giovedì 10 febbraio 2022

Morire per Kiev?

 

Quando arrivano “i nostri”… Note per un giovane che volesse capire le ragioni della crisi ucraina (e non volesse fare la fine dei nativi americani) –Pasquale Pugliese

 

La verità deve prevalere

senza violenza

Lev Tolstoj, Guerra e pace


Ad un giovane che volesse capire quali sono le ragioni dei venti di guerra che – pericolosamente e arcaicamente – soffiano di nuovo nell’Europa dell’est, suggerisco di prenderla apparentemente alla lontana leggendo, tra le altre cose, qualche pagina del racconto del lungo viaggio di Alexis de Tocqueville negli Stati Uniti nel 1826 (La democrazia in America), nelle quali descrive così il modo in cui il governo degli Stati Uniti ingannava regolarmente i nativi americani: “Quando la popolazione europea comincia ad avvicinarsi al deserto occupato da una nazione selvaggia, il governo degli Stati Uniti invia regolarmente a quest’ultima un’ambasciata solenne; i bianchi radunano gli indiani in una grande pianura e, dopo aver mangiato e bevuto con loro, dicono: <<In che cosa la contrada in cui abitate vale più di un’altra? Al di là di queste montagne che vedete all’orizzonte, al di là di questo lago che delimita ad ovest il vostro territorio, vi sono vaste contrade, in cui si trovano ancora bestie selvagge in abbondanza; vendete le vostre terre e andate a vivere felici in quei luoghi!>> Dopo aver tenuto questo discorso, mostrano agli indiani armi da fuoco, indumenti di lana, barili di acquavite… Se, alla vista di tutte queste ricchezze, esitano ancora, si fa loro capire che non possono rifiutare il consenso che viene loro richiesto (…). Per metà convinti, per metà costretti, gli indiani si allontanano; vanno ad abitare nuovi luoghi disabitati dove i bianchi non li lasceranno in pace nemmeno per dieci anni. E’ così che gli americani acquistano a vile prezzo province intere che i più ricchi sovrani d’Europa non potrebbero pagare”. Oggi sappiamo com’è andata tragicamente a finire per i nativi americani: il più grave genocidio della storia dell’umanità, nonostante l’epopea del “selvaggio west” abbia per decenni narrato e fatto entrare nell’immaginario di tutti una storia completamente diversa.

Dopodiché, facendo un salto storico, inviterei quel giovane ad informarsi su che cosa accadde il 2 e 3 dicembre del 1989 sull’isola di Malta, dove subito dopo l’abbattimento del muro di Berlino si incontrarono Michail Gorbačëv, segretario generale del partito comunista sovietico, e George Bush, presidente in carica degli USA, e mutatis mutandis si realizzò un analogo inganno che è all’origine della pericolosa crisi bellica in corso dentro e intorno all’Ucraina e alla Russia. Gorbačëv, a quel tempo, aveva già proceduto unilateralmente allo smantellamento delle strutture militari della guerra fredda “avviando una sensibile riduzione delle truppe sovietiche in Europa centrorientale, il ritiro delle sue truppe dall’Afghanistan e dai territori dell’Asia centrale confinanti con la Cina. Egli creava così le condizioni perché anche Reagan mutasse la sua agenda politica e militare. Ma il suo obiettivo non si realizzò” (Giuseppe Vacca, La sfida di Gorbaciov. Guerra e pace nell’era globale). All’incontro di Malta, il presidente USA successore di Reagan, sembrò concordare con Gorbačëv “sul fatto che l’Unione Sovietica dovesse rinunciare a ogni intervento per sostenere gli agonizzanti sistemi comunisti dell’Est, mentre gli Stati Uniti s’impegnavano a non ricavare alcun vantaggio strategico dagli sviluppi politici conseguenti alla decisione del Cremlino”, ossia a non estendere la Nato nell’Europa ad Est (come ricorda, tra gli altri, Eugenio Di Rienzo, recensendo il libro di Vacca su Nuova rivista storica, con il titolo significativo Le lacrime amare di Michail Gorbaciov). Di questo accordo non c’è una formalizzazione scritta ma “fu poi confermato dalle dichiarazioni del Primo ministro inglese,Margaret Thatcher, del Cancelliere tedesco, Gerhard Schröder, del Presidente francese,François Mitterrand, e dalla testimonianza dell’allora ambasciatore statunitense a Mosca, Jack Foust Matlock”. Oltre che successivamente dallo stesso Gorbačëv – il quale ormai escluso dalla vita politica russa – si rammaricava del fatto di essere stato “sprovveduto” nel non aver preteso di mettere nero su bianco le assicurazioni di Bush e prima di lui del segretario di stato USA James Baker che, dopo l’abbattimento del muro di Berlino, lo rassicurava sul fatto che se anche la Germania si fosse riunita “la giurisdizione della Nato non si sarebbe allargata di un pollice verso Oriente”. Anzi, come ricostruisce Giuseppe Vacca, “il muro di Berlino venne abbattuto con il consenso di Mosca. Dopo l’incontro fra Helmut Kohl e Gorbaciov, il quale accoglieva la richiesta che la Germania unita facesse parte della Nato, purché sul suo territorio non venissero installate testate nucleari, il processo di riunificazione della Germania era avviato”.

Fatta questa breve ricognizione storica, oggi quel giovane può costatare che non solo la Nato non si è sciolta – al contrario di quanto è avvenuto per l’antagonista Patto di Varsavia – ma non ha rispettato neanche le rassicurazioni fornite a suo tempo a Gorbačëv: anzi anno dopo anno ha proceduto ad espandersi nell’Europa dell’Est con l’inglobamento progressivo di Albania, Bulgaria, Croazia, Estonia, Lettonia, Lituania, Macedonia del nord, Montenegro, Repubblica Ceca, Romania, Slovenia, Slovacchia, Ungheria, ossia costruendo una nuova “cortina di ferro” intorno alla Russia. Come se non bastasse, almeno 150 testate nucleari statunitensi sono presenti sul territorio europeo e di queste un numero imprecisato si trovano nella base di Buchel in Germania (le altre nelle basi di Kleine Brogel in Belgio, Aviano e Ghedi-Torre in Italia, Voikel in Olanda e Incirlik in Turchia), tutte puntate verso la Russia. All’origine della crisi in Ucraina, dunque – che non nasce oggi, ma con il colpo di stato del 2014, a cui seguirono il referendum pro russo in Crimea, con la relativa annessione da parte di Mosca, e poi il conflitto in corso nella regione russofona indipendentista del Donbass – ci sono esattamente i contraccolpi di questa espansione ad Est della Nato, che ha come prossimo obiettivo proprio l’ingresso dell’Ucraina, con la prospettiva dei missili nucleari statunitensi alle porte di Mosca.

