la storia inizia negli Stati (uniti?) d'America, a cavallo della guerra civile, quando i neri e le nere liberati potevano essere rapiti per fare ancora gli schiavi negli stati del sud (12 anni schiavo, di Steve McQueen, di questo racconta).
e anche se eri libero eri un poveraccio, e i figli e le figlie degli ex schiavi dipendevano a volte dalla carità.
la protagonista del libro, Lafanu, era la beneficiaria della carità di una bianca (sempre meglio che morire di stenti), per questo aveva potuto studiare, e dopo molte peripezie riesce ad arrivare in Italia, a Roma, che già amava, per via dell'arte.
il libro è ricchissimo di spunti, di personaggi, si toccano mille questioni, l'amore, la libertà, l'arte, la schiavitù (ieri e oggi), il viaggio (da schiavo, da persona libera, da migrante), e mille altri temi.
il miracolo di Igiaba Scego è che tutto si tiene, e le storie parallele di Lafanu e Leila diventano una storia sola, quelle di due ragazze nere a Roma, città che loro amano, sono due italiane ad honorem, a prescindere dai passaporti*.
é un libro che non annoia mai, scritto benissimo, letteratura italiana della più attuale, fresco e vivo.
sarebbe bello che fosse letto nelle scuole, come una storia e una voce di chi ama il nostro paese, sempre più xenofobo e meno accogliente.
*(a proposito qui una necessaria iniziativa, un'impresa titanica, affinché tutti possano viaggiare in sicurezza, a prescindere dal colore e dal peso del passaporto)
Quanti di noi scendendo oggi da un treno a Roma
Termini ricordano i Cinquecento cui è dedicata la piazza antistante la
stazione? È il febbraio del 1887 quando in Italia giunge la notizia: a Dògali,
in Eritrea, cinquecento soldati italiani sono stati uccisi dalle truppe etiopi
che cercano di contrastarne le mire coloniali. Un'ondata di sdegno invade la
città. In quel momento Lafanu Brown sta rientrando dalla sua passeggiata: è una
pittrice americana da anni cittadina di Roma e la sua pelle è nera. Su di lei
si riversa la rabbia della folla, finché un uomo la porta in salvo. È a lui che
Lafanu decide di raccontarsi: la nascita in una tribù indiana Chippewa, lo
straniero dalla pelle scurissima che amò sua madre e scomparve, la donna che le
permise di studiare ma la considerò un'ingrata, l'abolizionismo e la violenza,
l'incontro con la sua mentore Lizzie Manson, fino alla grande scelta di salire
su un piroscafo diretta verso l'Europa, in un Grand Tour alla ricerca della
bellezza e dell'indipendenza. Nella figura di Lafanu si uniscono le vite di due
donne afrodiscendenti realmente esistite: la scultrice Edmonia Lewis e
l'ostetrica e attivista Sarah Parker Remond, giunte in Italia dagli Stati Uniti
dove fino alla guerra civile i neri non erano nemmeno considerati cittadini. A
Lafanu si affianca Leila, ragazza di oggi, che tesse fili tra il passato e il
destino suo e delle cugine rimaste in Africa e studia il tòpos dello schiavo
nero incatenato presente in tante opere d'arte. Igiaba Scego scrive in queste
pagine un romanzo di formazione dalle tonalità ottocentesche nel quale innesta
vivide schegge di testimonianza sul presente, e ci racconta di un mondo nel
quale almeno sulla carta tutti erano liberi di viaggiare: perché fare memoria
della storia è sempre il primo passo verso il futuro che vogliamo costruire.
…Gemma originale
della scrittura post-coloniale italiana e del pensiero della decolonialità, il
nuovo romanzo storico di Scego interseca l'identità di genere, il colore della pelle
e l'idea di nazione: le attraversa, le interroga e le ridefinisce
sfumandone i tratti autoritari e essenzialisti, restituendo loro diverse
tonalità. Non a caso nel romanzo è fortissima la presenza dell'arte visiva,
praticata e studiata, una dimensione che permette ai personaggi – meglio, alle
protagoniste – di ridarsi la vita in un senso
redento e di sopportare il male e il dolore delle loro esistenze brutalmente
segnate dalla violenza; di genere, razzista e nazionalista. La fruizione
dell'arte è anche possibilità per le persone di ricevere «occhi nuovi per
guardare il mondo che attraversavano ogni giorno». In questo senso proprio la
scelta del romanzo come forma artistica acquista valore ulteriore perché
consente ai temi che sono in oggetto nel racconto di uscire dalla bolla della
ricerca e dello specialismo, e porta aria fresca a un dibattito pubblico da
troppo tempo incattivito dalla strumentalizzazione politica, dall'odio
populista e da un livello medio veramente basico.
