Un libro pubblicato nel 1981, e poi scomparso.
È un libro scomodo, dipinge la realtà come è, mica solo in Sardegna, un libro così lo capiscono in tutto il mondo, in India, in Messico, in Val di Susa, in Nigeria, insomma tutti i paesi rappresentati all’Onu (ma anche quelli non rappresentati) sono coinvolti.
Una potente impresa petrolchimica vuole insediarsi in Sardegna (e volere è potere), compra politici, compra giornali, compra le persone, con la promessa dei posti di lavoro (cose così non succedono mai, robe da romanzo, vero?).
C’è chi prova a resistere, con mezzi legali e no, ma storie così è difficile, molto difficile, che finiscano bene, il Potere non fa prigionieri.
Gli esempi sono infiniti, attivisti, indigeni, politici e giornalisti non in vendita l’hanno sempre pagata, a volte con la galera, a volte con la vita.
I romanzi servono per evadere (che è un modo per fare politica) oppure per fare politica con altri mezzi, Sardigna ruja è di quelli del secondo tipo.
Abbiamo bisogno di libri che ci ricordino che il nostro non è il migliore dei mondi possibili.
Il romanzo inizia cosi:
I carabinieri spararono a raffica. Di tanto in tanto, nell’aria secca e pulita, rimbomba un colpo di moschetto. Due li hanno presi stamattina, quando la giustizia ha liberato Giacomo Lavini. Dicono che sono feriti: Pascale alla spalla e Chichissu a una coscia.
In piazza siamo rimasti solo una decina a sentire il conflitto a fuoco, laggiù. I vecchi dicono che un marzo così freddo non l’hanno mai conosciuto, colpa delle atomiche e dei razzi che bucano il cielo.
Molti sono seduti dentro il bar ed escono a ogni colpo di moschetto e interpretano che cosa sta succedendo.
Il vento si trascina giù il gelo dal monte. C’è una donna e ha gli occhi sbarrati; ha un fremito ogni volta che sente i mitra della giustizia. Aspetta, come tutti noi, che risponda il colpo secco del moschetto per sapere che l’uomo è ancora vivo. Due soli sanno con certezza a chi stanno sparando.
Una è la donna dalla grande pancia gonfia che allarga la sottana. L’altro sono io.
Dissenti ha una sola speranza. Che cali presto la notte. Con il buio è salvo. Conosce troppo bene SU Pradu perché lo possano prendere al buio. Dicono che anche il maresciallo Sanna conosca bene questo terreno. Ma per Dissenti è diverso: lui, lì, ci ha fatto il pastore. Difficile che l’altro conosca così come le conosce Dissenti le grotte, le nurre, le forre che si infilano nel ventre dei colli.
La gente è zitta. Ci appoggiamo al pullman fermo in piazza. È un riparo dal vento. Zia Mauredda, invece, è ferma davanti al muretto. Le folate le muovono di dietro il fazzoletto nero annodato sulla testa. Anche gli altri hanno capito. Mariangela Floris le si avvicina: “Venite, zia Maure’; vi accompagno a casa”.
Lei si volta, guarda la ragazza. È come se si fosse accorta solo ora della presenza di tanta gente: “Sì, andiamo”.
Ci passa vicino, tenendo Mariangela stratta per un braccio. Si aggiusta con l’altra mano i capelli sotto il fazzoletto. Ziu Jubanne Cossu le va incontro: “Coraggio, Maure’. Vedrete che ce la fa”.
“Chissà chi sarà quel meschinetto” risponde lei a voce alta. Poi stringe la mano sul braccio di Mariangela. “Beh, andiamo. Non mi volevi accompagnare a casa?”
Un’altra scarica di mitra. Ci rigiriamo a guardare zia Mauredda. No si volta neppure, ha solo un attimo di esitazione, poi continua a camminare, impettita. Ora la gente riprende a parlare, a dare consigli all’uomo braccato dai carabinieri. Qualcuno si dirige al bar. Ziu Jubanne Cossu mi si piazza davanti: “O Ma’, perché?”.
“Che cosa perché, ziu Juba’?”
“Perché sta succedendo tutto questo bordello?”
“Peggio per chi ha fatto la spia, ziu Juba’. Non vorrei esser lui neanche per tutto l’oro del Perù.”
Il vecchio mi guarda, fisso, scuote la testa. Si toglie il berretto e se lo riposa strisciandoselo sul capo. “L’ha fatta grossa, quel qualcuno, e la pagherà cara.”...
qui e qui si ricorda Gianfranco Pintore
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