Personalmente – rassicuro il giovane che avrà avuto la pazienza di seguire fin qui l’evoluzione delle cose – non ho nessuna simpatia per Vladimir Putin e il suo regime autocratico, ma credo che l’Europa – piuttosto che che fare da scendiletto per le mire espansionistiche di Washington – dovrebbe promuovere quella che Rete Italiana Pace e Disarmo ha chiamato neutralità attiva, che per me significa avere un proprio ruolo politico strategico, ossia sottrarsi all’abbraccio mortale della Nato, far lavorare la diplomazia con equidistanza, pretendere il disarmo sul suo territorio a cominciare da quello nucleare, inviare un corpo civile di pace sul campo per fare interposizione, sostenere i movimenti pacifisti in Ucraina e in Russia, promuovere l’ingresso sia dell’Ucraina che della Russia nell’Unione Europea. Invece il nostro Paese – solerte come sempre nell’ubbidienza atlantica – è già presente ai confini della Russia con armi e armati per 78 milioni di euro, come documenta l’Osservatorio sulle spese militari italiane. Neanche il tempo di dismettere lo sciagurato impegno militare in Afghanistan e non resistiamo al richiamo della foresta. Con il rischio – per tutti, istantaneamente – di fare la fine dei nativi americani, magari mentre guardiamo, con i popcorn in mano qualche film western, nel quale aspettiamo che arrivino “i nostri” a salvarci dai…cattivi.

da qui

 

 

 

Crisi Ucraina: il ruolo proattivo dei pacifisti - Alessandro Marescotti 

 

I pacifisti dovrebbero dire no a un coinvolgimento militare della Nato. La crisi in Ucraina oggi è molto simile alla crisi di Cuba del 1962. Se ne può uscire con un atto di fiducia reciproca, smantellando le armi nucleari Usa in Europa in cambio di un impegno a garantire la sicurezza dell'Ucraina.


La cosa peggiore che potrebbe fare oggi un pacifista è quella di non occuparsi dell'Ucraina sperando che la crisi si sgonfi da sola.

L'altra cosa sbagliata è quella di non prendere posizione perché è un tema troppo spinoso e per timore di essere etichettati: troppo vicini a Putin o troppo vicini alla Nato.

Il nostro ruolo di pacifisti non è quello di fare da spettatori ma di essere proattivi e di anticipare gli altri con proposte veramente indipendenti dalle superpotenze.

Non attendiamoci che questo ruolo lo svolgano i partiti politici, noi siamo più liberi dai condizionamenti.

Siamo noi che dobbiamo decifrare la realtà, sfrondandola dalla sua scorza propagandistica, e capire cosa è meglio fare nell'interesse della pace, avendo come primo obiettivo quello di evitare una guerra dalle conseguenze imprevedibi e comunque devastanti. 

I pacifisti dovrebbero essere i primi a dire no a un coinvolgimento militare europeo anche nel malaugurato caso di invasione dei carri armati russi in Ucraina. Non vi fu coinvolgimento militare della Nato per le invasioni di Ungheria o Cecoslovacchia e non è camprensibile perché oggi si possa pensare di poter condividere posizioni bellicose del tipo: se la Russia invade l'Ucraina noi dobbiamo entrare in guerra contro la Russia sostenendo un'azione militare della Nato. Chiariamo subito che l'Ucraina non fa parte della Nato e pertanto non vale il principio - previsto dall'articolo 5 del Trattato Nord Atlantico - secondo cui "un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell'America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti" da cui può conseguire "l'uso della forza armata".

L'Ucraina ha fatto richiesta di entrare della Nato e di avvalersi quidi di questo formidabile strumento di "legittima difesa". E una delle ragioni per cui Putin potrebbe accarezzare l'idea (folle e sciagurata) di un'invasione dell'Ucraina potrebbe risiedere proprio nel tentativo di bloccare l'adesione dell'Ucraina alla Nato.

Ma attenzione: l'adesione dell'Ucraina alla Nato è subordinata all'accettazione delle nazioni che aderiscono alla Nato stessa. Basta il "no" di una sola delle nazioni per fermare l'adesione dell'Ucraina alla Nato. Infatti l'articolo 10 del Trattato Nord Atlantico subordina a un "accordo unanime" l'adesione di una nuova nazione alla Nato. Anzi, leggendo con attenzione quell'articolo 10, si può evincere chiaramente che si entra nella Nato solo se invitati: non basta farne richiesta. E si entra solo se invitati con "accordo unanime". L'articolo 10 è particolarmente stringente. Da questo punti di vista ha ragione Putin quando dice che l'adesione dell'Ucraina alla Nato può essere fermata e ha torto Biden quando dice che non si può limitare la libertà dell'Ucraina se decide di voler aderire alla Nato. Infatti il gioco è nelle mani della Nato (e di Biden) e non nelle mani dell'Ucraina: si entra nella Nato per invito unanime. Basterebbe, ad esempio, che la Germania dicesse di no e l'Ucraina rimarrebbe fuori della Nato. E' imbarazzante fare un ripasso delle regole della Nato a chi ha è nella Nato, dimenticando o facendo finta di dimenticare cosa che è scritto nel Trattato del 1949.

Dopo questa premessa, è bene arrivare alla logiche conclusioni: se l'Ucraina alla Nato è fonte di grande tensione internazionale, allora la nostra posizione di pacifisti dovrebbe essere quella di premere sui governi della Nato perché non invitino l'Ucraina nella Nato.

