Nûdem Durak era in prigione da due anni quando uno dei pochi fili che ancora la collegavano alla libertà è stato tagliato. Prima di finire in galera nel 2015 per scontare una condanna a 19 anni, la cantautrice viveva a Cizre, in Turchia. Cantava canzoni in turco e nella sua lingua nativa, il curdo. È stata accusata di essere in contatto con i membri del PKK (il Partito dei Lavoratori del Kurdistan), che la Turchia e gli Stati Uniti considerano un’organizzazione terroristica. Secondo il suo avvocato, è stata condannata perché «membro di un’organizzazione illegale» e non ha avuto la possibilità di presentare prove per difendersi. Quando è entrata in prigione per scontare la pena, le è stato permesso di portare una chitarra acustica, che è stata distrutta durante un controllo del 2017, quando le guardie carcerarie hanno divelto il manico dal corpo.
«Ho sempre sognato di avere una chitarra, ma non avevo
abbastanza soldi», ha detto Durak in un’intervista concessa ad Al
Jazeera poco prima di entrare in carcere. «L’ho comprata impegnando
l’anello di matrimonio di mia madre, è stata lei a chiedermi di farlo. Era
tutto per me».
Negli ultimi anni la sua storia si è diffusa in tutto
il mondo e la distruzione dello strumento ha colpito moltissimi musicisti. Come
l’ex Pink Floyd Roger Waters, che si è infuriato quando ha saputo della
chitarra e della sentenza. «Immagino che una chitarra sia motivo di conforto
per un musicista in prigione», dice a Rolling Stone. Dopo aver
fatto delle ricerche, si è dato da fare per aiutare Durak, coinvolgendo altri
rocker come Pete Townshend, Robert Plant, Peter Gabriel e Brian May per
amplificare il messaggio e ottenere un nuovo processo.
«Nûdem Durak è nostra sorella», dice Waters, «abbiamo
la responsabilità di darle una mano, a lei e alle centinaia di migliaia di
persone che soffrono come lei, ingiustamente incarcerate in tutto il mondo,
anche negli Stati Uniti e nel Regno Unito».
«L’arte è il luogo dove i cuori si liberano, dove lo
spirito umano si eleva o dove esprimiamo il nostro bisogno di giustizia»,
scrive Townshend in un comunicato. «Nûdem è curda. La sua voce è collegata alla
sua anima e canterà sempre per la sua famiglia, il suo popolo e la sua nazione.
Noi siamo musicisti e non possiamo fermarci. Facciamo quello che dobbiamo e per
cui siamo nati. La musica di Nûdem è grandiosa ed è triste che un Paese con
l’immensa storia artistica della Turchia tratti in questa maniera una buona
musicista, qualunque cosa pensino del desiderio di autonomia dei curdi».
Waters ha avuto un’idea per fare rumore attorno al caso di Nûdem: le ha mandato la chitarra
acustica che ha suonato nel tour 2017-18 di Us + Them, una Martin
nera, ma con un extra. La chitarra è stata spedita dalla casa di Waters a Long
Island, New York, un anno fa, ma prima di arrivare nella prigione turca ha
fatto diverse fermate in giro per l’Europa, così che alcuni grandi nomi del
rock potessero scriverci sopra qualche parola di supporto. «Sarebbe bello se
riuscissimo a smuovere le autorità turche», spiega Waters. «Il suo avvocato mi
ha detto che per la prima volta in sei anni si è sentita libera. Ma non lo è».
Oltre alla firma di Waters, sulla chitarra ci sono
quelle di Townshend, Gabriel, Plant, May, Marianne Faithfull, Mark Knopfler,
Noel Gallagher e di un altro membro dei Pink Floyd, Nick Mason.
«So della persecuzione dei musicisti curdi fin dagli
anni ’80 e di recente ho scoperto la storia di Nûdem grazie a mia figlia che
lavora al Voice Project», dice Peter Gabriel riferendosi alla campagna “Imprisoned for Art” organizzata nel
2016. «Qualunque musicista può identificarsi con la storia della sua chitarra
distrutta, sono contento di poterla aiutare».
