Quando arrivano
“i nostri”… Note per un giovane che volesse capire le ragioni della crisi
ucraina (e non volesse fare la fine dei nativi americani) –Pasquale Pugliese
La verità deve
prevalere
senza violenza
Lev Tolstoj, Guerra e
pace
Ad un giovane che volesse capire quali
sono le ragioni dei venti di guerra che – pericolosamente e arcaicamente –
soffiano di nuovo nell’Europa dell’est, suggerisco di prenderla apparentemente
alla lontana leggendo, tra le altre cose, qualche pagina del racconto del lungo
viaggio di Alexis de Tocqueville negli Stati Uniti nel 1826 (La democrazia in
America), nelle quali descrive così il modo in cui il governo degli Stati Uniti
ingannava regolarmente i nativi americani: “Quando la popolazione europea
comincia ad avvicinarsi al deserto occupato da una nazione selvaggia, il
governo degli Stati Uniti invia regolarmente a quest’ultima un’ambasciata
solenne; i bianchi radunano gli indiani in una grande pianura e, dopo aver
mangiato e bevuto con loro, dicono: <<In che cosa la contrada in cui
abitate vale più di un’altra? Al di là di queste montagne che vedete
all’orizzonte, al di là di questo lago che delimita ad ovest il vostro
territorio, vi sono vaste contrade, in cui si trovano ancora bestie selvagge in
abbondanza; vendete le vostre terre e andate a vivere felici in quei
luoghi!>> Dopo aver tenuto questo discorso, mostrano agli indiani armi da
fuoco, indumenti di lana, barili di acquavite… Se, alla vista di tutte queste
ricchezze, esitano ancora, si fa loro capire che non possono rifiutare il
consenso che viene loro richiesto (…). Per metà convinti, per metà costretti,
gli indiani si allontanano; vanno ad abitare nuovi luoghi disabitati dove i
bianchi non li lasceranno in pace nemmeno per dieci anni. E’ così che gli
americani acquistano a vile prezzo province intere che i più ricchi sovrani
d’Europa non potrebbero pagare”. Oggi sappiamo com’è andata tragicamente a
finire per i nativi americani: il più grave genocidio della storia
dell’umanità, nonostante l’epopea del “selvaggio west” abbia per decenni
narrato e fatto entrare nell’immaginario di tutti una storia completamente
diversa.
Dopodiché, facendo un salto storico,
inviterei quel giovane ad informarsi su che cosa accadde il 2 e 3 dicembre del
1989 sull’isola di Malta, dove subito dopo l’abbattimento del muro di Berlino si incontrarono
Michail Gorbačëv, segretario generale del partito comunista sovietico, e George
Bush, presidente in carica degli USA, e mutatis mutandis si
realizzò un analogo inganno che è all’origine della pericolosa crisi bellica in
corso dentro e intorno all’Ucraina e alla Russia. Gorbačëv, a quel tempo, aveva
già proceduto unilateralmente allo smantellamento delle strutture militari
della guerra fredda “avviando una sensibile riduzione delle truppe sovietiche
in Europa centrorientale, il ritiro delle sue truppe dall’Afghanistan e dai
territori dell’Asia centrale confinanti con la Cina. Egli creava così le
condizioni perché anche Reagan mutasse la sua agenda politica e militare. Ma il
suo obiettivo non si realizzò” (Giuseppe Vacca, La sfida di Gorbaciov. Guerra e
pace nell’era globale). All’incontro di Malta, il presidente USA successore di
Reagan, sembrò concordare con Gorbačëv “sul fatto che l’Unione Sovietica
dovesse rinunciare a ogni intervento per sostenere gli agonizzanti sistemi
comunisti dell’Est, mentre gli Stati Uniti s’impegnavano a non ricavare alcun
vantaggio strategico dagli sviluppi politici conseguenti alla decisione del
Cremlino”, ossia a non estendere la Nato nell’Europa ad Est (come ricorda, tra
gli altri, Eugenio Di Rienzo, recensendo il libro di Vacca su Nuova rivista
storica, con il titolo significativo Le lacrime amare di Michail Gorbaciov). Di questo accordo
non c’è una formalizzazione scritta ma “fu poi confermato dalle dichiarazioni
del Primo ministro inglese,Margaret Thatcher, del Cancelliere tedesco, Gerhard
Schröder, del Presidente francese,François Mitterrand, e dalla testimonianza
dell’allora ambasciatore statunitense a Mosca, Jack Foust Matlock”. Oltre che
successivamente dallo stesso Gorbačëv – il quale ormai escluso dalla vita
politica russa – si rammaricava del fatto di essere stato “sprovveduto” nel non
aver preteso di mettere nero su bianco le assicurazioni di Bush e prima di lui
del segretario di stato USA James Baker che, dopo l’abbattimento del muro di
Berlino, lo rassicurava sul fatto che se anche la Germania si fosse riunita “la
giurisdizione della Nato non si sarebbe allargata di un pollice verso Oriente”.
Anzi, come ricostruisce Giuseppe Vacca, “il muro di Berlino venne abbattuto con
il consenso di Mosca. Dopo l’incontro fra Helmut Kohl e Gorbaciov, il quale
accoglieva la richiesta che la Germania unita facesse parte della Nato, purché
sul suo territorio non venissero installate testate nucleari, il processo di
riunificazione della Germania era avviato”.