L'obiezione a questa nostra posizione è prevedibile: senza inclusione nella Nato l'Ucraina rimarrebbe scoperta militarmente e senza capacità di difesa da un'invasione russa.

E' ragionevole questa posizione? No. E vediamo perché.

La crisi ucraina è infatti molto simile alla crisi di Cuba del 1962. Cuba era minacciata (gli Usa avevano tentato un'invasione) e chiese all'Urss i missili per proteggersi. Cuba si sentì minacciata e reagì. Anche gli Stati Uniti si sentirono a loro volta minacciati e reagirono, mettendo in atto un embargo navale che violava il diritto internazionale. La similitudine con l'Ucraina, anche se a parti politicamente inverse, è impressionante (anche se va detto che nessuno a oggi ha documentato un piano di invasione russa, mentre quello americano ai tempi di Fidel Castro e di Che Guevara, era confermato).

Una Cuba integrata militarmente nell'alleanza sovietica era percepita come destabilizzante e Kennedy fu fermo nel bloccare questo, molto di più di quanto non abbia fatto Putin fin qui. Oggi Putin fa come Kennedy al tempo della crisi di Cuba.

A rileggere oggi la crisi di Cuba del 1961, mondata da ogni sovraccarico ideologico e da ogni passione dei tempi che furono, ci si rende conto che non c'erano buoni o cattivi, ma c'erano due opposte esigenze di sicurezza che andavano entrambe tutelate.

Non c'erano buoni e cattivi allora così come non ci sono buoni e cattivi oggi. Ci sono ragioni geopolitiche che vanno comprese. Vorremmo avere ai nostri confini una nazione ostile e per di più alleata con altre nazioni a noi ostili? È così difficile capire? Così come Kennedy non voleva a Cuba una minaccia militare, così Putin oggi non vuole avere una minaccia Nato ai confini, con l'Ucraina che scalpita per riconquistarsi i territori che hanno dichiarato l'indipendenza sotto la spinta dei filorussi.

C'è una sola cosa da fare oggi: evitare la guerra, così come venne fatto nel 1961. E per evitare la guerra occorre che l'Ucraina non entri nella Nato. Ovviamente questa non inclusione dell'Ucraina nella Nato deve essere contrattata con una parallela inclusione dell'Ucraina in un sistema di sicurezza che preveda il distanziamento, ad esempio, di tutte le minacce militari, creando una zona di pace in cui gli osservatori internazionali garantiscano il costante monitoraggio della situazione, sviluppando al massimo il dialogo e la risoluzione nonviolenta dei conflitti insieme alla società civile. Quest'approccio è l'esatto opposo alle ambizioni pro-Nato dell'Ucraina ma è anche particolarmente forte nel mettere alla prova la buona fede di Putin quando dice che non è sua intenzione avviare un'invasione dell'Ucraina. 

L'approccio dei pacifisti alla crisi deve partire sempre dal fatto che è nostro compito saper comprendere le esigenze sicurezza del nostro avversario perché - a ben vedere - sono anche le nostre, e non possiamo rivendicare la nostra sicurezza senza farci carico della sicurezza dell'avversario.

Occorre dire no alla guerra, anche se fosse una guerra per i "buoni".

O occorre dire no anche a forniture di armi all'Ucraina, così come ventilata da autorevoli esponenti ei verdi tedeschi.

Perché in una guerra di questo tipo i "buoni" non esistono (si veda il filmato sull'"istruttore americano", in coda a questa pagina web, che documenta infiltrazioni segrete nella rivolta di piazza Maidan del 2014 a Kiev).

Uso questo termine - "buoni" - sempre per semplificare e in modo provocatorio. Nella storia si è sempre fatto la guerra per aiutare i "buoni". Non nascondiamocelo: questa è la trappola in cui rischiamo di cadere tutti. E il silenzio dei pacifisti, di noi pacifisti, sarebbe grave in questo momento. Se ci perdiamo alla ricerca dei "buoni" e dei "cattivi" (fermo restando il fatto che i neonazisti in Ucraina non sono affatto "buoni" e sono una minaccia anche per l'Italia) perdiamo tempo alla scelta della parte giusta per cui tifare. Come nella crisi di Cuba, con l'intervento anche di papa Giovanni XXIII, oggi occorre affermare l'imperativo prioritario della pace, scollegando questo imperativo da altri imperativi molto importanti (come la difesa dei diritti umani e della democrazia) che vanno giocati sui terreni della nonviolenza e non della deterrenza militare. Le condizioni odierne e il panorama internazionale oggi consentono di tenere assieme pace, sicurezza e diritti umani senza ricorrere alla guerra e senza inasprire il confronto con un pericoloso pocker in cui ognuno tiene coperte le sue carte. Occorre invece giocare a carte scoperte. 

Sono preoccupato di una posizione attendista del movimento pacifista. Dobbiamo essere proattivi. La pace deve fare la sua prima mossa, prima che la faccia la guerra. Dobbiamo dire forte ciò che NON si deve fare in questa situazione critica. E ciò che non si deve fare oggi è includere l'Ucraina nella Nato o in una vendita di armi "difensive".

I "buoni" sono quelli dell'Ucraina? Secondo la Nato sì. Ma vendere le armi ai "buoni" manda in soffitta definitivamente il criterio base della legge 185/1990 sul commercio delle armi che vieta la vendita di armi a tutti i paesi in conflitto. Quella legge non dice di "vendere le armi ai buoni e non venderle ai cattivi". Occorre tirare le orecchie a quei verdi tedeschi che sembrano andare nella direzione opposta. 

Noi, se siamo liberi mentalmente dalla Nato e da Putin, siamo in grado di essere più credibili di chi invece deve mediare per ragioni politiche, per ragioni di consenso, per ragioni di sottomissione all'alleato più potente o per semplice conformismo.

Occorre un'informazione presente sul campo, che sia formata da giornalisti indipendenti. Oggi le notizie sono poche, filtrate e spesso inattendibili.

