Recentemente Tucker Carlson, popolarissimo conduttore del canale di
destra Fox News e fiero sostenitore di Trump, nel dialogare
con Mike Turner – il più importante repubblicano all’interno dello House
Intelligence Committee, nonché uno dei 15 firmatari della lettera indirizzata a
Joe Biden con cui si richiede un’immediata azione a sostegno dell’Ucraina
contro la Russia – ha preso una netta posizione contro lo sbandierato
necessario intervento militare degli Stati Uniti in Ucraina (https://www.mediaite.com/tv/tucker-carlson-mike-turner-argue-over-ukraine/). Perché mai dovremmo
impegnare i nostri ragazzi in un’operazione di difesa di un territorio che la
stragrande maggioranza degli americani neppure sa identificare su Google maps?
Non ci è bastata la recente vergognosa ritirata dall’Afghanistan? Per quale
ragione dovremmo stare dalla parte dell’Ucraina e non della Russia, giacché
avere dalla propria parte la Russia significa avere un possibile alleato contro
la vera minaccia per gli Stati Uniti, rappresentata dalla Cina?
Si tratta di domande di buon senso, che riflettono una visione della
geopolitica appartenente all’“uomo di strada”, lontana da quelle convenienze
che muovono una guerra che nulla hanno a che vedere con gli interessi dei popoli.
«L’Ucraina è una democrazia. La Russia, invece, è un regime autoritario che sta
cercando di imporre il suo volere su una democrazia validamente eletta in
Ucraina e noi siamo dalla parte della democrazia», risponde Turner, riesumando
la solita vecchia retorica degli Stati Uniti investiti del compito di tutori
dell’ordine democratico mondiale, che dall’Afghanistan, alla Libia e all’Iraq
ha giustificato le ultime guerre statunitensi rivelatesi palesemente insulse.
Carlson lo incalza: «Quindi la lezione impartita dai 20 anni in Afghanistan e
dalla tragica, vigliacca e controproducente ritirata da lì è che abbiamo
bisogno di più truppe in Ucraina?». Successivamente intervistato circa la
ragione per la quale secondo lui i falchi del GOP in Parlamento vogliono la
guerra, sosterrà: «Io non credo che siano tutti a libro paga di Raytheon, sono
solo in pilota automatico. Sono vittime di idee zombie che non hanno mai saputo
rivedere» (https://www.nytimes.com/2022/01/26/us/politics/tucker-carlson-russia-ukraine.html ).
Tucker Carlson non vuole insomma dire ciò che pubblicamente è inopportuno,
anche se vi fa espressamente cenno. Sia pure non tutti direttamente a libro
paga di Raytheon Technologies o di Lockheed Martin, Boeing, Northrop Grumman e
General Dynamics – ossia delle poche società che monopolizzano il mercato delle
armi e della tecnologia militare per la difesa – la verità è, infatti, proprio
che i parlamentari statunitensi non fanno ormai più da tempo gli interessi dei
loro elettori, ossia degli uomini e delle donne di strada, ma solo e sempre
quelli delle grandi multinazionali, che in un sistema di potere a scatole
cinesi ne determinano la riuscita elettorale, di destra o di sinistra che essi
siano. Non c’è pertanto Congressperson che risponda davvero alle esigenze dei
cittadini statunitensi. Essi rispondono a quelle dei loro big donors,
che devono rincorrere senza sosta, soprattutto se deputati nella House of
Representatives, dato il ridottissimo scarto temporale della loro possibile
rielezione (due anni). Da quando la Corte Suprema, con il famoso caso Citizen
United del 2010, ha inoltre stabilito che le persone giuridiche, che
si esprimono attraverso il denaro, esercitano il loro free speech attraverso
i soldi e hanno quindi il diritto di immetterne illimitatamente nelle campagne
elettorali, il peso dei corporate donors è divenuto esagerato. È per questo che
la prospettiva dei parlamentari e della gente comune (ossia quella nelle cui
scarpe Tucker Carlson si è messo per un momento, anche se a sua volta per
tornaconti politici come si dirà) divergono enormemente ed è per questo che,
per convincere la seconda della bontà delle loro scellerate decisioni di guerra,
i primi devono mettere in piedi retoriche di buonismo internazionale sempre più
spinte insieme ad allarmi di aggressioni russe chimiche o addirittura nucleari
a Kiev, in modo da persuadere altrimenti recalcitranti uomini e donne di strada
che si tratta di una scelta obbligata. Certo dopo le armi di distruzione di
massa rivelatesi inesistenti in Iraq, il disastro civile libico seguito
all’assassinio di Gheddafi e la mancata esportazione della fantomatica
democrazia in Afghanistan, si tratta di un’impresa che potrebbe rivelarsi non
facile. Tanto più che non più tardi di cinque mesi fa, a seguito della débacle
afgana, il presidente Biden aveva categoricamente dichiarato finita l’era
dell’uso del potere militare statunitense per ricostruire gli altri paesi (“to
remake other countries”) (https://www.nytimes.com/2021/08/31/us/politics/biden-defends-afghanistan-withdrawal.html).
Gli interessi della potentissima industria bellica chiamano però a raccolta
i loro debitori in Parlamento, diretti o indiretti che siano, democratici e
repubblicani, ed essi rispondono tendenzialmente compatti. Joe Biden, che
finora non è riuscito a fare nulla perché quegli stessi interessi non glielo
hanno consentito (si pensi a Joe Manchin che, al servizio dei grandi donors,
ha bloccato ogni iniziativa del programma Build Back Better che
andasse a favore dei più deboli della società https://www.commondreams.org/news/2022/01/29/manchin-gets-thousands-gop-megadonor-after-tanking-bbb) ne ricava l’immagine
di chi porta finalmente avanti una politica condivisa e di successo, che supera
le polarizzazioni che la affliggono come mai prima d’ora.
