“Mi leggerete tra un mese quando arriverà il portale inglese, alla partenza del quale mi avete salutato in modo così conveniente. Non vi ho reso giustizia. Sapete bene quanto me che è impossibile, a meno di non essere il più fine dei poeti, descrivere il fascino delle vostre isole!”. Chi scrive è George Simenon nel 1935 quando fu inviato nelle isole del Pacifico, nella Polinesia Francese, in particolare a Tahiti. Il volume che raccoglie i suoi articoli è stato pubblicato in italiano nel 2021 da Adelphi con il titolo “A margine dei meridiani”.
In tanti prima di lui (il cinema, soprattutto) hanno raccontato e sognato
delle isole dei mari del sud, da Robert Louis Stevenson “In the South Sea”
(1888/89 postumo 1896) a Jack London “South Sea Tales” (1911) a Herman
Melville in “Omoo: a Narrative of Adventures in the South Seas” (1847) e
“Typee: A Peep at Polynesian Life” (1946). Simenon ricorda Bougainville,
e ovviamente Gaugin, non tralasciando il cinema “White Shadows in the South
Seas”, 1928 diretto da W. S. Van Dyke e R. J. Flaherty. “The Pagan”,
1929 di W.S. Van Dyke. “Mr. Robinson Crusoe” di A. Edward Sutherland del
1932 con Douglas Faibanks e F. W. Murnau, il regista di “Tabu: A Story of
the South Seas” del 1931, nella cui casa a Tahiti Simenon abitò. E tanti
anni dopo basta ricordare “Mutiny on the Bounty” e la famosa storia
d’amore tra Marlon Brando e Tarita Teriipia, Brando si comprò
un’isola vicino Tahiti dove andava molto spesso, Tetiaroa. Scriveva
ancora Simenon “Chissà come se la ridono i cinesi. Sono circa
duemila a Tahiti, duemila che monopolizzano quasi tutto il
commercio e che tengono i conti in cinese, e che per di più hanno dei francesi
al loro servizio per fare da paraurti!”.
I portoghesi arrivarono per primi
Da allora sono passati 85 anni. I cinesi sono aumentati nelle isole e si
stanno anche comprando gli atolli e quei paradisi dei mari del Sud. In
particolare l’atollo di Hao che è a circa 900 chilometri da
Tahiti. Si estende su una lunghezza di 55 km e una larghezza di 14 km, con una
superficie totale di 47 km quadrati e un’altitudine massima di 3 m. La laguna,
che si estende su una superficie di 720 km quadrati, è una delle più grandi
della Polinesia, (ed è questo che interessa particolarmente i
cinesi) con un solo passaggio navigabile, a Kaki, all’estremità settentrionale
dell’atollo. Il capoluogo è il villaggio di Otepa.
I primi Europei di cui si abbia notizia a giungere su Hao furono
i Portoghesi nel 1606, quindi gli Spagnoli nel 1774. Il 23 marzo 1768
arrivò l’esploratore Louis Antoine de Bougainville che
battezzo l’atollo con il nome di “Isola dell’arpa” per la sua forma. Hao fa
parte delle isole Tuamotu. Ora Hao non è un posto qualsiasi.
E’ stato per anni uno degli avamposti militari francesi al tempo degli
esperimenti nucleari (196) nelle isole del Pacifico dal 1966 al 1996,
esperimenti che si svolgevano sull’isola di Muroroa e Fangataufa, sino a 3.000
militari vivevano su Hao. Vi era localizzato il “Centre des Experimentations du
Pacifique”. Il centro ha iniziato ad essere smantellato nel 2000 e nel 2016
sono partiti gli ultimi militari. Al censimento del 2002, la popolazione totale
dell’atollo era di 1613 abitanti. Ora secondo il giornale francese “Le Monde”
che ha pubblicato l’articolo sull’atollo di Hao e i
cinesi il 4 febbraio, firmato da Martine Valo, di abitanti ne sono
rimasti 1200; tanti sono andati via per mancanza di lavoro, soprattutto i
giovani.