Lo spirito di Gorbaciov, che disinnescò la guerra fredda facendo lui il primo passo del disarmo, dovrebbe ritornare in campo, mettendo la parte la prova moscolare attuale. Chi abbandona il braccio di ferro - come fece Gorbaciov - è oggi il vero vincitore. E lo sarebbe anche il movimento pacifista se sapesse porre sul piatto la richiesta di smantellamento delle armi nucleari in Europa come contropartita per ottenere da Putin un impegno a lungo termine di pace per l'Ucraina. Piuttosto che usare il bastone, occorre usare la carota, e la ragguardevole carota dello smantellanento delle armi nucleari dall'Italia, dalla Germania e da altre basi militari europee sarebbe sicuramente un contratto di mutua collaborazione fra USA e Russia che includerebbe come contropartita la garanzia della sicurezza dell'Ucraina. Se solo Biden sapesse seguire lo spirito di Gorbaciov che - facendo il primo passo - portò a un nuovo sistema di sicurezza basato sul disarmo nucleare.

Da questa crisi si può uscire con un atto di fiducia reciproca: smantellando le armi nucleari Usa in Europa in cambio di un impegno a garantire la sicurezza dell'Ucraina. Come avvenne nel 1961. Gli Stati Uniti rinunciarono a un'invasione di Cuba in cambio della rinuncia all'installazione dei missili a Cuba, e per di più Kennedy ritirò i missili Jupiter dalla Puglia e dalla Turchia. Così si risolvono le crisi, ma a distanza di sessanta anni ci si dimentica di tutti e si continua a pensare che le prove muscolari servano. 

Noi pacifisti siamo liberi mentalmente, abbiamo memoria storica se lo vogliamo, e siamo la voce della pace. Facciamola sentire prima che i leader declamino le loro smanie di potenza o che - peggio ancora - i cannoni e i cingolati facciano sentire il loro frastuono. 

Noi pacifisti abbiamo oggi un alleato di grande prestigio: Papa Francesco. Oggi abbiamo il privilegio di averlo accanto, a calcare le orme profetiche di Papa Giovanni. Se un seguito dovrò scegliere, non sceglierò la Nato, non sceglierò Putin, ma da laico sceglierò di andare al seguito di papa Francesco. In nome della pace.

https://www.peacelink.it/pace/a/48943.html

 

 

Crisi Ucraina, l’incredibile guerra di propaganda contro la Russia - Giulio Chinappi

 

Le guerre del XXI secolo hanno a disposizione un’arma potentissima, quella dei mass media. Sebbene la propaganda esistesse già nel secolo scorso, i social network e la rete Internet, che sono andati ad aggiungersi ai mezzi di informazione più tradizionali, hanno amplificando a dismisura le potenzialità di quest’arma, che quasi sempre viene rivolta contro i Paesi non allineati con il progetto di ordine mondiale a guida egemonica statunitense.

Una delle principali vittime di questa guerra della disinformazione è certamente la Russia, contro la quale vengono continuamente diffuse notizie totalmente false o per lo meno non verificate, con l’unico fine di alimentare un’opinione pubblica negativa nei riguardi di quel Paese.

Lo stesso è stato fatto in passato nei confronti di Paesi contro i quali poi è stata dichiarata guerra (Iraq, Afghanistan, Libia, Siria), giustificando in questo modo l’intervento armato agli occhi dell’opinione pubblica occidentale.

Con questo non stiamo dicendo che presto le potenze NATO dichiareranno con certezza guerra alla Russia, ma sicuramente questi elementi forniranno una giustificazione qualora questo dovesse avvenire.

Nelle ultime settimane, i media al servizio dell’imperialismo hanno bombardato i propri ascoltatori e lettori con notizie totalmente infondate circa la volontà della Russia di invadere l’Ucraina.

Questo è avvenuto quando la Russia, in risposta alle continue provocazioni occidentali e alle minacce di Kiev di invadere il territorio delle repubbliche popolari del Donbass in violazione degli accordi di Minsk, ha schierato le proprie truppe lungo il confine occidentale, senza però mai varcare i confini della Federazione.

I media e i governi occidentali, soprattutto quello degli Stati Uniti, hanno affermato di avere informazioni “certe” circa la volontà della Russia di passare all’attacco. Dopo aver annunciato l’attacco (sempre dato per “certo”) prima a dicembre e poi a gennaio, Washington ha dichiarato di avere gli elementi per affermare che Mosca pianificasse di passare all’offensiva a metà febbraio, in corrispondenza dei Giochi Olimpici di Pechino 2022.

Questo nonostante il governo russo abbia smentito tutto a più riprese, e nonostante addirittura il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj abbia dichiarato apertamente che non ci fosse nessuna minaccia imminente da parte della Russia contro il suo Paese!

Gli USA ed i loro fidi vassalli europei, invece, hanno tutto l’interesse a far credere al mondo che la Russia rappresenti una minaccia imminente, e questo per diversi motivi: innanzi tutto, in questo modo possono facilmente giustificare l’ingente flusso di armi che continua a verificarsi con destinazione Kiev; in secondo luogo, possono giustificare le continue sanzioni imposte unilateralmente contro Mosca, che altrimenti non avrebbero nessuna ragione di essere; infine, nel caso in cui dovesse malauguratamente scoppiare un conflitto armato diretto, l’opinione pubblica sarebbe già preparata ad accettarlo come un fatto inevitabile e giustificato.

I mass media occidentali si stanno facendo prendere la mano dal gusto di attaccare la Russia, a tal punto che qualcuno ha deciso di annunciare l’inizio della guerra. Nel pomeriggio di venerdì 4 febbraio, il sito web di Bloomberg, una delle massime multinazionali dell’informazione mondiale, ha pubblicato una presunta “diretta” dell’invasione russa dell’Ucraina.

La fake news, il cui link rimandava ad una pagina vuota, è rimasta online per circa mezz’ora, e certamente è stata letta da migliaia di persone, considerando anche l’orario pomeridiano.

 


Bloomberg, in risposta, ha affermato che si è trattato solo di un “errore”. Come può trattarsi di un errore? Errore può essere scrivere una parola in luogo di un’altra, non pubblicare un titolo privo di ogni fondamento, oltretutto lasciandolo online così a lungo.

