della medicina. Non dovrebbe essere così perché è un
danno che si paga tre volte: in un primo momento quando attraverso lo Stato
contribuiamo a finanziare le università pubbliche o le start up per
la ricerca; in secondo luogo quando l’industria privata vende e applica dei
prezzi abusivi ai farmaci che compriamo; infine, se ci sono effetti
collaterali, paghiamo nuovamente l’industria perché lo Stato la risarcisce. Nel
frattempo l’industria farmaceutica ha alcuni dei più alti ritorni economici, al
pari delle industrie belliche. Tutto questo ha anche un effetto sulla crescente
medicalizzazione della società.
Perché?
Ebbene, nel 2004 il parlamento britannico ha incaricato la sua commissione
d’inchiesta di esaminare l’influenza indebita delle aziende farmaceutiche,
ritenendola un fenomeno di preoccupante gravità, che ha così formulato
novantasei raccomandazioni. Hanno inventato questa frase «A pill for every ill»6,
che io traduco così, affinché il significato non vada perso: «Un farmaco per
ogni preoccupazione». Ciò corrisponde a questa mentalità: posso controllare
ogni disturbo e rapidamente. Ho una contrattura: invece di stare a riposo mi
prendo una pillola. Questo tipo di società, affezionata all’immediatezza, si
lega bene a questo fenomeno. C’è un’offerta dell’industria e allo stesso tempo
una domanda da parte della popolazione.
Lei è critica verso la responsabilità aziendale.
Se mettiamo da parte la responsabilità personale, tutte le altre forme di
responsabilità svaniscono?
Sbagliamo se di fronte a un crimine chiamiamo in causa la responsabilità
dell’azienda, perché questa non se l’assumerà: l’azienda guadagna e non le
succede niente. Non può essere così. Se c’è un crimine, qualcuno deve assumersi
la responsabilità. E quando parlo di crimine non mi riferisco a un prodotto che
un’azienda farmaceutica mette in circolazione e di cui non conosce gli effetti
collaterali, ma lo intendo come la scelta di mettere in vendita un prodotto nascondendo
informazioni su questi stessi effetti. E questo accade molto più spesso di
quanto pensiamo. Nel breve periodo dal 2000 al 2003, quasi tutte le grandi
aziende farmaceutiche sono state interrogate in tribunale perché è stato
dimostrato che avevano nascosto delle informazioni. Se ci sono problemi, si
dovrebbe concentrare la ricerca sulla protezione dei pazienti e iniziare una
nuova linea di indagine, non nascondere queste informazioni. Il fatto che le
cattive informazioni vengano direttamente cestinate comporta la rovina
definitiva della medicina. E questo è successo. Tutte le grandi aziende sono
state citate in giudizio e nessuno si è preso la responsabilità personale,
tutto è finito sotto la responsabilità aziendale.
Lei rivendica la responsabilità personale?
Vorrei che la medicina e la ricerca non fossero un business.
Ovviamente i soggetti coinvolti vanno pagati, ma non dovrebbe trattarsi essere
solo di grandi imprese. Non è necessario chiamare in causa organismi di
proprietà dello Stato, ci sono molti modi per cambiare le cose, come ad esempio
attraverso le cooperative.
E non ha paura che tutto questo finisca per
screditare i farmaci e il loro uso?
No. Abbiamo un eccesso sproporzionato di farmaci. C’è chi dice che ne
basterebbero venti, forse cento. Ma non migliaia, mi riferisco specialmente ai
farmaci me too, chiamati anche “imitazioni”, che non apportano
nulla di nuovo ma vengono prodotti quando scade un brevetto. Nella sfera
capitalista non si può rinunciare alla salute. Il mio discorso non vuole
assolutamente screditare la medicina ma, al contrario, vuole onorarla.
L’origine della sfiducia viene da tutte queste frodi di cui sto parlando.
Condivide i dubbi sulle PCR, perché fanno troppi
sequenziamenti, e pensa che ci siano falsi positivi. Ma in Catalogna la
mortalità è un dato reale. Siamo una piccola provincia e conosciamo tutti i
morti.