Che questo fosse il destino era d’altronde evidente già nel momento in cui,
nel dicembre dello scorso anno, il Congresso votava un budget militare, ad
avventura in Afghanistan ormai conclusa, di ben 768.2 miliardi: una cifra assai
superiore non solo rispetto all’anno precedente (ammontante a 705.4 miliardi),
ma addirittura più alta rispetto ai circa 740 miliardi richiesti dallo stesso
Biden. I voti accordati a quello stanziamento la dicono lunga sull’accordo
bipartisan circa le future guerre a vantaggio dell’industria bellica: se alla
Camera i voti erano stati 363 contro 70, in Senato i favorevoli erano
addirittura stati 89 contro 10. Il solito meccanismo della riconoscenza verso
i big donors, che come mai prima hanno contribuito nel 2020 alla
riuscita di Biden (con i Super PAC’s, ma anche con le cosiddette dark
money https://www.nytimes.com/2022/01/29/us/politics/democrats-dark-money-donors.html ), aveva
peraltro già da subito portato alla segreteria di Stato, al vertice della
National Intelligence e al Pentagono, uomini e donne legati all’industria
bellica per via di quel gioco delle revolving door fra Governo
e grandi corporation, che consente ai poteri economici di dominare la politica.
Si pensi a Tony Blinken, scelto da Biden come segretario di Stato, noto per
aver sempre abbracciato la linea interventista più dura possibile in materia di
politica estera, dalle invasioni in Afghanistan e in Iraq all’operazione in
Libia, fino alla richiesta di pesanti interventi militari contro la Siria.
Uscito dall’amministrazione Obama, forte della sua esperienza governativa, nel
2018 aveva co-fondato una società di consulenza, la WestExec Advisors, che
offre i propri servizi alle più importanti società di high tech,
aerospaziali e in generale del settore militare privato, fra cui (secondo un’indagine di The
American Prospect) la Winward, società israeliana di elevata tecnologia di guerra. Dello
staff della società di “informata” consulenza faceva parte anche Avril Haines,
nominata da Biden a capo della National Intelligence (prima donna a ricoprire
tale carica) e nota non solo per il suo ruolo nella strategia di guerra con i
droni inaugurata da Obama, ma anche per aver coperto le torture dei prigionieri
perpetrate durante la presidenza di George W. Bush (cfr. Jacobin,
23 novembre 2020, bit.ly/3aL7vVM). Anche il primo uomo nero mai
nominato a capo del Pentagono, l’ex generale Lloyd Austin, oltre ad avere
fortissimi legami col mondo militare da cui si era troppo recentemente
congedato, ha ampiamente partecipato al sistema di revolving door fra
pubblico e privato. Era stato, infatti, nei consigli di amministrazione delle
più disparate società, ma soprattutto in quello della Raytheon Technologies,
leader nella costruzione di armamenti per il Pentagono stesso (nyti.ms/3rr9WDV).
Difficile non vedere il legame che intercorre fra queste nomine, l’aumento
del budget per la difesa e l’annuncio di una possibile nuova guerra in Ucraina,
che all’industria bellica sta già fruttando molto. Un esempio fra tutti: il
recente acquisto di 64 caccia F-35A ad attacco nucleare della Lockheed Martin
da parte della Finlandia, membro della UE e attivo partner NATO contro la
Russia, al prezzo di 8,4 miliardi di euro che, comprese le infrastrutture, salgono
a 10 miliardi, a cui occorrerà aggiungere altri 10 miliardi di euro per il loro
mantenimento e ammodernamento (cfr. Manlio Dinucci, https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-manlio_dinucci__la_polveriera_ucraina_e_gli_usa_non_escludono_lazione_nucleare_di_primo_uso/39602_44367/). Non più tardi di
una settimana fa il segretario della difesa Lloyd Austin ha messo 8.500 soldati
in stato di “massima allerta”, pronti per essere inviati in Europa nel giro di
cinque giorni (https://www.nytimes.com/2022/01/24/us/politics/russia-ukraine-us-troops.html?searchResultPosition=39), da mesi però gli
Stati Uniti sono attivi nel sostegno della guerra. Hanno già dato a Kiev 2,5
miliardi di dollari, oltre a 88 tonnellate di munizioni nel quadro di un
“pacchetto” da 60 milioni di dollari, comprendente anche missili Javelin già
schierati contro i russi del Donbass, e a 150 consiglieri militari che ‒
affiancati da quelli di una dozzina di alleati Nato ‒ dirigono di fatto le
operazioni, ci raccontava già a dicembre Manlio Dinucci (supra).
Se questo è il quadro, l’unica speranza per evitare un’ennesima guerra,
questa volta nel cuore dell’Europa – per quanto possa apparire una bestemmia –
sembra da riporre in Donald Trump, il rottamatore. Nel tentativo di riprendersi
a breve il Congresso e poi la presidenza, dando seguito al suo portavoce
mediatico di Fox news, il presidente più anti istituzionale che gli Stati Uniti
abbiano mai avuto si è, infatti, opposto con determinazione a ogni intervento militare
statunitense, facendo appello al buon senso della persona della strada che,
lontana dalle logiche corrotte e perverse dei parlamentari, segue facilmente il
ragionamento di Tucker Carlson (https://www.businessinsider.com/donald-trump-says-ukraine-russia-crisis-is-a-european-problem-2022-1?r=US&IR=T). E che si sia al
punto di dover riporre fiducia in Donald Trump per la pace in Europa la dice
davvero lunga sul drammatico stato della situazione in cui ci troviamo!
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