mercoledì 23 febbraio 2022

Sulla contrapposizione tra pro e no-vax - Guido Viale

La pandemia, come la crisi energetica o l’aumento dei prezzi o la scarsità di materie prime e semilavorati sono manifestazioni (nemmeno iniziali) della più generale crisi ambientale e climatica ormai in pieno corso. Il modo in cui le classi dominanti – espressione di un ristretto establishment finanziario globale – hanno affrontato e stanno rispondendo alla pandemia anticipa e mette in luce la strumentazione con cui si apprestano ad affrontare le conseguenze (non le cause) della crisi climatica e ambientale, che dovremmo assumere come l’orizzonte entro cui ciascuno di noi, individualmente o collettivamente, colloca le proprie iniziative.

Questa strumentazione comprende, molte cose, ne cito cinque.

La prima: una distinzione sempre più drastica tra eletti – le popolazioni dei paesi “sviluppati” e le élite di quelli emarginati – e dannati: tutti gli altri. Gli ostacoli frapposti alla liberalizzazione e distribuzione dei vaccini ne sono una evidente manifestazione. Quanto alle conseguenze della catastrofe climatica, e soprattutto alle migrazioni di massa, si difendono, e lo faranno sempre più, difendersi costruendo fortezze.

La seconda: l’adozione di misure standard uguali per tutti (tranne che per le élite): disinformazione veicolata dai media, vaccini per evitare cure personalizzate; intervento a posteriori invece di prevenzione; prescrizioni spesso ridicole e contraddittorie, “di immagine” anche quando si dimostrano inefficaci (il green pass, per esempio, ma non solo).

La terza: il disciplinamento dei comportamenti attraverso misure selettive che erodono progressivamente i diritti più elementari: lavoro, reddito, mobilità, socialità, istruzione, accesso alla sanità e al welfare fino al paradosso di rendere “obbligatorio” ma “volontario” il consenso al vaccino.

La quarta: la promozione, attraverso l’utilizzo dei media, di una contrapposizione sempre più violenta tra due comparti della società, quelli che si considerano protetti dalle misure adottate e quelli che se ne sentono danneggiati o emarginati. Una contrapposizione che nemmeno l’atteggiamento verso le migrazioni – fino a ieri elemento di maggiore contrapposizione politico-culturale ed etica in Europa e negli Usa – aveva mai raggiunto.

La quinta: la repressione. C’è un filo diretto tra la svariate forme di repressione dei decenni passati – dall’uso delle forze dell’ordine e dell’ordine giudiziario al carcere, dalle stragi al tentativo di attribuirle agli avversari politici (o agli “esclusi sociali”: si pensi al carcere di Modena), dall’uso strumentale e dell’infiltrazione, che è stato fatto delle reazioni a quelle politiche, da un lato, e  le attuali forme di repressione, contro i NOTav, i NOTap, gli studenti in lotta, i picchetti e i blocchi stradali degli scioperanti e persino le manifestazioni di dissenso, tutte sbrigativamente criminalizzate come NOVax. Gli attori e i metodi si assomigliano. Ma l’orizzonte è cambiato.

Gran parte della storia che abbiamo alle spalle si è svolta entro un orizzonte contrassegnato dalla cultura dello sviluppo: se alcuni, o anche molti, dovevano pagarne il prezzo, complessivamente il quadro sarebbe migliorato per gli altri e per le generazioni future. Oggi l’orizzonte è quello di una crisi climatica e ambientale irreversibile. I più acuti (pochi) dei nostri governanti lo sanno; il Pentagono lo dice da tempo. I vertici sull’ambiente (le 26 COP svolte finora) sono state delle mere messe in scena. Il traguardo del +1,5, o anche solo del +2°C, è irraggiungibile. Se anche i paesi dell’Europa centrale e gli Usa centrassero gli obiettivi climatici, del tutto insufficienti, che si sono dati, molti altri Stati non lo faranno e se non lo fanno tutti e come se non lo facesse nessuno. Per questo i nostri governanti – quelli che contano – si preoccupano così poco di rispettare gli impegni presi e mirano soprattutto a non perdere competitività – le posizioni acquisite rispetto agli altri. Allo sviluppo si è sostituita la crescita del PIL, che non è altro che accumulazione del capitale.

Proviamo ora a immaginare che cosa può succedere in un contesto di progressivo peggioramento delle condizioni ambientali: alluvioni, siccità, eventi estremi, ondate di calore, crisi idrica e alimentare, rottura delle catene di approvvigionamento, migrazioni (o tentativi di migrazione) di massa, rivolte popolari – non necessariamente egualitarie; anzi, per lo più sovraniste e razziste; o, per lo meno, confuse, come l’attuale rivota contro l’obbligo vaccinale – e certamente anche scioperi, conflitti di classe, iniziative dal basso. E, perché no? Guerre e relative mobilitazioni e nuove pandemie. Ed ecco che la strumentazione per affrontare quel contesto è già tutta pronta.

E noi? Molti di noi non sono nemmeno consapevoli di questo cambio di prospettiva: sono più indietro del papa, che lo ha capito benissimo e si sforza di ricordarlo a tutto il genere umano. Altri ce l’hanno presente, ma poi se lo dimenticano quando si tratta di scendere alle “cose concrete”: allora la crisi climatica e ambientale, anzi, “l’ambiente” diventa un tema tra i tanti, da mettere al fondo o ai margini di rivendicazioni ben più importanti: occupazione, reddito, investimenti, welfare. Senza tener conto del fatto che tutte quelle rivendicazioni, e molte altre, possono avere un senso e aspirare a un qualche successo, solo se inquadrate entro il contesto più ampio di quel radicale cambio di paradigma socioeconomico che è la conversione ecologica.

Un orizzonte di senso che impegna sia i nostri comportamenti individuali e collettivi nel campo dei consumi, della cura del territorio, dei rapporti tra lavoratori o tra chi ha un lavoro e chi no, o tra i generi e tra genitori e figli; sia le regole su cui si reggono l’attuale struttura produttiva e i rapporti di forza tra le classi che ne costituisce la base. In gioco c’è la prospettiva di una vita che può essere anche molto più desiderabile di quella attuale, ma solo se sapremo promuoverla, presentarla e farla vivere – almeno in parte – fin da ora mettendola al centro delle nostre rivendicazioni.

È una prospettiva che ha al centro un generale ridimensionamento di tutto ciò che ha caratterizzato l’evoluzione degli ultimi secoli: meno estrazione di risorse, meno generazione di scarti e rifiuti, meno produzione, meno consumi superflui, meno finanza, meno spostamenti, meno automobili, meno espansione urbana a favore di una gestione locale e comunitaria dei territori, e più attenzione per le vicende personali di ciascuno.

Rispetto all’oggi, il primo compito che forse dobbiamo porci è quello di raffreddare la contrapposizione artificiale tra pro e no-vax (o pro e no-green pass), e tutte quelle, ancora più acute, che ne potranno seguire, promuovendo un reciproco ascolto e cercando di riportare l’attenzione su quelli che sono i rapporti tra le classi e il conflitto tra i rispettivi interessi.

da qui

Nessun commento:

Posta un commento