Fatta questa breve ricognizione storica,
oggi quel giovane può costatare che non solo la Nato non si è sciolta – al
contrario di quanto è avvenuto per l’antagonista Patto di Varsavia – ma non ha
rispettato neanche le rassicurazioni fornite a suo tempo a Gorbačëv: anzi anno dopo anno
ha proceduto ad espandersi nell’Europa dell’Est con l’inglobamento progressivo
di Albania, Bulgaria, Croazia, Estonia, Lettonia, Lituania, Macedonia del nord,
Montenegro, Repubblica Ceca, Romania, Slovenia, Slovacchia, Ungheria, ossia
costruendo una nuova “cortina di ferro” intorno alla Russia. Come se non bastasse,
almeno 150 testate nucleari statunitensi sono presenti
sul territorio europeo e di queste un numero imprecisato si trovano nella base
di Buchel in Germania (le altre nelle basi di Kleine Brogel in Belgio, Aviano e
Ghedi-Torre in Italia, Voikel in Olanda e Incirlik in Turchia), tutte puntate
verso la Russia. All’origine della crisi in Ucraina, dunque – che non nasce oggi, ma con il colpo di
stato del 2014, a cui seguirono il referendum pro russo in Crimea, con la
relativa annessione da parte di Mosca, e poi il conflitto in corso nella
regione russofona indipendentista del Donbass – ci sono esattamente i
contraccolpi di questa espansione ad Est della Nato, che ha come prossimo
obiettivo proprio l’ingresso dell’Ucraina, con la prospettiva dei missili
nucleari statunitensi alle porte di Mosca.
Personalmente – rassicuro il giovane che
avrà avuto la pazienza di seguire fin qui l’evoluzione delle cose – non ho
nessuna simpatia per Vladimir Putin e il suo regime autocratico, ma credo che
l’Europa – piuttosto che che fare da scendiletto per le mire espansionistiche
di Washington – dovrebbe promuovere quella che Rete Italiana Pace e Disarmo ha
chiamato neutralità attiva, che per me significa
avere un proprio ruolo politico strategico, ossia sottrarsi all’abbraccio
mortale della Nato, far lavorare la diplomazia con equidistanza, pretendere il
disarmo sul suo territorio a cominciare da quello nucleare, inviare un corpo
civile di pace sul campo per fare interposizione, sostenere i movimenti
pacifisti in Ucraina e in Russia, promuovere l’ingresso sia dell’Ucraina che
della Russia nell’Unione Europea. Invece il nostro Paese – solerte come sempre
nell’ubbidienza atlantica – è già presente ai confini della Russia con armi e armati per 78 milioni di euro, come documenta
l’Osservatorio sulle spese militari italiane. Neanche il tempo di dismettere lo
sciagurato impegno militare in Afghanistan e non resistiamo al richiamo della
foresta. Con il rischio – per tutti, istantaneamente – di fare la fine dei
nativi americani, magari mentre guardiamo, con i popcorn in mano qualche film western,
nel quale aspettiamo che arrivino “i nostri” a salvarci dai…cattivi.
Crisi
Ucraina: il ruolo proattivo dei pacifisti - Alessandro Marescotti
I pacifisti dovrebbero dire no a un
coinvolgimento militare della Nato. La crisi in Ucraina oggi è molto simile
alla crisi di Cuba del 1962. Se ne può uscire con un atto di fiducia reciproca,
smantellando le armi nucleari Usa in Europa in cambio di un impegno a garantire
la sicurezza dell'Ucraina.
La cosa peggiore che potrebbe fare oggi un pacifista è quella di
non occuparsi dell'Ucraina sperando che la crisi si sgonfi da sola.
L'altra cosa sbagliata è quella di non prendere posizione perché è
un tema troppo spinoso e per timore di essere etichettati: troppo vicini a
Putin o troppo vicini alla Nato.
Il nostro ruolo di pacifisti
non è quello di fare da spettatori ma di essere proattivi e di anticipare gli
altri con proposte veramente indipendenti dalle superpotenze.
Non attendiamoci che questo ruolo lo svolgano i partiti politici,
noi siamo più liberi dai condizionamenti.
Siamo noi che dobbiamo decifrare la realtà, sfrondandola dalla sua
scorza propagandistica, e capire cosa è meglio fare nell'interesse della pace,
avendo come primo obiettivo quello di evitare una guerra dalle conseguenze
imprevedibi e comunque devastanti.
I pacifisti dovrebbero essere i primi a dire no a un
coinvolgimento militare europeo anche nel malaugurato caso di invasione dei
carri armati russi in Ucraina. Non vi fu coinvolgimento militare della Nato per
le invasioni di Ungheria o Cecoslovacchia e non è camprensibile perché oggi si
possa pensare di poter condividere posizioni bellicose del tipo: se la Russia
invade l'Ucraina noi dobbiamo entrare in guerra contro la Russia sostenendo
un'azione militare della Nato. Chiariamo
subito che l'Ucraina non fa parte della Nato e pertanto non vale il principio -
previsto dall'articolo 5 del Trattato Nord Atlantico -
secondo cui "un attacco armato contro una o più di esse in Europa o
nell'America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro
tutte le parti" da cui può conseguire "l'uso della forza
armata".
L'Ucraina ha fatto richiesta di entrare della Nato e di avvalersi
quidi di questo formidabile strumento di "legittima difesa". E una
delle ragioni per cui Putin potrebbe accarezzare l'idea (folle e sciagurata) di
un'invasione dell'Ucraina potrebbe risiedere proprio nel tentativo di bloccare
l'adesione dell'Ucraina alla Nato.
Ma attenzione: l'adesione dell'Ucraina alla Nato è subordinata
all'accettazione delle nazioni che aderiscono alla Nato stessa. Basta il "no" di una sola
delle nazioni per fermare l'adesione dell'Ucraina alla Nato. Infatti l'articolo
10 del Trattato Nord Atlantico subordina a un "accordo unanime"
l'adesione di una nuova nazione alla Nato. Anzi, leggendo con
attenzione quell'articolo 10, si può evincere chiaramente che si entra nella
Nato solo se invitati: non basta farne richiesta. E si entra solo se invitati
con "accordo unanime". L'articolo 10 è particolarmente stringente. Da
questo punti di vista ha ragione Putin quando dice che l'adesione dell'Ucraina
alla Nato può essere fermata e ha torto Biden quando dice che non si può
limitare la libertà dell'Ucraina se decide di voler aderire alla Nato. Infatti
il gioco è nelle mani della Nato (e di Biden) e non nelle mani dell'Ucraina: si
entra nella Nato per invito unanime. Basterebbe, ad esempio, che la Germania
dicesse di no e l'Ucraina rimarrebbe fuori della Nato. E' imbarazzante fare un
ripasso delle regole della Nato a chi ha è nella Nato, dimenticando o facendo
finta di dimenticare cosa che è scritto nel Trattato del 1949.
