Dal Vangelo di oggi (Luca, 6, 41-42)
“Perché guardi la pagliuzza ch’è nell’occhio
del tuo fratello e non t’accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi
dire al tuo fratello: – Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo
occhio -, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita!
Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la
pagliuzza dall’occhio del tuo fratello”.
NEL DONBASS NON CI SONO BAMBINI CHE ABBRACCIANO
PIANGENDO LE BAMBOLINE, E NEMMENO VECCHIETTE CHE ATTRAVERSANO PENOSAMENTE LA
STRADA…
…
così come non ce n’erano né la traccia né l’ombra, una manciata di anni o di
mesi fa e anche adesso, né a Gaza, né a Beirut, né a Belgrado, né a Kabul, né a
Baghdad, né a Tripoli, né a Damasco.
Cari miei, parliamoci chiaro. Sono ormai tre notti che quasi non
dormo per seguire quel che avviene tra Russia e Ucraina, due paesi che mi sono
carissimi e dove ho tanti amici; da tre giorni sto attaccato al telefono e al
computer. Anch’io combatto, anch’io fo la mia guerra, come canticchiavano
un’ottantina di anni fa bambini poco più grandi di me (io ero troppo piccolo
per cantare). Questa guerra me la sento addosso, me la sento dentro: e mi fa
male. Al tempo stesso, è chiaro che sono indignato e inferocito come forse non
mai.
Fermare la guerra. Era già in atto da tempo, ma “l’Occidente” – questa parola
infame e ambigua, che oggi sembra tornare di gran moda – non faceva nulla per
ridurre il governo ucraino a più moderati consigli. Al contrario.
L’aggressività di Zelensky nei confronti del Donbass si fondava sulla ferma
convinzione che la NATO fosse disposta a tutto pur di metter a punto il suo
disegno di avvicinarsi varie centinaia di chilometri alla frontiera russa e
installarvi i suoi missili a testata nucleari puntati su Mosca, quelli in grado
di colpire a oltre 3000 chilometri. Il governo russo ammoniva severamente, poi
minacciava: ma si era sicuri che non avrebbe osato. Invece alla fine ha osato
eccome. Non come aggressore, ma come a sua volta minacciato di aggressione.
Fermare la guerra. È questa la priorità. Forse si sarebbe dovuto agire prima:
da parecchi giorni ormai la stretta ucraina sulle città del Donbass si era
fatta più pesante, mentre Zelensky insisteva per essere ammesso nella
NATO in extremis. Era una speranza disperata, una
follia: ma era non meno chiaro che Putin prendeva in considerazione tale
possibilità estrema, che se si fosse verificata gli avrebbe definitivamente
legato le mani oppure costretto a considerarla come una dichiarazione di guerra de
facto. Ma il presidente ucraino andava irresponsabilmente per
la sua strada, certo di avere il gigante americano alle sue spalle. È
incomprensibile, ma non si era reso conto che Putin a quel punto poteva fare
solo quello che ha fatto: e farlo subito.
Fermare la guerra. Era la priorità fin dall’inizio. A livello diplomatico,
quando una guerra incombe, si ricorre a trattative magari affrettate, magari
“in perdita”, perfino col rischio di apparire deboli. Si fanno proposte, e
quindi bisogna anche offrire qualcosa di appetibile. Ad esempio esporre in che
misura e fino a che punto si è disposti ad alleviare un sistema sanzionario in
atto a fronte di un arresto o di una ritirata del nemico ch’è ancora
potenziale. Da quando in qua si risponde a una minaccia di guerra aggravando le
ragioni che l’hanno provocata, a meno che quella guerra non la si voglia sul
serio e a tutti i costi?