Ho visto medici piangere perché avevano a disposizione solo sedativi e non
potevano fare nulla per aiutare le persone: non potevano portarle negli
ospedali, niente medicine, niente radiografie. Non c’era modo di isolarle.
Ricordo ancora una mia collega che ha visto morire il 60% dei suoi pazienti. In
Catalogna c’è stata una gestione tale della pandemia che andrebbe approfondita
per vedere cosa è successo. Quanto di questa mortalità era dovuta al virus e
quanto a una sua cattiva gestione? Per quanto riguarda la PCR, è necessario
sapere che i gravissimi errori nel test raccomandato dall’OMS hanno portato
ventidue scienziati di fama a chiedere il ritiro dell’articolo originale e la
revisione del protocollo. Non si capisce perché né le autorità sanitarie, né la
rivista medica coinvolta, né la stampa abbiano dato risonanza a questa notizia.
In che modo la gestione del virus uccide? Stiamo
parlando della gestione del governo della Generalitat?
I medici di assistenza primaria hanno dovuto lavorare in condizioni di
stress. A volte hanno dovuto fare da soli i test PCR, togliendo tempo alla cura
dei pazienti, e conosco medici di famiglia che hanno visitato una media di 70-90
pazienti al giorno. Il governo spagnolo ha dato soldi all’esercito per fare
gli screening e nulla per migliorare le cure primarie. È anche
importante distinguere tra morire di Covid e morire per il Covid. Secondo
un articolo pubblicato nel bollettino dell’OMS, la mortalità da
Covid nel mondo fino al 12 settembre 2020, cioè prima dell’inizio dei vaccini,
era inferiore allo 0,20%, cioè equivalente all’influenza stagionale. Abbiamo
quasi 2 milioni di morti di Covid, mentre 9 milioni muoiono di fame ogni anno.
Perché non dichiariamo la fame un’emergenza globale e la mettiamo in prima
pagina per un anno intero?
Ora siamo arrivati già a tre milioni di morti. E
molta gente continua a morire.
Sì, c’è molta sofferenza. Mi sconvolge pensare che la situazione possa
peggiorare con queste strategie di vaccinazione mediante anticorpi specifici
che non impediscono al vaccinato di trasmettere la malattia. Non troverete
nessuno studio che dica che il vaccinato smette di trasmettere la malattia.
Secondo il dottor Vanden Bossche – l’esperto mondiale di vaccini
responsabile del vaccino contro l’ebola –, la strategia di vaccinazione seguita
per il Covid-19 è sbagliata. Ora, però, un parere difforme non viene accettato.
Se c’è, la persona che non è d’accordo viene umiliata o sminuita.
Lei sostiene che il clorito di sodio nelle giuste
dosi può essere un rimedio nelle prime fasi della malattia.
Il clorito di sodio è una sostanza che conosco molto bene, è l’antivirus a
più ampio spettro, è ciò che rende l’acqua potabile e il suo consumo nell’uomo
è stato molto ben studiato. Un anno fa ho presentato all’Agenzia spagnola dei
farmaci e dei prodotti sanitari (AEMPS) un protocollo di novanta pagine, e
l’unica risposta che abbiamo avuto è stata di fare piccole correzioni poco
importanti, una tempistica ingiustificabile dato che si tratta di una questione
risolvibile in quindici giorni.
In cosa consiste questo protocollo?
Parto da uno studio sulla SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica) realizzato
nei migliori ospedali degli Stati Uniti – che però non ha avuto successo – in
cui è stata iniettata una dose di clorito di sodio che si è dimostrato non
tossico. Benché io pensi che possa essere somministrato anche per via orale,
preferisco portare avanti lo studio a partire da questa dose sperimentata.
Conoscete il primum non nocere. Questo progetto comporta una fase
pilota ed è stato approvato dal comitato etico dell’ospedale. Voglio solo che
ci lascino andare avanti con lo studio e se non funzionerà lo interromperemo.