Dunque La
linea del colore è un romanzo storico, di immagini e idee, che ruota
intorno alla figura di Lafanu Brown, «una strana negra che disegnava volti»
nella Roma di fine Ottocento.
L'eroina del
romanzo, che anche nella scrittura è apertamente ispirato alla ricerca di sé
nella narrativa femminile vittoriana, è una pittrice figlia di un haitiano e di
una chippewa, adottata e trasferita in seguito a vicende estreme e drammatiche
dagli Stati Uniti all'Inghilterra e infine giunta in Italia, per un grand
tour che si conclude in una Roma i cui momenti culminanti sono il
1870 (Porta Pia) e il 1887 (Dogali). Una creazione di fiction ispirata alla
storia di due donne nere, realmente vissute in un mondo bianco: l’ostetrica
abolizionista Sarah Parker Remond e la scultrice Edmonia Lewis, tra l'altro omosessuale.
La sua storia si
alterna al piano narrativo del presente italiano con una seconda protagonista,
la giovane italo-somala Leila, che riscopre la storia di Lafanu e la sua
pittura fino a farne un oggetto di riflessione visiva e post-coloniale che la
porterà alla Biennale di Venezia: qui si confronta con le contraddizioni della
società tardo moderna rispetto alle figure migranti e con il (difficile)
rapporto tra arte e politica, denuncia civile e dimensione estetica…
…La trama della narrazione è interamente solcata dagli spostamenti
di Lafanu – prima in Inghilterra, e poi in Francia e in Italia – alla ricerca
non solo della sua libertà di donna e d’artista ma anche di quel gusto della
vita che le era stato sottratto dallo stupro subito. In perfetta
sintonia, lo scenario della
contemporaneità in cui vive Leila è solcato da migliaia e migliaia di viaggi
dall’Africa verso l’Italia, il più delle volte troncati brutalmente. Viaggi di giovani in cerca di libertà; viaggi di ragazze come
Binti, la cugina di Leila, in fuga da un destino già scritto. Intelligenze,
cuori e corpi in movimento che vengono dalla parte debole del mondo, quella che
non ha passaporto, quella destinata a scontrarsi con porti chiusi, fili
spinati, frontiere blindate. E dunque “il diritto dei corpi al movimento” come
lo definisce Scego, è inseparabile dalla paura, tremenda, “di perdere il
proprio corpo”. Esistono tanti modi, al di là della morte, di perderlo: come è
successo a Lafanu, come succede anche a Binti.
Scavando nelle pieghe della
storia vengono messi a nudo i tanti tabù e le dolorose ambivalenze dell’epoca
di Lafanu e anche della nostra: i feroci pregiudizi verso i “negri palesemente inferiori”; la
carità ipocrita di quelle benefattrici che se ne prendevano cura a loro maggior
gloria; il diritto al viaggio e alla mobilità ancora oggi ferocemente negato, ingiustizia per cui Leila non usa mezzi termini: “Viviamo in
apartheid, questo è apartheid”. Leila e Alexandria ne sono perfettamente
consapevoli: il loro progetto che coinvolge giovani artisti “dal passaporto
debole” è un atto politico. Così com’è politica, nella narrazione dell’autrice,
la disamina delle più importanti vicende storiche italiane dalla prospettiva di
chi è italiana, nata e cresciuta in quella stessa Roma al centro del libro, e
che però mette in campo interpretazioni divergenti, che escono decisamente dai
confini della narrazione unilaterale in cui acriticamente ci si rifugia…
…Lo stile fluido dell’autrice consente al lettore di
completare rapidamente il libro. Le tematiche trattate sono molto attuali e ci
fanno riflettere su numerose problematiche. La narrazione avviene in prima
persona che coinvolge molto. Le descrizioni, sia ambientali che dei personaggi
sono attente e precise. L’ autrice ha creato il personaggio di Lafanu
ispirandosi alla vita di due donne africane realmente esistite: la scultrice
Edmonia Lewis e l’ostetrica Sarah Parker Remond. Donne straordinarie che, con
le loro capacità e la loro tenacia si sono affermate nel mondo e hanno lottato
per i diritti della loro etnia. Un romanzo straordinario che mi ha avvicinato a
prospettive nuove, a tematiche che non avevo avuto l’occasione di approfondire
e che mi ha permesso di analizzare alcuni aspetti sotto una nuova luce. Una
lettura che coinvolge e emoziona andando dritta al cuore. Un libro che
apparentemente non viene catalogato come distopico ma che tra le righe
raccoglie parte delle sue tematiche e messaggi. Imperdibile!!!
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