Le idee politiche di Waters sul Medio Oriente hanno
fatto incazzare un sacco di gente in tutto il mondo. È stato accusato di
antisemitismo per via del suo supporto alla Palestina e alla campagna di
boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele per quel che accade in
Cisgiordania e per la richiesta di non suonare in Israele finché non verranno
garantiti i diritti dei palestinesi. «Non sono antisemita o contro il popolo
israeliano», ha detto rispondendo alle accuse del gruppo Community Security
Trust. «Critico le politiche del governo di Israele».
Prima dell’arresto, Durak suonava nel gruppo Koma Sorxwîn e come solista faceva musica nel
centro culturale di Mem û Zîn, a Cizre, un posto che prima della recente
demolizione raccoglieva i curdi del sudest della Turchia. Quella parte del
Paese, insieme alle zone vicine di Iraq, Iran e Siria, comprendono l’area
geo-culturale che conosciamo come Kurdistan. I curdi vivono lì da secoli, ma
negli ultimi anni sono stati perseguitati: dal 1983 al 1991 in Turchia era
vietato parlare curdo, cantare in quella lingua poteva farti finire in
prigione.
Quando Durak è stata accusata, nel 2015, la Turchia
aveva allentato le restrizioni, preoccupata per gli attacchi del PKK. Alla fine
degli anni Zero, il governo ha reagito a quegli attacchi con un’operazione di
polizia che ha portato all’arresto di 150 persone che le autorità consideravano
terroristi. La sorveglianza nella regione è aumentata e Durak è stata accusata
di aver telefonato a vari membri del PKK e di aver visitato una cellula del
partito (il ministro della giustizia turco non ha risposto alle numerose
richieste di chiarimento sulla sentenza). «È stata incarcerata perché
ingiustamente accusata di essere un pericolo per la società turca, dicono che è
una terrorista o una simpatizzante», spiega Waters, che ha scoperto la sua
storia grazie a un amico che gli ha inviato il servizio di Al-Jazeera del
2015.
«Il mio avvocato mi ha chiamato e mi ha detto che sono
stata condannata», diceva lei nel video, «c’era un mandato di cattura contro di
me. Pensavo scherzasse. Gli ho riso in faccia. Purtroppo era tutto vero. E non
sono pochi anni di prigione, sono dieci anni e mezzo» (il servizio dice
erroneamente che è stata condannata per aver cantato in prigione, ma il suo
avvocato ha smentito; la sentenza è stata poi aumentata a 19 anni).
Ali Çimen, l’avvocato di Durak, ha spiegato a Waters
che la donna non è stata messa nelle condizioni di difendersi adeguatamente. La
condanna si basa in parte su un’intercettazione in cui è «molto probabile» che
si senta la voce della donna. Sempre secondo Çimen, Durak non sapeva che
quell’indirizzo fosse legato al PKK. Le autorità le hanno detto che le indagini
sono iniziate dopo che ha ricevuto un messaggio da un membro del PKK nel
periodo in cui si è esibita per il Mezopotamya Cultural Center. In seguito,
secondo l’avvocato di Durak, il membro del PKK ha detto di essere stato
costretto a dichiarare il falso.
«È chiaro che non c’è alcuna prova che dimostri che
lei è una criminale violenta», dice Waters. «Non c’è alcunché che lo confermi.
Non ha fatto nulla, ha insegnato ai bambini a suonare la chitarra e scritto
canzoni sulla sua terra. È una curda».
Dopo due processi in cui sono state coinvolte decine
di altre persone, Durak è stata condannata rispettivamente a nove e dieci anni
di carcere perché collegata a un attacco terroristico che ha portato alla morte
di 18 persone. Il suo avvocato ha detto a Waters che nessuno l’ha accusata
direttamente, ma che è stata condannata perché era nel posto sbagliato nel
momento sbagliato.
«È incredibile pensare che ci sono Paesi in cui i
musicisti che fanno le stesse cose che facciamo noi finiscono in carcere e
rischiano la vita», dice Peter Gabriel. «Ci ricorda che diamo per scontate le
nostre libertà e che abbiamo la responsabilità di far conoscere al mondo queste
storie».
Che cosa cosa si può fare per aiutare Durak? «Bella
domanda», risponde Waters. «C’è un coro là fuori, un coro di persone
preoccupate dalla situazione di questa giovane, preoccupate per chi è
ingiustamente imprigionato in tutto il mondo, per ragioni politiche o meno. A
volte, però, quel coro alza la voce in perfetta armonia».
Nessun commento:
Posta un commento