Dopo questa premessa, è bene arrivare alla logiche
conclusioni: se l'Ucraina alla Nato è fonte di grande tensione internazionale,
allora la nostra posizione di pacifisti dovrebbe essere quella di premere sui
governi della Nato perché non invitino l'Ucraina nella Nato.
L'obiezione a questa nostra posizione è prevedibile:
senza inclusione nella Nato l'Ucraina rimarrebbe scoperta militarmente e senza
capacità di difesa da un'invasione russa.
E' ragionevole questa posizione? No. E vediamo perché.
La crisi ucraina è infatti molto simile alla crisi di Cuba del 1962.
Cuba era minacciata (gli Usa avevano tentato
un'invasione) e chiese all'Urss i missili per proteggersi. Cuba si
sentì minacciata e reagì. Anche gli Stati Uniti si sentirono a loro volta
minacciati e reagirono, mettendo in atto un embargo navale che violava il
diritto internazionale. La similitudine con l'Ucraina, anche se a parti
politicamente inverse, è impressionante (anche se va detto che nessuno a oggi
ha documentato un piano di invasione russa, mentre quello americano ai tempi di
Fidel Castro e di Che Guevara, era confermato).
Una Cuba integrata militarmente nell'alleanza sovietica era
percepita come destabilizzante e Kennedy fu fermo nel bloccare questo, molto di
più di quanto non abbia fatto Putin fin qui. Oggi Putin fa come Kennedy al
tempo della crisi di Cuba.
A rileggere oggi la crisi di Cuba del 1961, mondata da ogni
sovraccarico ideologico e da ogni passione dei tempi che furono, ci si rende
conto che non c'erano buoni o cattivi, ma c'erano due opposte esigenze di
sicurezza che andavano entrambe tutelate.
Non c'erano buoni e cattivi allora così come non ci sono buoni e
cattivi oggi. Ci sono ragioni geopolitiche che vanno comprese. Vorremmo avere
ai nostri confini una nazione ostile e per di più alleata con altre nazioni a
noi ostili? È così difficile capire? Così come Kennedy non voleva a Cuba una
minaccia militare, così Putin oggi non vuole avere una minaccia Nato ai
confini, con l'Ucraina che scalpita per riconquistarsi i territori che hanno
dichiarato l'indipendenza sotto la spinta dei filorussi.
C'è una sola cosa da fare oggi:
evitare la guerra, così come venne fatto nel 1961. E per evitare la guerra
occorre che l'Ucraina non entri nella Nato. Ovviamente questa non inclusione dell'Ucraina nella Nato
deve essere contrattata con una parallela inclusione
dell'Ucraina in un sistema di sicurezza che preveda il distanziamento, ad
esempio, di tutte le minacce militari, creando una zona di pace in
cui gli osservatori internazionali garantiscano il costante monitoraggio della
situazione, sviluppando al massimo il dialogo e la risoluzione nonviolenta dei
conflitti insieme alla società civile. Quest'approccio è l'esatto opposo alle
ambizioni pro-Nato dell'Ucraina ma è anche particolarmente forte nel mettere
alla prova la buona fede di Putin quando dice che non è sua intenzione avviare
un'invasione dell'Ucraina.
L'approccio dei pacifisti alla
crisi deve partire sempre dal fatto che è nostro compito saper comprendere le
esigenze sicurezza del nostro avversario perché - a ben vedere - sono anche le
nostre, e non possiamo rivendicare la nostra sicurezza senza farci carico della
sicurezza dell'avversario.
Occorre dire no alla guerra,
anche se fosse una guerra per i "buoni".
O occorre dire no anche a forniture di armi all'Ucraina, così come
ventilata da autorevoli esponenti ei verdi tedeschi.
Perché in una guerra di questo tipo i "buoni" non
esistono (si veda il filmato sull'"istruttore americano", in coda a
questa pagina web, che documenta infiltrazioni
segrete nella rivolta di piazza Maidan del 2014 a Kiev).
Uso questo termine - "buoni" - sempre per semplificare e
in modo provocatorio. Nella storia si è sempre fatto la guerra per aiutare i
"buoni". Non nascondiamocelo: questa è la trappola in cui rischiamo
di cadere tutti. E il silenzio dei pacifisti, di noi pacifisti, sarebbe grave
in questo momento. Se ci perdiamo
alla ricerca dei "buoni" e dei "cattivi" (fermo restando il
fatto che i neonazisti in Ucraina non sono affatto "buoni" e sono una
minaccia anche per l'Italia) perdiamo tempo alla scelta della parte giusta per
cui tifare. Come nella crisi di Cuba, con l'intervento anche di
papa Giovanni XXIII, oggi occorre affermare l'imperativo prioritario della
pace, scollegando questo imperativo da altri imperativi molto importanti (come
la difesa dei diritti umani e della democrazia) che vanno giocati sui terreni
della nonviolenza e non della deterrenza militare. Le condizioni odierne e il
panorama internazionale oggi consentono di tenere assieme pace, sicurezza e
diritti umani senza ricorrere alla guerra e senza inasprire il confronto con un
pericoloso pocker in cui ognuno tiene coperte le sue carte. Occorre invece
giocare a carte scoperte.
