sabato 19 febbraio 2022

La linea del colore – Igiaba Scego

la storia inizia negli Stati (uniti?) d'America, a cavallo della guerra civile, quando i neri e le nere liberati potevano essere rapiti per fare ancora gli schiavi negli stati del sud (12 anni schiavo, di Steve McQueen, di questo racconta).

e anche se eri libero eri un poveraccio, e i figli e le figlie degli ex schiavi dipendevano a volte dalla carità.

la protagonista del libro, Lafanu, era la beneficiaria della carità di una bianca (sempre meglio che morire di stenti), per questo aveva potuto studiare, e dopo molte peripezie riesce ad arrivare in Italia, a Roma, che già amava, per via dell'arte.

il libro è ricchissimo di spunti, di personaggi, si toccano mille questioni, l'amore, la libertà, l'arte, la schiavitù (ieri e oggi), il viaggio (da schiavo, da persona libera, da migrante), e mille altri temi.

il miracolo di Igiaba Scego è che tutto si tiene, e le storie parallele di Lafanu e Leila diventano una storia sola, quelle di due ragazze nere a Roma, città che loro amano, sono due italiane ad honorem, a prescindere dai passaporti*.

é un libro che non annoia mai, scritto benissimo, letteratura italiana della più attuale, fresco e vivo.

sarebbe bello che fosse letto nelle scuole, come una storia e una voce di chi ama il nostro paese, sempre più xenofobo e meno accogliente.


*(a proposito qui una necessaria iniziativa, un'impresa titanica, affinché tutti possano viaggiare in sicurezza, a prescindere dal colore e dal peso del passaporto)


 

 

 

 

Quanti di noi scendendo oggi da un treno a Roma Termini ricordano i Cinquecento cui è dedicata la piazza antistante la stazione? È il febbraio del 1887 quando in Italia giunge la notizia: a Dògali, in Eritrea, cinquecento soldati italiani sono stati uccisi dalle truppe etiopi che cercano di contrastarne le mire coloniali. Un'ondata di sdegno invade la città. In quel momento Lafanu Brown sta rientrando dalla sua passeggiata: è una pittrice americana da anni cittadina di Roma e la sua pelle è nera. Su di lei si riversa la rabbia della folla, finché un uomo la porta in salvo. È a lui che Lafanu decide di raccontarsi: la nascita in una tribù indiana Chippewa, lo straniero dalla pelle scurissima che amò sua madre e scomparve, la donna che le permise di studiare ma la considerò un'ingrata, l'abolizionismo e la violenza, l'incontro con la sua mentore Lizzie Manson, fino alla grande scelta di salire su un piroscafo diretta verso l'Europa, in un Grand Tour alla ricerca della bellezza e dell'indipendenza. Nella figura di Lafanu si uniscono le vite di due donne afrodiscendenti realmente esistite: la scultrice Edmonia Lewis e l'ostetrica e attivista Sarah Parker Remond, giunte in Italia dagli Stati Uniti dove fino alla guerra civile i neri non erano nemmeno considerati cittadini. A Lafanu si affianca Leila, ragazza di oggi, che tesse fili tra il passato e il destino suo e delle cugine rimaste in Africa e studia il tòpos dello schiavo nero incatenato presente in tante opere d'arte. Igiaba Scego scrive in queste pagine un romanzo di formazione dalle tonalità ottocentesche nel quale innesta vivide schegge di testimonianza sul presente, e ci racconta di un mondo nel quale almeno sulla carta tutti erano liberi di viaggiare: perché fare memoria della storia è sempre il primo passo verso il futuro che vogliamo costruire.

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…Gemma originale della scrittura post-coloniale italiana e del pensiero della decolonialità, il nuovo romanzo storico di Scego interseca l'identità di genere, il colore della pelle e l'idea di nazione: le attraversa, le interroga e le ridefinisce sfumandone i tratti autoritari e essenzialisti, restituendo loro diverse tonalità. Non a caso nel romanzo è fortissima la presenza dell'arte visiva, praticata e studiata, una dimensione che permette ai personaggi­ – meglio, alle protagoniste – di ridarsi la vita in un senso redento e di sopportare il male e il dolore delle loro esistenze brutalmente segnate dalla violenza; di genere, razzista e nazionalista. La fruizione dell'arte è anche possibilità per le persone di ricevere «occhi nuovi per guardare il mondo che attraversavano ogni giorno». In questo senso proprio la scelta del romanzo come forma artistica acquista valore ulteriore perché consente ai temi che sono in oggetto nel racconto di uscire dalla bolla della ricerca e dello specialismo, e porta aria fresca a un dibattito pubblico da troppo tempo incattivito dalla strumentalizzazione politica, dall'odio populista e da un livello medio veramente basico.