La giustificazione ufficiale afferma anche la testata “prepara titoli per ogni scenario possibile, e uno di questi è stato inavvertitamente pubblicato”. Ma un titolo banale come “Russia invades Ukraine” può essere scritto in un paio di secondi, senza bisogno di “prepararlo” in anticipo.

Dobbiamo quindi dedurne due opzioni, che non si escludono a vicenda. La prima è che il titolo sia stato pubblicato volontariamente per sondare l’opinione pubblica, analizzando le reazioni sui social o su altri mass media.

Non dimentichiamo, infatti, che spesso Bloomberg è una fonte d’informazione primaria, e che testate di portata mondiale come il New York Times o USA Today riprendono con frequenza le notizie di Bloomberg.

La seconda è che i media al servizio dell’imperialismo nordamericano abbiano già confezionato non solo il titolo, bensì un’intera storia prefabbricata da vendere all’opinione pubblica qualora dovesse scoppiare un conflitto lungo il confine russo-ucraino – addossando naturalmente tutte le colpe alla Russia.

 

Alcune testate, come il Washington Post e il New York Times, hanno diffuso anche la fake news secondo cui la Russia starebbe preparando dei video falsi per dimostrare un attacco ucraino contro la popolazione civile del Donbass – sempre al fine di dare luogo ad una guerra.

Nel giro di poche ore, attraverso i social, la notizia falsa si è trasformata, e ora molte persone credono che la Russia non solo abbia preparato, ma abbia effettivamente diffuso tale video, che però nessuno ha mai visto. Alla fake news è stato dato un risalto tale che il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, è dovuto intervenire in prima persona per smentire il tutto.

Nel frattempo, sempre nell’ambito di questa guerra dei mass media, la Germania ha deciso di bandire la televisione RT DE, la versione tedesca di un network televisivo di proprietà del governo russo.

Ciò, naturalmente, al fine di non permettere la diffusione di versioni dei fatti diverse da quelle propinate dagli altri mass media, indipendentemente dalle ragioni ufficiali che sono state presentate.

In risposta, la Russia ha deciso di chiudere la sede moscovita della testata tedesca Deutsche Welle, come confermato dalla portavoce del ministero degli Esteri, Marija Zacharova.

da qui


 

Crisi Russia e Ucraina, cosa sta succedendo al di là delle semplificazioni - Oleksiy Bondarenko

Di Russia si parla spesso per stereotipi con immancabile focus sul suo presidente, Vladimir Putin, o lo ‘zar’ come viene spesso definito dalla stampa. Immancabile anche il riferimento alle sue presunte intenzioni (ricostituire l’Unione Sovietica), alla sua nostalgia per il passato imperiale e al suo essere un ex agente dei servizi segreti come segno distintivo della sua intrinseca malevolenza. Il difetto di molte analisi della politica estera russa è anche frutto di questa semplificazione di dinamiche complesse e spesso contraddittorie, oltre all’inevitabile pregiudizio cognitivo di chi scrive. Le ultime settimane sono state caratterizzate infatti da una crescente serie di speculazioni circa l’imminente invasione russa dell’Ucraina, fatte filtrare spesso da fonti vicine all’amministrazione americana e basate su dati di dubbia natura, che hanno alimentato un clima di tensione spesso irrazionale. Ieri, ad esempio, il Regno Unito ha fatto filtrare la notizia che la Russia starebbe tramando per mettere in Ucraina un presidente pro-Russia, ma senza fornire evidenze. La notizia è stata smentita dal Cremlino e bollata come disinformazione. Questa visione stereotipata e semplificata restituisce un’immagine parziale e distorta non solo dei fatti che caratterizzano l’acutizzarsi della crisi tra Russia e Ucraina, quanto delle origini, complessità e problematiche delle quali l’attuale conflitto è sintomo.

Cosa sta succedendo?

L’acutizzarsi della crisi tra Russia e Ucraina e la postura di Mosca che appare sempre più minacciosa, è solo l’episodio più recente di un conflitto, quello in Donbass (regione nella parte orientale dell’Ucraina) che va avanti da quasi otto anni, ma che affonda le proprie radici nel più ampio quadro di relazioni tra Mosca e Washington. Secondo le fonti provenienti inizialmente dall’intelligence americana e poi confermate dalle immagini satellitari a partire da fine ottobre la Russia avrebbe mobilitato circa 100.000 soldati, dislocati, insieme ad armamenti di vario tipo, lungo i confini con l’Ucraina. Le continue voci di una possibile invasione, fatte circolare dagli stessi servizi americani, non hanno per ora avuto riscontro ma hanno contribuito ad innalzare ulteriormente la tensione tra Mosca, Kiev e gli alleati occidentali. Mentre l’Ucraina ha mobilitato sin da subito nuove truppe lungo il confine con la Bielorussia, la Russia dal canto suo ha condotto una serie di esercitazioni militari nel Mar Nero, pianificandone altre per febbraio congiuntamente alla Bielorussia, paese che non confina solo con l’Ucraina, ma anche con Polonia, Lituania e Lettonia, quest’ultimi membri della NATO.

Il Cremlino ha continuato a giustificare il riorientamento di truppe e mezzi verso il suo confine occidentale come una mossa difensiva, la risposta all’avvicinamento dell’Alleanza Atlantica verso i propri confini e il crescente sostegno politico e militare da parte degli Stati Uniti e partner europei nei confronti di Kiev. Infatti, la nuova amministrazione Biden (a giugno) aveva autorizzato un nuovo pacchetto di aiuti pari a 150 milioni di dollari che comprende, tra le altre cose, il dispiegamento di personale militare per l’addestramento delle truppe ucraine. Durante la visita del Ministro della Difesa americano a Kiev in ottobre, invece, Washington aveva rimarcato il fermo sostegno all’ingresso dell’Ucraina nelle strutture della NATO, un tasto da sempre dolente per Mosca. Non a caso, proprio a ottobre la Russia aveva già sospeso la sua missione di rappresentanza presso la NATO, ultimo canale di dialogo rimasto in piedi dopo la sospensione della cooperazione nel 2014 in seguito all’annessione della Crimea. Con il recente innalzamento della temperatura, Stati Uniti e Gran Bretagna hanno solo accelerato la loro fornitura di armi e mezzi all’Ucraina, promettendo al contempo dure sanzioni in caso di invasione.