Sono preoccupato di una posizione attendista del
movimento pacifista. Dobbiamo essere proattivi. La pace deve fare la sua prima mossa,
prima che la faccia la guerra. Dobbiamo dire forte ciò che
NON si deve fare in questa situazione critica. E ciò che non si deve fare oggi
è includere l'Ucraina nella Nato o in una vendita di armi
"difensive".
I "buoni" sono quelli dell'Ucraina? Secondo la Nato
sì. Ma vendere le armi ai "buoni" manda in soffitta definitivamente
il criterio base della legge 185/1990 sul commercio delle armi che vieta la
vendita di armi a tutti i paesi in conflitto. Quella legge non dice di "vendere
le armi ai buoni e non venderle ai cattivi". Occorre tirare le orecchie a
quei verdi tedeschi che sembrano andare nella direzione opposta.
Noi, se siamo liberi mentalmente dalla Nato e da Putin, siamo in
grado di essere più credibili di chi invece deve mediare per ragioni politiche,
per ragioni di consenso, per ragioni di sottomissione all'alleato più potente o
per semplice conformismo.
Occorre un'informazione presente sul campo, che sia formata da
giornalisti indipendenti. Oggi le notizie sono poche, filtrate e spesso
inattendibili.
Lo spirito di Gorbaciov, che disinnescò la guerra fredda facendo
lui il primo passo del disarmo, dovrebbe ritornare in campo, mettendo la parte
la prova moscolare attuale. Chi abbandona il braccio di ferro - come fece
Gorbaciov - è oggi il vero vincitore. E lo sarebbe anche il movimento pacifista
se sapesse porre sul piatto la richiesta di smantellamento delle armi nucleari in Europa come
contropartita per ottenere da Putin un impegno a lungo termine di pace per
l'Ucraina. Piuttosto che usare il bastone, occorre usare la carota, e la
ragguardevole carota dello smantellanento delle armi nucleari dall'Italia, dalla
Germania e da altre basi militari europee sarebbe sicuramente un contratto di
mutua collaborazione fra USA e Russia che includerebbe come contropartita la
garanzia della sicurezza dell'Ucraina. Se solo Biden sapesse seguire lo spirito
di Gorbaciov che - facendo il primo passo - portò a un nuovo sistema di
sicurezza basato sul disarmo nucleare.
Da questa crisi si può uscire con un atto di
fiducia reciproca: smantellando le armi nucleari Usa in Europa in cambio di un
impegno a garantire la sicurezza dell'Ucraina. Come
avvenne nel 1961. Gli Stati Uniti rinunciarono a un'invasione di Cuba in cambio
della rinuncia all'installazione dei missili a Cuba, e per di più Kennedy
ritirò i missili Jupiter dalla Puglia e
dalla Turchia. Così si risolvono le crisi, ma a distanza di sessanta anni ci si
dimentica di tutti e si continua a pensare che le prove muscolari
servano.
Noi pacifisti siamo liberi mentalmente, abbiamo memoria storica
se lo vogliamo, e siamo la voce della pace. Facciamola sentire prima che i
leader declamino le loro smanie di potenza o che - peggio ancora - i cannoni e
i cingolati facciano sentire il loro frastuono.
Noi pacifisti abbiamo oggi un alleato di grande prestigio: Papa
Francesco. Oggi abbiamo il privilegio di
averlo accanto, a calcare le orme profetiche di Papa Giovanni. Se un
seguito dovrò scegliere, non sceglierò la Nato, non sceglierò Putin, ma da
laico sceglierò di andare al seguito di papa Francesco. In nome della pace.
https://www.peacelink.it/pace/a/48943.html
Crisi Ucraina,
l’incredibile guerra di propaganda contro la Russia - Giulio Chinappi
Le guerre del XXI secolo hanno a disposizione un’arma potentissima, quella dei mass media. Sebbene la propaganda esistesse già nel secolo scorso, i social network e la rete Internet, che sono andati ad aggiungersi ai mezzi di informazione più tradizionali, hanno amplificando a dismisura le potenzialità di quest’arma, che quasi sempre viene rivolta contro i Paesi non allineati con il progetto di ordine mondiale a guida egemonica statunitense.
Una delle principali vittime di questa guerra della disinformazione è
certamente la Russia, contro la quale vengono continuamente
diffuse notizie totalmente false o per lo meno non verificate, con l’unico fine
di alimentare un’opinione pubblica negativa nei riguardi di quel Paese.
Lo stesso è stato fatto in passato nei confronti di Paesi contro i quali
poi è stata dichiarata guerra (Iraq, Afghanistan, Libia, Siria), giustificando
in questo modo l’intervento armato agli occhi dell’opinione pubblica
occidentale.
Con questo non stiamo dicendo che presto le potenze NATO dichiareranno
con certezza guerra alla Russia, ma sicuramente questi elementi forniranno una
giustificazione qualora questo dovesse avvenire.
Nelle ultime settimane, i media al servizio dell’imperialismo hanno
bombardato i propri ascoltatori e lettori con notizie totalmente infondate
circa la volontà della Russia di invadere l’Ucraina.
Questo è avvenuto quando la Russia, in risposta alle continue provocazioni
occidentali e alle minacce di Kiev di invadere il
territorio delle repubbliche popolari del Donbass in
violazione degli accordi di Minsk, ha schierato le proprie truppe
lungo il confine occidentale, senza però mai varcare i confini della
Federazione.
I media e i governi occidentali, soprattutto quello degli Stati Uniti,
hanno affermato di avere informazioni “certe” circa la volontà della Russia di
passare all’attacco. Dopo aver annunciato l’attacco (sempre dato per “certo”)
prima a dicembre e poi a gennaio, Washington ha dichiarato di
avere gli elementi per affermare che Mosca pianificasse di passare
all’offensiva a metà febbraio, in corrispondenza dei Giochi Olimpici di
Pechino 2022.