Ora, ecco qua. Un’aggressione degli ucraini contro il Donbass è irrilevante:
non la si vede da lontano, ha modestissime dimensioni e può essere
“dimenticata” tantopiù che i russofoni della foce del Don non interessano a
nessuno in Occidente. Ma quando si muove l’Orso di Mosca, tutto cambia aspetto:
e giù col mostro aggressore, col tiranno assassino. Giù con i media asserviti
quasi tutti alla politica (quindi al parlamento italiano eletto con un numero
di votanti così basso come prima non si era mai visto), la quale con i suoi
partiti esangui, sempre meno autorevoli presso la pubblica opinione e sempre
più omologati – fra il “patriottismo sovranista” della Meloni, l’euratlantismo
blindato di Renzi e l’euratlantismo solo apparentemente più articolato di Letta
non c’è pratica differenza – è a sua volta asservita agli alti comandi della
NATO e al presidente degli USA, a sua volta asservito alla logica del potere,
del profitto e della produzione dettatagli dai Signori di Davos. Che poi questi
ultimi comincino a loro volta a preoccuparsi per le ripercussioni delle
sanzioni alla Russia, è un altro discorso: e ne vedremo in atto le conseguenze
fra qualche giorno.
Attenti quindi al pacifismo peloso di chi si preoccupa per i suoi interessi e i
suoi profitti: se Mosca piangerà, non rideranno né Wall Street, né la City, né
Francoforte. Questo è quanto preoccupa ora lorsignori, non certo i disagi e le
sofferenze della gente. Mentre si continuano a ignorare o a fraintendere i
segnali. Ad esempio, i russi indugiano a sottoporre Kiev alla stretta finale.
Davvero si crede che siano stati impressionati dal fatto che il governo ucraino
ha fatto girare qualche fucile tra gli adolescenti e i vecchietti? Davvero non
ci sfiora il sospetto che stiano fermi in quanto sono in corso trattative e
Putin intende dare agli ucraini il tempo d’una pausa di riflessione che, se
volesse, potrebbe tranquillamente negare?
Ma intanto sono senza dubbio le vittime del momento a salire al proscenio e ad
essere sistemati nelle lucenti vetrine massmediali. Che c’inondano di bambini e
di bambine che piangono abbracciando orsacchiotti e bambolette e gattini, di
vecchiette che penosamente attraversano le strade sotto i bombardamenti, magari
perfino con quel Grandguignol di volti
insanguinati e di cadaveri dilaniati che specie in TV è oggetto da sempre di un
trattamento bipolare: vi sono cadaveri di serie A che si debbono mostrare per
trasformarli nella moneta sonante del consenso e cadaveri di serie B che è
meglio nascondere per non “turbare” chi li vede. Ed è evidente che i morti di
Kiev ucraini sono di serie A: come le bambine che piangono avvinghiate agli
orsacchiotti e le vecchiette che penano ad attraversare la strada per porsi al
riparo.
Ma di grazia, razza di vipere e sepolcri imbiancati che non siate altro; ci
voleva Kiev per svegliarvi all’umana compassione suscitata per ricavarne
risultati politici antirussi? È vero che, in un passato anche recente, le città
di Gaza, di Beirut, di Belgrado, di Kabul, di Baghdad, di Damasco, erano piene
di cadaveri di serie B dei quali non si doveva parlare per non “turbare” le
nostre coscienze, ma davvero non vi eravate accorti della massa di sofferenza
che i nostri bombardamenti “chirurgici” e le nostre bombe “intelligenti”
stavano provocando? Anzi, mi ricordo i gridolini di gioia che si alzavano dai
salotti delle buone famiglie italiane, in quelle notti del 2003 in cui la TV ci
mostrava il bombardamento di Baghdad, con il fantastico sfrecciare di quei
raggi verdi sugli edifici presi di mira. Che spettacolo! Ci pensavate alla pena
e al terrore là sotto? Bene: ora è il turno degli ucraini per soffrire e per
aver paura. Domani potrebbe arrivare anche il nostro turno, e pensare che ci
preoccupiamo già del gas per il riscaldamento. Se comincia così, la nostra
volontà di resistenza…
Lavoriamo per la pace, dunque. Ma facciamolo con realismo, senza piagnistei e
senza isterismi manichei. Manifestare per la pace ma al tempo stesso
“schierarsi con l’Occidente”, “senza se e senza ma”, significa solo contribuire
a correre a passo di carica verso una prosecuzione e un allargamento del
conflitto che non può giovare a nessuno. Le guerre, le perdono tutti.
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