Le cause di quello che sembra un circolo vizioso fatto di accuse e di minacce reciproche sono molteplici e intrecciate tra loro. Da una parte vi è lo stallo del processo negoziale volto a risolvere l’attuale conflitto in Donbass, mentre dall’altra nel mirino ci sono le relazioni tra Russia e Stati Uniti e una più ampia riconfigurazione del ruolo della NATO sul continente europeo. Il tutto inserito in una spirale di crescente sfiducia nella quale i negoziati stanno andando avanti senza portare, per ora, risultati tangibili.

Il problema del conflitto in Donbass

Una delle cause della crescente tensione tra Russia e Ucraina va ricercata nello stallo che ha caratterizzato il processo negoziale relativo al conflitto nella regione orientale dell’Ucraina, il Donbass. Anche se la Russia ha sempre negato il proprio coinvolgimento e, ufficialmente, non è una delle parti belligeranti, il suo intervento e il sostegno militare ed economico alle autoproclamante repubbliche separatiste è stata una variabile fondamentale nel conflitto in atto dal 2014. Mosca, inoltre, insieme a Kiev, Berlino e Parigi, rimane il principale attore sul tavolo negoziale (il cosiddetto processo di Minsk) nonché il ‘rappresentante’ delle regioni separatiste. La finestra di opportunità che sembrava aprirsi dopo l’elezione di Volodymyr Zelensky come nuovo presidente ucraino, considerato dal Cremlino come una figura più malleabile, si è però ben presto chiusa. La Russia continua a insistere su un rigoroso rispetto degli accordi di Minsk siglati nel 2015 che prevedono la concessione di uno status speciale alle regioni separatiste, le elezioni locali e, solo dopo, il ritorno del controllo di Kiev sul confine tra Ucraina e Russia. Posizione questa che appare inaccettabile per il presidente ucraino che ha vincolato ogni apertura al ristabilimento del controllo sul confine.

A scompigliare le carte sul tavolo ci hanno pensato anche le mutevoli dinamiche della politica ucraina. In due anni da presidente Zelensky ha dissipato buona parte del suo capitale politico, finendo per distanziarsi dalla parziale apertura nei confronti di Mosca sulla quale aveva impostato la campagna elettorale nel 2019. Ripercorrendo le orme del suo predecessore, per recuperare consensi interni Zelensky ha così virato sul fronte nazionalista interno e sul consueto sostegno delle potenze occidentali. La nuova dottrina strategica, approvata a inizio 2021, infatti, si focalizza “sull’aggressione russa” riproponendo le aspirazioni dell’ingresso nella NATO come il perno centrale della politica estera e militare. Un cambio di strategia piuttosto evidente per il presidente ucraino che della pace in Donbass - anche a costo di rinunce dolorose - aveva fatto inizialmente il perno programmatico del suo mandato.

La questione NATO e i rapporti USA-Russia

Più in generale però, l’attuale crisi è anche il sintomo della globale instabilità del sistema internazionale causato dal lento declino del momento unipolare guidato dagli Stati Uniti. Potrebbe essere proprio questa una delle possibili chiavi di lettura per interpretare l’attuale assertività di Mosca lungo il confine ucraino. A metà dicembre, infatti, il Cremlino ha pubblicato una serie di richieste indirizzate a Stati Uniti e NATO. Si parla, tra le altre cose, del ritiro delle truppe NATO dai paesi che si sono uniti all’alleanza dopo il 1997 (leggasi Europa dell’est) e di una rinuncia ufficiale a ogni ulteriore espansione (leggasi Ucraina e Georgia). Richieste che a prima vista possono sembrare irrazionali, provocatorie e inaccettabili, ma che in verità affondano le radici in tre decenni di errori e malintesi nei rapporti tra Stati Uniti e Russia.

Come sottolineato dalla storica americana Mary Elise Sarotte in un suo recente libro (“Not One Inch: America, Russia, and the Making of the Cold War Stalemate”), sin dalla seconda metà degli anni ‘90 l’élite politica russa ha condiviso un senso di ‘tradimento’ da parte degli Stati Uniti. Il motivo è da ricercare nelle promesse fatte all’alba della fine della guerra fredda, volte a rassicurare la leadership russa e sovietica che il crollo della cortina di ferro non avrebbe portato all’espansione della NATO verso est. Promesse che non sono mai state messe per iscritto, quindi ufficialmente mai esistite, ma il retaggio delle quali ha contribuito ad accrescere, anche se spesso in maniera irrazionale, il senso di minaccia e accerchiamento da parte della leadership russa. Sul tavolo oggi non c’è quindi solo la situazione lungo il confine tra Russia e Ucraina, ma anche le numerose divergenze sull’asse Mosca-Washington. La Russia, infatti, porta in dote un senso di esclusione dovuto al fatto che i contorni della sicurezza europea e del ruolo della NATO sul continente dopo la fine della guerra fredda siano stati definiti senza la sua partecipazione e, come dicono al Cremlino, senza tenere in considerazione i suoi interessi strategici.

Diplomazia coercitiva e il "trilemma" impossibile

Quello che vediamo oggi è quindi un esercizio di ‘diplomazia coercitiva’ da parte di Mosca, con l’utilizzo della pressione militare per costringere gli americani al dialogo e per poter alzare la posta al tavolo negoziale. Una tattica non nuova, visto che già lo scorso aprile le truppe russe lungo il confine con l’Ucraina avevano costretto il presidente americano, Joe Biden, a organizzare un incontro ufficiale con la controparte russa, aprendo uno spiraglio di dialogo su temi come cybersecurity, rapporti strategici e il conflitto in Donbass. Questa volta però la posta in gioco sembra molto più alta, visto che le richieste di Mosca puntano a una revisione massiccia dell’architettura europea in materia di sicurezza.