Questo nonostante il governo russo abbia smentito tutto a più riprese, e
nonostante addirittura il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj abbia
dichiarato apertamente che non ci fosse nessuna minaccia imminente da parte
della Russia contro il suo Paese!
Gli USA ed i loro fidi vassalli europei, invece, hanno tutto l’interesse a
far credere al mondo che la Russia rappresenti una minaccia imminente, e questo
per diversi motivi: innanzi tutto, in questo modo possono facilmente
giustificare l’ingente flusso di armi che continua a verificarsi con
destinazione Kiev; in secondo luogo, possono giustificare le continue sanzioni
imposte unilateralmente contro Mosca, che altrimenti non avrebbero nessuna ragione
di essere; infine, nel caso in cui dovesse malauguratamente scoppiare un
conflitto armato diretto, l’opinione pubblica sarebbe già preparata ad
accettarlo come un fatto inevitabile e giustificato.
I mass media occidentali si stanno facendo prendere la mano dal gusto di
attaccare la Russia, a tal punto che qualcuno ha deciso di annunciare l’inizio
della guerra. Nel pomeriggio di venerdì 4 febbraio, il sito web di Bloomberg, una
delle massime multinazionali dell’informazione mondiale, ha pubblicato una presunta
“diretta” dell’invasione russa dell’Ucraina.
La fake news, il cui link rimandava ad una pagina vuota, è rimasta
online per circa mezz’ora, e certamente è stata letta da migliaia di persone,
considerando anche l’orario pomeridiano.
Bloomberg, in risposta, ha affermato che si è trattato solo di un “errore”.
Come può trattarsi di un errore? Errore può essere scrivere una parola in luogo
di un’altra, non pubblicare un titolo privo di ogni fondamento, oltretutto
lasciandolo online così a lungo.
La giustificazione ufficiale afferma anche la testata “prepara titoli
per ogni scenario possibile, e uno di questi è stato inavvertitamente pubblicato”.
Ma un titolo banale come “Russia invades Ukraine” può essere scritto in
un paio di secondi, senza bisogno di “prepararlo” in anticipo.
Dobbiamo quindi dedurne due opzioni, che non si escludono a vicenda. La
prima è che il titolo sia stato pubblicato volontariamente per sondare
l’opinione pubblica, analizzando le reazioni sui social o su altri mass media.
Non dimentichiamo, infatti, che spesso Bloomberg è una fonte d’informazione
primaria, e che testate di portata mondiale come il New York Times o USA
Today riprendono con frequenza le notizie di Bloomberg.
La seconda è che i media al servizio dell’imperialismo nordamericano
abbiano già confezionato non solo il titolo, bensì un’intera storia
prefabbricata da vendere all’opinione pubblica qualora dovesse scoppiare un
conflitto lungo il confine russo-ucraino – addossando naturalmente tutte le
colpe alla Russia.
Alcune testate, come il Washington Post e il New York Times,
hanno diffuso anche la fake news secondo cui la Russia starebbe
preparando dei video falsi per dimostrare un attacco ucraino contro la
popolazione civile del Donbass – sempre al fine di dare luogo ad una guerra.
Nel giro di poche ore, attraverso i social, la notizia falsa si è
trasformata, e ora molte persone credono che la Russia non solo abbia
preparato, ma abbia effettivamente diffuso tale video, che però nessuno ha mai
visto. Alla fake news è stato dato un risalto tale che il ministro
degli Esteri russo, Sergej Lavrov, è dovuto intervenire in prima persona
per smentire il tutto.
Nel frattempo, sempre nell’ambito di questa guerra dei mass media, la
Germania ha deciso di bandire la televisione RT DE, la versione tedesca di
un network televisivo di proprietà del governo russo.
Ciò, naturalmente, al fine di non permettere la diffusione di versioni dei
fatti diverse da quelle propinate dagli altri mass media, indipendentemente
dalle ragioni ufficiali che sono state presentate.
In risposta, la Russia ha deciso di chiudere la sede moscovita della
testata tedesca Deutsche Welle, come confermato dalla portavoce del
ministero degli Esteri, Marija Zacharova.
Crisi Russia e
Ucraina, cosa sta succedendo al di là delle semplificazioni - Oleksiy Bondarenko
Di Russia si parla spesso per
stereotipi con immancabile focus sul suo presidente, Vladimir Putin, o lo ‘zar’
come viene spesso definito dalla stampa. Immancabile anche il riferimento alle sue presunte intenzioni
(ricostituire l’Unione Sovietica), alla sua nostalgia per il passato imperiale
e al suo essere un ex agente dei servizi segreti come segno distintivo della
sua intrinseca malevolenza. Il difetto di molte analisi della politica estera
russa è anche frutto di questa semplificazione di dinamiche complesse e spesso
contraddittorie, oltre all’inevitabile pregiudizio cognitivo di chi scrive. Le
ultime settimane sono state caratterizzate infatti
da una crescente serie di speculazioni circa l’imminente invasione russa
dell’Ucraina, fatte filtrare spesso da fonti vicine all’amministrazione americana e
basate su dati di dubbia natura, che hanno alimentato un
clima di tensione spesso irrazionale. Ieri, ad esempio, il Regno Unito ha fatto filtrare la notizia che la
Russia starebbe tramando per mettere in Ucraina un presidente pro-Russia, ma
senza fornire evidenze. La notizia è stata smentita dal Cremlino e bollata come
disinformazione. Questa visione stereotipata e semplificata restituisce un’immagine
parziale e distorta non solo dei fatti che caratterizzano l’acutizzarsi della
crisi tra Russia e Ucraina, quanto delle origini, complessità e problematiche
delle quali l’attuale conflitto è sintomo.
Cosa sta succedendo?
L’acutizzarsi della crisi tra
Russia e Ucraina e la postura di Mosca che appare sempre più minacciosa, è solo
l’episodio più recente di un conflitto, quello in Donbass (regione nella parte
orientale dell’Ucraina) che va avanti da quasi otto anni, ma che affonda le
proprie radici nel più ampio quadro di relazioni tra Mosca e Washington.