 

Dunque La linea del colore è un romanzo storico, di immagini e idee, che ruota intorno alla figura di Lafanu Brown, «una strana negra che disegnava volti» nella Roma di fine Ottocento. 

L'eroina del romanzo, che anche nella scrittura è apertamente ispirato alla ricerca di sé nella narrativa femminile vittoriana, è una pittrice figlia di un haitiano e di una chippewa, adottata e trasferita in seguito a vicende estreme e drammatiche dagli Stati Uniti all'Inghilterra e infine giunta in Italia, per un grand tour che si conclude in una Roma i cui momenti culminanti sono il 1870 (Porta Pia) e il 1887 (Dogali). Una creazione di fiction ispirata alla storia di due donne nere, realmente vissute in un mondo bianco: l’ostetrica abolizionista Sarah Parker Remond e la scultrice Edmonia Lewis, tra l'altro omosessuale.

La sua storia si alterna al piano narrativo del presente italiano con una seconda protagonista, la giovane italo-somala Leila, che riscopre la storia di Lafanu e la sua pittura fino a farne un oggetto di riflessione visiva e post-coloniale che la porterà alla Biennale di Venezia: qui si confronta con le contraddizioni della società tardo moderna rispetto alle figure migranti e con il (difficile) rapporto tra arte e politica, denuncia civile e dimensione estetica…

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La trama della narrazione è interamente solcata dagli spostamenti di Lafanu – prima in Inghilterra, e poi in Francia e in Italia – alla ricerca non solo della sua libertà di donna e d’artista ma anche di quel gusto della vita che le era stato sottratto dallo stupro subito. In perfetta sintonia, lo scenario della contemporaneità in cui vive Leila è solcato da migliaia e migliaia di viaggi dall’Africa verso l’Italia, il più delle volte troncati brutalmente. Viaggi di giovani in cerca di libertà; viaggi di ragazze come Binti, la cugina di Leila, in fuga da un destino già scritto. Intelligenze, cuori e corpi in movimento che vengono dalla parte debole del mondo, quella che non ha passaporto, quella destinata a scontrarsi con porti chiusi, fili spinati, frontiere blindate. E dunque “il diritto dei corpi al movimento” come lo definisce Scego, è inseparabile dalla paura, tremenda, “di perdere il proprio corpo”. Esistono tanti modi, al di là della morte, di perderlo: come è successo a Lafanu, come succede anche a Binti.

Scavando nelle pieghe della storia vengono messi a nudo i tanti tabù e le dolorose ambivalenze dell’epoca di Lafanu e anche della nostra: i feroci pregiudizi verso i “negri palesemente inferiori”; la carità ipocrita di quelle benefattrici che se ne prendevano cura a loro maggior gloria; il diritto al viaggio e alla mobilità ancora oggi ferocemente negato, ingiustizia per cui Leila non usa mezzi termini: “Viviamo in apartheid, questo è apartheid”. Leila e Alexandria ne sono perfettamente consapevoli: il loro progetto che coinvolge giovani artisti “dal passaporto debole” è un atto politico. Così com’è politica, nella narrazione dell’autrice, la disamina delle più importanti vicende storiche italiane dalla prospettiva di chi è italiana, nata e cresciuta in quella stessa Roma al centro del libro, e che però mette in campo interpretazioni divergenti, che escono decisamente dai confini della narrazione unilaterale in cui acriticamente ci si rifugia…

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Lo stile fluido dell’autrice consente al lettore di completare rapidamente il libro. Le tematiche trattate sono molto attuali e ci fanno riflettere su numerose problematiche. La narrazione avviene in prima persona che coinvolge molto. Le descrizioni, sia ambientali che dei personaggi sono attente e precise. L’ autrice ha creato il personaggio di Lafanu ispirandosi alla vita di due donne africane realmente esistite: la scultrice Edmonia Lewis e l’ostetrica Sarah Parker Remond. Donne straordinarie che, con le loro capacità e la loro tenacia si sono affermate nel mondo e hanno lottato per i diritti della loro etnia. Un romanzo straordinario che mi ha avvicinato a prospettive nuove, a tematiche che non avevo avuto l’occasione di approfondire e che mi ha permesso di analizzare alcuni aspetti sotto una nuova luce. Una lettura che coinvolge e emoziona andando dritta al cuore. Un libro che apparentemente non viene catalogato come distopico ma che tra le righe raccoglie parte delle sue tematiche e messaggi. Imperdibile!!!

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