Non a caso, quelle appena trascorse sono state un paio di settimane diplomatiche molto intense. Una partita difficile resa ancora più complessa dal fatto che Mosca giochi tenendo una pistola in mano. Nel giro di pochi giorni i rappresentanti di Stati Uniti e Russia si sono prima incontrati a Ginevra, tenendo poi il vertice Russia-NATO a Vienna. Il tutto è finito con il meeting del 21 gennaio tra Sergei Lavrov - il ministro degli esteri russo - e Antony Blinken - la controparte americana - che entrambi hanno definito come un incontro ‘franco’ ma che non ha portato a nessun reale passo avanti. La Russia continua ad aspettare una risposta ufficiale da parte della NATO alle proposte avanzate lo scorso dicembre, mentre i vertici dell’Alleanza hanno più volte ripetuto che né il ritorno alla realtà pre-1997, né uno stop ufficiale ad un futuro allargamento sono punti sui quali ci sia margine di dialogo. La situazione di stallo sembra infatti la riproposizione del classico ‘trilemma impossibile’. Una situazione in cui il successo negoziale non può essere raggiunto soddisfacendo gli interessi minimi di tutte e tre parti coinvolte, la Russia, Stati Uniti (e alleati europei) e l’Ucraina.

Per tutta una serie di motivi e fatti oggettivi, quindi, l’invasione dell’Ucraina per ora non sembra tra le reali intenzioni del Cremlino. La strategia della ‘diplomazia coercitiva’ non può però funzionare ancora a lungo. Il rischio è quello di alzare la tensione oltre al punto di rottura, alimentando scelte non razionali da ambo le parti e trasformando una crisi in un vero e proprio conflitto. La soluzione diplomatica rimane ancora un’opzione possibile e di certo auspicabile, magari virando il dialogo su punti a prima vista secondari, come un accordo per limitare le esercitazioni militari condotte da ambo le parti in Europa dell’est o la limitazione del dispiegamento di missili a breve e media gittata sul continente. Il tempo però comincia a stringere, anche se molte cose saranno presto più chiare. Fonti del Dipartimento di Stato statunitense avrebbero raccomandato di ridurre il personale non essenziale dell'ambasciata a Kiev. Anche il Regno Unito ha comunicato il ritiro dei diplomatici e delle loro famiglie da Kiev. L'UE non sta seguendo USA e UK perché "non c'è motivo di drammatizzare la situazione mentre i colloqui con la Russia sono ancora in corso". La risposta ufficiale della NATO è attesa nei prossimi giorni e da essa si potrà forse capire quali carte sono ancora rimaste da giocare.

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USA, Russia, Ucraina - Marinella Mondaini

 

Il grande il compito della Russia oggi è quello di fermare la guerra che gli statunitensi stanno scatenando.

Stati Uniti e Nato hanno consegnato la risposta alla Russia, non hanno alcuna intenzione di retrocedere dalla politica delle “porte aperte”, ci hanno messo un mese e mezzo per rispondere “no” alle richieste più importanti. Sulle questioni minori hanno lanciato un segnale positivo di dialogo e collaborazione. Ma non è questo che interessa la Russia, ciò che importa è che l’Occidente non ha alcuna intenzione di parlare di garanzie di sicurezza per la Russia. Oggi Putin nella conversazione telefonica che ha tenuto con il presidente francese Macron, ha dichiarato che la Russia studierà attentamente le risposte ricevute, dopodiché prenderà la decisione sulle azioni concrete da intraprendere. Putin ha detto che non hanno tenuto conto delle preoccupazioni più importanti della Russia, come il non allargamento della Nato, non installare sistemi offensivi sulle frontiere russe e il ritorno al potenziale militare e alle infrastrutture della Nato in Europa alle posizioni del 1997; inoltre, Putin ha sottolineato che è stato ignorato il punto chiave e cioè come sono intenzionati a seguire il principio, fissato nei documenti basilari dell’OSCE e dell’accordo fra Russia e Nato, sulla indivisibilità della sicurezza, cioè nessuno deve rafforzare la propria sicurezza a spese degli altri.

I media occidentali ieri hanno riportato i particolari della risposta degli Stati Uniti e della Nato alle richieste della Russia, ma i rappresentanti dell’Alleanza Atlantica e i funzionari dell’Amministrazione americana gli hanno notevolmente alleggerito il compito: funzionari non ufficiali hanno organizzato la fuga di notizie, mentre ufficialmente sono intervenuti per avanzare pretese alla Russia. Il solito gioco. Però adesso siamo entrati in una partita lunga, perché non si tratta dell’Ucraina, ma di disegnare un nuovo ordine mondiale, dove, nel caso gli Stati Uniti non se ne siano accorti, non sono più loro a dare le carte, a dettare il gioco e regole. Il mondo unipolare è finito ma gli statunitensi non vogliono accettarlo. I mass media occidentali sostengono tale linea e continuano a mentire scrivendo che le trattative tra Russia-Nato-Usa sono imperniate sulla questione ucraina. Ieri, per illustrare la risposta, il Segretario di Stato americano Anton Blinken all’incontro coi giornalisti ha detto cose insignificanti: “nel documento non ci sono proposte dirette, ma solo alcuni pensieri, alla cui stesura ha preso parte il presidente Biden, ma se la Russia è intenzionata sul serio, possiamo rafforzare la sicurezza collettiva”. 