Secondo le fonti provenienti inizialmente dall’intelligence americana e poi confermate
dalle immagini satellitari a partire da fine
ottobre la Russia avrebbe mobilitato circa 100.000 soldati, dislocati, insieme
ad armamenti di vario tipo, lungo i confini con l’Ucraina. Le continue voci di
una possibile invasione, fatte circolare dagli stessi servizi americani, non
hanno per ora avuto riscontro ma hanno contribuito ad innalzare ulteriormente
la tensione tra Mosca, Kiev e gli alleati occidentali. Mentre l’Ucraina ha
mobilitato sin da subito nuove truppe lungo il confine con la Bielorussia, la
Russia dal canto suo ha condotto una serie di esercitazioni militari nel Mar
Nero, pianificandone altre per febbraio
congiuntamente alla Bielorussia, paese che non confina solo con l’Ucraina, ma
anche con Polonia, Lituania e Lettonia, quest’ultimi membri della NATO.
Il Cremlino ha continuato a giustificare il
riorientamento di truppe e mezzi verso il suo confine occidentale come una
mossa difensiva, la risposta all’avvicinamento dell’Alleanza Atlantica verso i
propri confini e il crescente sostegno politico e militare da parte degli Stati
Uniti e partner europei nei confronti di Kiev. Infatti, la nuova
amministrazione Biden (a giugno) aveva autorizzato un nuovo pacchetto di
aiuti pari a 150 milioni di dollari che comprende, tra le altre cose, il
dispiegamento di personale militare per l’addestramento delle truppe ucraine.
Durante la visita del Ministro della Difesa americano a Kiev in ottobre,
invece, Washington aveva rimarcato il fermo sostegno
all’ingresso dell’Ucraina nelle strutture della NATO, un tasto da sempre
dolente per Mosca. Non a caso, proprio a ottobre la Russia aveva già sospeso la
sua missione di rappresentanza presso la NATO, ultimo canale di dialogo rimasto
in piedi dopo la sospensione della cooperazione nel 2014 in seguito
all’annessione della Crimea. Con il recente innalzamento della temperatura, Stati Uniti e Gran Bretagna hanno solo accelerato la
loro fornitura di armi e mezzi all’Ucraina, promettendo al contempo dure
sanzioni in caso di invasione.
Le cause di quello che sembra un
circolo vizioso fatto di accuse e di minacce reciproche sono molteplici e intrecciate
tra loro. Da una parte vi è lo stallo del processo negoziale volto a risolvere
l’attuale conflitto in Donbass, mentre dall’altra nel mirino ci sono le
relazioni tra Russia e Stati Uniti e una più ampia riconfigurazione del ruolo
della NATO sul continente europeo. Il tutto inserito in una spirale di
crescente sfiducia nella quale i negoziati stanno andando avanti senza portare,
per ora, risultati tangibili.
Il problema del conflitto in Donbass
Una delle cause della crescente
tensione tra Russia e Ucraina va ricercata nello stallo che ha caratterizzato
il processo negoziale relativo al conflitto nella regione orientale
dell’Ucraina, il Donbass. Anche se la Russia ha sempre negato il proprio
coinvolgimento e, ufficialmente, non è una delle parti belligeranti, il suo
intervento e il sostegno militare ed economico alle autoproclamante repubbliche
separatiste è stata una variabile fondamentale nel conflitto in atto dal 2014.
Mosca, inoltre, insieme a Kiev, Berlino e Parigi, rimane il principale attore sul
tavolo negoziale (il cosiddetto processo di Minsk) nonché il ‘rappresentante’
delle regioni separatiste. La finestra di opportunità che sembrava aprirsi dopo l’elezione di Volodymyr Zelensky come
nuovo presidente ucraino, considerato dal Cremlino come una figura più
malleabile, si è però ben presto chiusa. La Russia continua a insistere su un
rigoroso rispetto degli accordi di Minsk siglati nel 2015 che prevedono la
concessione di uno status speciale alle regioni separatiste, le elezioni locali
e, solo dopo, il ritorno del controllo di Kiev sul confine tra Ucraina e
Russia. Posizione questa che appare inaccettabile per il presidente ucraino che
ha vincolato ogni apertura al ristabilimento del controllo sul confine.
A scompigliare le carte sul
tavolo ci hanno pensato anche le mutevoli dinamiche della politica ucraina. In
due anni da presidente Zelensky ha dissipato buona parte del suo capitale
politico, finendo per distanziarsi dalla parziale apertura nei confronti di
Mosca sulla quale aveva impostato la campagna elettorale nel 2019.
Ripercorrendo le orme del suo predecessore, per recuperare consensi interni
Zelensky ha così virato sul fronte nazionalista interno e sul consueto sostegno
delle potenze occidentali. La nuova dottrina strategica, approvata a inizio
2021, infatti, si focalizza “sull’aggressione russa”
riproponendo le aspirazioni dell’ingresso nella NATO come il perno centrale
della politica estera e militare. Un cambio di strategia piuttosto evidente per
il presidente ucraino che della pace in Donbass - anche a costo di rinunce
dolorose - aveva fatto inizialmente il perno programmatico del suo mandato.
La questione NATO e i rapporti USA-Russia
Più in generale però, l’attuale
crisi è anche il sintomo della globale instabilità del sistema internazionale
causato dal lento declino del momento unipolare guidato dagli Stati Uniti.