Ma sapete che l’Agenzia spagnola dei medicinali
(AEMPS) si è pronunciata contro il Miracle Mineral
Supplement (MMS)?
C’è una linea guida AEMPS del 2010 che parla dell’MMS come sostanza
vietata, ma io sto parlando di clorito di sodio, che è perfettamente legale
perché si usa per rendere l’acqua potabile. Peraltro, la Spagna ha approvato
l’uso del biossido di cloro per il coronavirus per la disinfezione delle
superfici esterne.
E anche il Collegio dei medici della Catalogna è stato molto forte in questo senso.
Il Collegio dei medici, nel 2018, ha aperto un dossier di
informazioni riservate, cosa che però non è passibile di sanzione. Lo fanno per
scoprire se c’è una ragione sanzionatoria. Tuttavia, hanno chiesto a me e a un
altro medico di smettere di parlare di MMS. Quando ho ricevuto l’ingiunzione,
ho chiesto su quali elementi si stesse basando il Collegio. Hanno risposto che
si basavano su un documento pubblicato dallo stesso College of Physicians, che
è un insieme di linee guida per le buone pratiche. Naturalmente, i medici hanno
un codice etico che deve essere rispettato da tutti i membri. Ma per modificare
il codice etico bisogna fare un dibattito pubblico; quindi, questo documento
non poteva essere normativo dal momento che non è stato formulato sotto forma
di legge, e se non è normativo, allora è una raccomandazione che il medico può
seguire o meno. Ho chiesto loro di fornirmi le precedenti discussioni contenute
in questo documento del Collegio dei Medici, quali rapporti avevano e quali
esperti li avevano consigliati. Quando non hanno risposto, mi sono rivolto alla
Commissione per la garanzia del diritto di accesso all’informazione pubblica
(GAIP). Il GAIP ha chiesto loro di fornire le informazioni, ma non l’hanno
fatto e quest’anno il Collegio ha chiuso il dossier di
informazioni riservate che avevano aperto per me senza alcun procedimento
disciplinare. Mi è stato detto di non raccomandare l’uso del clorito di sodio.
Cosa che non si può fare se il dossier informativo è chiuso,
perché significa che non hanno visto nessuna ragione per attuare una sanzione.
Alcune persone hanno detto cose sull’MMS che non
hanno alcun fondamento reale. Alcuni dicono che cura tutto, anche tutti i tipi
di cancro.
Non dico che il clorito di sodio, o diossido di cloro, sia la panacea di
tutti i mali. Sto solo dicendo che sembra essere molto valido per i processi
infiammatori e come antivirale. Ecco perché voglio fare lo studio in accordo
con l’AEMPS. L’hanno usato in Bolivia e alcuni medici di lì mi dicono di vedere
un grosso miglioramento, e so che viene prodotto all’università.
Non abbiamo parlato dei brevetti…
Per solidarietà e responsabilità collettiva, chiediamo ai proprietari di
piccole o medie imprese, nonostante gli sforzi di una vita, di chiudere. ??lti
li mandiamo in rovina. Tuttavia, non andiamo a intaccare il business delle
aziende farmaceutiche più redditizie, anche se in realtà non apportano alcuno
sviluppo scientifico. Dobbiamo seriamente considerare che le innovazioni
vengono dalle start-up o dalle università. Il dominio
del business farmaceutico in mezzo a questa pandemia globale
non è ammissibile.
Traduzione a cura di Maria Chiarappa
[1] L’intervista è stata pubblicata sulla rivista digitale «Vilaweb» il 1
maggio 2021 (disponibile su https://www.vilaweb.cat/noticies/entrevista-teresa-forcades-covid-vacunes/).
[2] Programma della TV pubblica catalana.
[3] Consultabile al link youtube.com/watch?v=2LSMpuQcTSE;
https://www.youtube.com/watch?v=focypkN82Q8
[4] Potenziamento anticorpale dell’infezione.
[5] Consultabile al link https://www.amjmed.com/article/S0002-9343(20)30673-2/fulltext.
[6] «Una pillola per ogni malattia»
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