Oggi ha commentato il ministro degli esteri russo Lavrov. Alla domanda del Capo redattore di Russia Today, Margarita Simonyan, se ci sarà o no la guerra, ha così risposto: “Se dipendesse dalla Russia, le guerre non ci sarebbero, noi non vogliamo la guerra, però non permettiamo di ignorare, né calpestare rozzamente i nostri interessi. Le trattative non sono finite, abbiamo ricevuto solo l’altro ieri la risposta, che è redatta nello “stile occidentale”, su molte cose c’è il tentativo di ingarbugliare la matassa, ma ci sono anche semi razionali ma solo su questioni di secondaria importanza. Di fronte alla risposta della Nato, quella degli Stati Uniti appare un modello di decenza diplomatica! La risposta della Nato è così ideologizzata che trasuda tracotanza da tutti i pori: “esclusività dell’Alleanza Atlantica”, “la Nato possiede un destino speciale, una missione ineguagliabile”. “Nel leggerla, io stesso, – continua Lavrov –, ho provato un po’ di vergogna per chi ha scritto quel testo!”. Mentre pronunciava queste parole, a Lavrov si muovevano le mani come per rappresentare tale “eccezionalità” della Nato. Poi ha aggiunto: “La ‘costruttività’ che c’è nel testo di risposta della Nato – per chiamare le cose col loro nome – è stata presa in prestito dalle iniziative della Russia negli ultimi tempi, ma almeno, come si dice, è già qualcosa. Ma la cosa, principale, essenziale per la Russia, è venire a capo dei fondamenti concettuali sui quali si regge la sicurezza europea. Purtroppo gli Stati Uniti e la Nato cercano di sbarazzarsi delle loro responsabilità”.

Non si tratta solo di irresponsabilità, ma anche di follia della menzogna e idiozia patologica. Il Segretario di Stato Antony Blinken ha scritto oggi di aver avuto “una conversazione proficua con il ministro degli Esteri britannico, Liz Truss, e hanno stabilito l’importanza di coordinare una risposta all’aggressione della Russia sui suoi confini con l’Ucraina”. La portavoce del ministero degli esteri russo, Maria Zakharova ha risposto sarcasticamente. Sarebbe a dire che la Russia ha aggredito, invaso se stessa?
La portavoce della Casa Bianca Jen Psaki :“Per prima cosa dico che l’aggressore è la Russia e per quanto riguarda le minacce dei russi rispondo con la dichiarazione di Blinken che mi è piaciuta: la situazione assomiglia a quella della volpe che minaccia di attaccare le galline nel pollaio perché sente venire da loro la minaccia”.
Che dire della metafora del funzionario Blinken? Gli statunitensi si identificano con i padroni di un pollaio di galline? Una cosa è certa, negli ultimi anni le dichiarazioni dei rappresentanti del potere statunitense sono scese a un livello infimo, dando la cifra del degrado morale dell’Occidente. Oggi Viktoria Nuland ha proposto di far defluire nel gasdotto “vodka” e lo ha definito “un mucchio di metallo sui fondali dell’Oceano”.  Negli USA la Germania viene bollata di essere un “partner inaffidabile”, la “scontentezza” riguarda il non voler stoppare il gasdotto North Stream 2”, nonostante le minacce e la pressione, ma gli alti interessi economici valgono la pena di persistere.

Oggi il presidente ucraino Zelenskij ha ricevuto la tanto attesa telefonata da Biden, ma il risultato del colloquio non è buono. La CNN ha rivelato dei particolari e cioè che Biden sarebbe andato letteralmente su tutte le furie quando ha appreso dal presidente ucraino che questi non crede nell’aggressione di Putin. Biden ha avvisato Zelenskij che “l’invasione è inevitabile e la città di Kiev verrà saccheggiata dai russi”.
Gli statunitensi provano grande delusione per la guerra annunciata che non arriva! Oggi lo speaker del Pentagono, Kirby ha dichiarato che gli Stati Uniti faranno tutto il possibile per rilevare tutti i segnali dell’inevitabile escalation in Ucraina, insomma stanno implorando la guerra, ma Putin non si muove e tace. La Casa Bianca cova chiaramente il piano della guerra e nella spasmodica voglia manda ingenti nuovi aiuti militari, perché – come dicono – “l’Ucraina è la vittima”. Mandare le armi in Ucraina è però prerogativa solo dell’Occidente. 

Il primo vice presidente del Consiglio della Federazione Russa, nonché segretario del Consiglio del Partito “Russia Unita”, ieri ha fatto una dichiarazione importante: “Siamo estremamente preoccupati del fatto che l’Ucraina viene continuamente imbottita di armi letali dall’Occidente, quasi tutti i maggiori paesi Nato lo fanno e in enormi quantità: quest’anno, solo dagli Stati Uniti e Gran Bretagna sono stati compiuti decine e decine di voli in Ucraina, dove sono stati portati complessi missilistici, lanciagranate, armi portatili, mine e molto, molto altro. Ritengo che in tali condizioni, la Russia deve dare aiuto alle due repubbliche di Lugansk e Donetsk, fornendo loro determinati tipi di armi che aumentino la loro capacità di difesa militare, per contenere l’aggressione militare che Kiev ha preparato per il Donbass. Bisogna fermare il regime di Kiev!”.  La reazione degli Stati Uniti è stata molto negativa, hanno dichiarato che la Russia per mandare gli aiuti militari al Donbass, deve prima concordarlo col Consiglio di Sicurezza dell’ONU, altrimenti questo è una violazione del diritto internazionale.

Il Donbass ovviamente non può che gioire dell’aiuto militare: “accetteremo con riconoscenza dalla Federazione Russa qualsiasi aiuto che possa servire a minimizzare i possibili rischi e perdite umane”. Secondo le parole del ministro Lavrov, “Washington usa l’Ucraina, fornendo le armi a Kiev cerca di accendere il conflitto aumentando costantemente la tensione. Gli Stati Uniti, sempre più apertamente e cinicamente, usano a tal punto l’Ucraina contro la Russia che lo stesso regime di Kiev si è spaventato e prova ad abbassare la retorica, e dice di non accendere così la discussione, ancora non c’è bisogno di evacuare le ambasciate; ma chi ha evacuato il personale dalle ambasciate? – dice Lavrov, – gli americani e gli altri, anglosassoni, canadesi e britannici, ciò significa che costoro sanno qualcosa, sanno qualcosa che gli altri non sanno, ne consegue che dobbiamo pensare che anche contro di noi hanno ordito delle provocazioni, sarà il caso che anche noi prendiamo le nostre misure preventive?”.

In pratica, l’enorme compito della pacifica Russia adesso è prevenire la guerra che gli Stati Uniti stanno scatenando in Europa e in Ucraina.

da qui

 

 

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