Potrebbe essere proprio questa una delle possibili chiavi di lettura per
interpretare l’attuale assertività di Mosca lungo il confine ucraino. A metà
dicembre, infatti, il Cremlino ha pubblicato una serie di richieste
indirizzate a Stati Uniti e NATO. Si parla, tra le altre cose, del ritiro delle
truppe NATO dai paesi che si sono uniti all’alleanza dopo il 1997 (leggasi
Europa dell’est) e di una rinuncia ufficiale a ogni ulteriore espansione
(leggasi Ucraina e Georgia). Richieste che a prima vista possono sembrare
irrazionali, provocatorie e inaccettabili, ma che in verità affondano le radici
in tre decenni di errori e malintesi nei rapporti tra Stati Uniti e Russia.
Come sottolineato dalla storica
americana Mary Elise Sarotte in un suo recente libro (“Not One Inch:
America, Russia, and the Making of the Cold War Stalemate”), sin dalla seconda
metà degli anni ‘90 l’élite politica russa ha condiviso un senso di
‘tradimento’ da parte degli Stati Uniti. Il motivo è da ricercare nelle
promesse fatte all’alba della fine della guerra fredda, volte a rassicurare la
leadership russa e sovietica che il crollo della cortina di ferro non avrebbe
portato all’espansione della NATO verso est. Promesse che non sono mai state
messe per iscritto, quindi ufficialmente mai esistite, ma il retaggio delle
quali ha contribuito ad accrescere, anche se spesso in maniera irrazionale, il
senso di minaccia e accerchiamento da parte della leadership russa. Sul tavolo
oggi non c’è quindi solo la situazione lungo il confine tra Russia e Ucraina,
ma anche le numerose divergenze sull’asse Mosca-Washington. La Russia, infatti,
porta in dote un senso di esclusione dovuto al fatto che i contorni della
sicurezza europea e del ruolo della NATO sul continente dopo la fine della
guerra fredda siano stati definiti senza la sua partecipazione e, come dicono
al Cremlino, senza tenere in considerazione i suoi interessi strategici.
Diplomazia
coercitiva e il "trilemma" impossibile
Quello che vediamo oggi è quindi
un esercizio di ‘diplomazia coercitiva’ da parte di
Mosca, con l’utilizzo della pressione militare per costringere gli americani al
dialogo e per poter alzare la posta al tavolo negoziale. Una tattica non nuova,
visto che già lo scorso aprile le truppe russe lungo il confine con l’Ucraina
avevano costretto il presidente americano, Joe Biden, a organizzare un incontro ufficiale con la controparte
russa, aprendo uno spiraglio di dialogo su temi come cybersecurity, rapporti
strategici e il conflitto in Donbass. Questa volta però la posta in gioco
sembra molto più alta, visto che le richieste di Mosca puntano a una revisione
massiccia dell’architettura europea in materia di sicurezza.
Non a caso, quelle appena
trascorse sono state un paio di settimane diplomatiche molto intense. Una
partita difficile resa ancora più complessa dal fatto che Mosca giochi tenendo
una pistola in mano. Nel giro di pochi giorni i rappresentanti di Stati Uniti e
Russia si sono prima incontrati a Ginevra, tenendo poi il vertice Russia-NATO a Vienna. Il tutto è finito con il meeting del 21 gennaio tra Sergei Lavrov
- il ministro degli esteri russo - e Antony Blinken - la controparte americana
- che entrambi hanno definito come un incontro ‘franco’ ma che non ha portato a
nessun reale passo avanti. La Russia continua ad aspettare una risposta
ufficiale da parte della NATO alle proposte avanzate lo scorso dicembre, mentre
i vertici dell’Alleanza hanno più volte ripetuto che né il ritorno alla realtà
pre-1997, né uno stop ufficiale ad un futuro allargamento sono punti sui quali
ci sia margine di dialogo. La situazione di stallo sembra infatti la
riproposizione del classico ‘trilemma impossibile’. Una situazione in cui
il successo negoziale non può essere raggiunto soddisfacendo gli interessi
minimi di tutte e tre parti coinvolte, la Russia, Stati Uniti (e alleati
europei) e l’Ucraina.
Per tutta una serie di motivi e
fatti oggettivi, quindi, l’invasione dell’Ucraina per ora non sembra tra le
reali intenzioni del Cremlino. La strategia della ‘diplomazia coercitiva’ non
può però funzionare ancora a lungo. Il rischio è quello di alzare la tensione
oltre al punto di rottura, alimentando scelte non razionali da ambo le parti e
trasformando una crisi in un vero e proprio conflitto. La soluzione diplomatica
rimane ancora un’opzione possibile e di certo auspicabile, magari virando il
dialogo su punti a prima vista secondari, come un accordo per limitare le
esercitazioni militari condotte da ambo le parti in Europa dell’est o la
limitazione del dispiegamento di missili a breve e media gittata sul
continente. Il tempo però comincia a stringere, anche se molte cose saranno
presto più chiare. Fonti del Dipartimento di Stato statunitense avrebbero raccomandato di ridurre il
personale non essenziale dell'ambasciata a Kiev. Anche il Regno Unito ha
comunicato il ritiro dei diplomatici e delle loro famiglie da Kiev. L'UE non sta seguendo USA e UK perché
"non c'è motivo di drammatizzare la situazione mentre i colloqui con la
Russia sono ancora in corso". La risposta ufficiale della NATO è attesa
nei prossimi giorni e da essa si potrà forse capire quali carte sono ancora
rimaste da giocare.
https://www.valigiablu.it/russia-ucraina-usa-crisi
USA, Russia, Ucraina - Marinella Mondaini
Il grande il compito della Russia oggi è quello di fermare la guerra che
gli statunitensi stanno scatenando.