Wang Cheng e 150 miliardi di investimento
Il magnate cinese Wang Cheng vuole acquistare l’atollo e
tutta la laguna, enorme, per realizzare con un investimento di 150 miliardi di
“Francs Pacifique” (la moneta delle isole, ovvero 1,2 miliardi di euro) volto a
costruire la più grande azienda di allevamento di pesci del mondo, per produrre
50.000 tonnellate di pescato all’anno. C’è già l’accordo del presidente
della Polinesia Francese Edouard Fritch e si dovrebbe firmare
il contratto a Brest, in Normandia l’11 febbraio, durante il prossimo
“One Ocean Summit”, tra la società cinese “Tahiti Nui Ocean Foods” (TNOF)
e il presiedente polinesiano. Verranno prodotti tre sole specie di pesci che
interessano particolarmente il mercato cinese, tra i quali un temibile
predatore sconosciuto nelle acque della Polinesia. Marc Taquet ha
sollevate delle preoccupazione per il progetto cinese, nella sua veste di
ex direttore dell’ “Istituto di Ricerca per lo sviluppo” (IRD-
Institut de Recherche du Developpement, i francesi adorano le sigle!),
affermando che uno dei pesci è un temibile predatore sconosciuto in
quella parte di Oceano, un altro ha una crescita lentissima e richiede
anni e anni e l’ultimo ha una grande mortalità allo stato iniziale di vita e si
chiama “Napoleon” (Cheilinus undularus), non poteva mancare!
Per le istallazioni necessarie alla trasformazione ed allevamento, la
compagnia cinese deve realizzare 50.000 metri quadrati di attrezzature tra
frigoriferi, condizionatori, laboratori ecc. Saranno gli allevatori locali a
fare crescere i pesci per poi venderli alla TNOF che li
distribuirà in Cina. Scrive “Le Monde” che “si
rischia la catastrofe ecologica. Bisogna piazzare migliaia di gabbie
nell’oceano, creando un surplus di elementi nutritivi a danno della
eutrofizzazione dell’acqua e a rischio di far emergere nuove patologie che
richiederanno l’uso di antibiotici. Inoltre ogni anno ci saranno dalle 3500
alle 5000 tonnellate di spazzatura prodotta dall’allevamento da smaltire”. Inoltre
nell’isola ci sono migliaia di metri cubi di terreni contaminati con metalli
pesanti ed idrocarburi, oltre a manufatti e resti di tutti i generi nelle acque
della laguna per le attività militari precedenti.
L’unica pista per l’atterraggio
Un dettaglio sta turbando i sonni del presidente Macron. L’atollo essendo
stato una base militare francese possiede l’unica pista per areoplani per
centinaia di chilometri, una pista di 3,4 chilometri che permette l’atterraggio
ai grandi aerei. In occasione della sua visita a Tahiti nel luglio 2021 il
Presidente ha affermato di voler mettere in guardia da “i progetti esotici,
avventurosi, dai finanziamenti incerti, dalla creazione di posti di lavoro
improbabili con investitori poco affidabili”.
Frasi alle quali ha risposto Winiki Sage delle FAPE (Associazioni
Ambientali Polinesiane) che hanno proposto nelle isole Australi, il gruppo più
meridionale della Polinesia francese, la più grande riserva marina del
mondo: 1 milione di chilometri quadrati che si chiamerà “Rahui Nui No
Tuhaa Pae“, che significa “Il grande rahui delle isole Australi”:
il rahui è una tradizionale pratica polinesiana di limitazione dell’accesso a
un’area per conservarne le risorse: “Il Presidente Macron si arrabbia, ma
dimentica che i cinesi mettono dei soldi dappertutto compresi i vigneti
francesi”.
“In pieno sole… sulla strada su cui il cinese passa con il suo
carretto pieno di prodotti… mentre dei bambini nudi corrono… Perché, se i
bianchi fanno politica, i Tahitiani ancora pensano solo a fare l’amore…”
scriveva Simenon nel 1935. Sarà ancora così nel 2022?
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