E sì, si tratta della vecchia domanda. Ma le risposte sono completamente
diverse. Come al solito, Raúl Zibechi mette il dito nella piaga descrivendo le
impotenze dei movimenti sociali o della cosiddetta sinistra di fronte alla
situazione attuale. Completa così i percorsi che aveva aperto settimane prima
(vedi qui e qui).
Quel che si è chiamato “sinistra” è andato perdendo per strada la sua ragion
d’essere e il suo significato. Negli anni ’50 ha cominciato a fare dello
sviluppo, invece che della giustizia, il motivo e il traguardo della sua
esistenza. Per “fare la rivoluzione”, la cui forma ha cambiato continuamente, è
rimasta attaccata all’ossessione di “prendere il potere”, cosa che in pratica
ha voluto dire semplicemente prendere le redini del governo.
Esistono ancora gruppi organizzati che aspirano al proposito originale:
stabilire il socialismo, anche se l’idea stessa di una società
socialista s’è modificata fino ad assomigliare ogni volta più al capitalismo e
persino al modello che definiva lo sviluppo: gli Stati Uniti. Questo
ha segnato profondamente, per esempio, l’evoluzione dell’Unione Sovietica. Cuba
ha mostrato per decenni la soddisfazione di aver fatto il suo dovere, potendo
contare su un sistema educativo e sanitario che per molti versi supera quello
degli Stati Uniti.
Negli ultimi tre decenni, quel che ancora si chiama sinistra è stato in una
crisi permanente di orientamento e carattere. In generale, si è
adattato al sistema dominante e al gioco democratico. Per i suoi militanti,
“prendere il potere” significa vincere le elezioni e ricoprire cariche
pubbliche. Si sentono particolarmente soddisfatti se la retorica degli
interessi al cui servizio si trovano ha un tono progressista, sebbene non si
pronunci mai contro il patriarcato o il capitalismo.
Quella sinistra ha giocato un ruolo decisivo nello smantellamento e nella
liquidazione dei movimenti sociali. Quando non può usarli per i suoi fini, li
esclude e li limita il più possibile, spesso riesce a dividerli, secondo uno
schema che la caratterizza da sempre.
Per queste e altre ragioni, come sottolinea bene Zibechi, risulta in
pratica impossibile per i movimenti sociali e per coloro che ancora
appartengono a tutto ciò pretende di essere “di sinistra”, unificarsi e persino
coordinare le azioni per affrontare il sistema dominante e le ondate di orrore
che ha scatenato attualmente. Per inquadrare queste ragioni, Zibechi fa
riferimento al Forum sullo Stato del Mondo che si è svolto a San Francisco nel
1995. Lì, un orientamento politico delle élite è stato
definito in relazione ad una nuova classe sociale, quella che gli zapatisti
hanno chiamato los desechables (gli eliminabili, gli “usa
e getta”, ndr): persone che non hanno più alcuna utilità per
le élite. Li vedono come “popolazione in eccesso”, di cui
possono fare a meno, ma che devono comunque necessariamente sottomettere e
controllare. Di fronte a sfide come queste, relativamente nuove, le
risposte leniniste sul da farsi, quelle che aspettano che un gruppo di
intellettuali guidi “le masse”, hanno perso ogni significato e sostegno.
La speranza di un mondo nuovo non emerge più dalla “sinistra” o dai
movimenti sociali, ma dalle persone comuni ben organizzate che per necessità di
mera sopravvivenza o per antichi ideali si è messa in movimento e si occupa –
ancora Zibechi – di costruire autonomie territoriali e propri sistemi
di governo.
Quando gli zapatisti avranno terminato la loro valutazione interne, renderanno
certo noti i risultati del loro Viaggio per l’Europa. Per quanto si è saputo
mentre era in corso, il proposito di ascoltare una moltitudine di gruppi di
ogni tipo e condizione, andati a riceverli con entusiasmo e impegno, è stato
ampiamente raggiunto. E sono state create le condizioni per scambi intensi.
Ogni volta, nelle conversazioni, è emersa la crescente distanza delle
persone da tutte le forme di quello che ancora si chiama “Stato” e la loro
disillusione nei confronti di tutti i governi del più ampio spettro ideologico. Ovunque
si segnala l’emergere pericoloso di gruppi di inclinazione fascista, che
associano le loro minacce a quelle rappresentate dal collasso climatico e dalla
crisi generalizzata.
Ogni volta si è sentita la voce delle donne, che esercitano nuove
forme di leadership, assumono iniziative radicali di enorme
valore e contribuiscono molto chiaramente alla costruzione di un’autonomia che
si estende. Sta iniziando una discussione sul governo: dobbiamo continuare
a usare quella parola per forme di organizzazione in cui non ci sono già più
governanti e governati, ma è la gente stessa a condurre la propria vita?
Siamo di fronte a un’incertezza radicale. I collassi in corso e
l’irresponsabilità criminale delle élite, che ovunque intensificano le loro
attività di espropriazione e distruzione, mettono a rischio persino la
sopravvivenza della specie umana.
In un senso molto reale, dobbiamo ritornare dal futuro. Invece
di continuare a immaginare utopie, che sono inevitabilmente proiezioni di
percezioni del mondo che muore, abbiamo bisogno di trasformare in modo creativo
il presente. Invece di fare affidamento su messia o cataclismi liberatori,
dobbiamo confidare nella capacità che tutti abbiamo quando ci mettiamo
all’opera. Ecco dove ci troviamo.
Fonte: “Qué hacer”, in La Jornada,
24/01/2022.
Traduzione a cura di Camminardomandando
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