Stati Uniti e Nato hanno consegnato la risposta alla Russia, non hanno
alcuna intenzione di retrocedere dalla politica delle “porte aperte”, ci hanno
messo un mese e mezzo per rispondere “no” alle richieste più importanti. Sulle
questioni minori hanno lanciato un segnale positivo di dialogo e
collaborazione. Ma non è questo che interessa la Russia, ciò che importa è che
l’Occidente non ha alcuna intenzione di parlare di garanzie di sicurezza per la
Russia. Oggi Putin nella conversazione telefonica che ha tenuto con il
presidente francese Macron, ha dichiarato che la Russia studierà attentamente
le risposte ricevute, dopodiché prenderà la decisione sulle azioni concrete da
intraprendere. Putin ha detto che non hanno tenuto conto delle preoccupazioni
più importanti della Russia, come il non allargamento della Nato, non
installare sistemi offensivi sulle frontiere russe e il ritorno al potenziale
militare e alle infrastrutture della Nato in Europa alle posizioni del 1997;
inoltre, Putin ha sottolineato che è stato ignorato il punto chiave e cioè come
sono intenzionati a seguire il principio, fissato nei documenti basilari
dell’OSCE e dell’accordo fra Russia e Nato, sulla indivisibilità della
sicurezza, cioè nessuno deve rafforzare la propria sicurezza a spese degli
altri.
I media occidentali ieri hanno riportato i particolari della risposta degli
Stati Uniti e della Nato alle richieste della Russia, ma i rappresentanti
dell’Alleanza Atlantica e i funzionari dell’Amministrazione americana gli hanno
notevolmente alleggerito il compito: funzionari non ufficiali hanno organizzato
la fuga di notizie, mentre ufficialmente sono intervenuti per avanzare pretese
alla Russia. Il solito gioco. Però adesso siamo entrati in una partita lunga,
perché non si tratta dell’Ucraina, ma di disegnare un nuovo ordine mondiale,
dove, nel caso gli Stati Uniti non se ne siano accorti, non sono più loro a
dare le carte, a dettare il gioco e regole. Il mondo unipolare è finito ma gli
statunitensi non vogliono accettarlo. I mass media occidentali sostengono tale
linea e continuano a mentire scrivendo che le trattative tra Russia-Nato-Usa
sono imperniate sulla questione ucraina. Ieri, per illustrare la risposta, il
Segretario di Stato americano Anton Blinken all’incontro coi giornalisti ha
detto cose insignificanti: “nel documento non ci sono proposte dirette, ma solo
alcuni pensieri, alla cui stesura ha preso parte il presidente Biden, ma se la
Russia è intenzionata sul serio, possiamo rafforzare la sicurezza collettiva”.
Oggi ha commentato il ministro degli esteri russo Lavrov. Alla domanda del
Capo redattore di Russia Today, Margarita Simonyan, se ci sarà o no la guerra,
ha così risposto: “Se dipendesse dalla Russia, le guerre non ci sarebbero, noi
non vogliamo la guerra, però non permettiamo di ignorare, né calpestare
rozzamente i nostri interessi. Le trattative non sono finite, abbiamo ricevuto
solo l’altro ieri la risposta, che è redatta nello “stile occidentale”, su
molte cose c’è il tentativo di ingarbugliare la matassa, ma ci sono anche semi
razionali ma solo su questioni di secondaria importanza. Di fronte alla
risposta della Nato, quella degli Stati Uniti appare un modello di decenza
diplomatica! La risposta della Nato è così ideologizzata che trasuda tracotanza
da tutti i pori: “esclusività dell’Alleanza Atlantica”, “la Nato possiede un
destino speciale, una missione ineguagliabile”. “Nel leggerla, io stesso, –
continua Lavrov –, ho provato un po’ di vergogna per chi ha scritto quel
testo!”. Mentre pronunciava queste parole, a Lavrov si muovevano le mani come
per rappresentare tale “eccezionalità” della Nato. Poi ha aggiunto: “La
‘costruttività’ che c’è nel testo di risposta della Nato – per chiamare le cose
col loro nome – è stata presa in prestito dalle iniziative della Russia negli
ultimi tempi, ma almeno, come si dice, è già qualcosa. Ma la cosa, principale,
essenziale per la Russia, è venire a capo dei fondamenti concettuali sui quali
si regge la sicurezza europea. Purtroppo gli Stati Uniti e la Nato cercano di
sbarazzarsi delle loro responsabilità”.
Non si tratta solo di irresponsabilità, ma anche di follia della menzogna e
idiozia patologica. Il Segretario di Stato Antony Blinken ha scritto oggi di
aver avuto “una conversazione proficua con il ministro degli Esteri britannico,
Liz Truss, e hanno stabilito l’importanza di coordinare una risposta
all’aggressione della Russia sui suoi confini con l’Ucraina”. La portavoce del
ministero degli esteri russo, Maria Zakharova ha risposto sarcasticamente.
Sarebbe a dire che la Russia ha aggredito, invaso se stessa?
La portavoce della Casa Bianca Jen Psaki :“Per prima cosa dico che l’aggressore
è la Russia e per quanto riguarda le minacce dei russi rispondo con la
dichiarazione di Blinken che mi è piaciuta: la situazione assomiglia a quella
della volpe che minaccia di attaccare le galline nel pollaio perché sente
venire da loro la minaccia”.
Che dire della metafora del funzionario Blinken? Gli statunitensi si
identificano con i padroni di un pollaio di galline? Una cosa è certa, negli
ultimi anni le dichiarazioni dei rappresentanti del potere statunitense sono
scese a un livello infimo, dando la cifra del degrado morale dell’Occidente.
Oggi Viktoria Nuland ha proposto di far defluire nel gasdotto “vodka” e lo ha
definito “un mucchio di metallo sui fondali dell’Oceano”. Negli USA
la Germania viene bollata di essere un “partner inaffidabile”, la
“scontentezza” riguarda il non voler stoppare il gasdotto North Stream 2”,
nonostante le minacce e la pressione, ma gli alti interessi economici valgono
la pena di persistere.
Oggi il presidente ucraino Zelenskij ha ricevuto la tanto attesa telefonata
da Biden, ma il risultato del colloquio non è buono. La CNN ha rivelato dei
particolari e cioè che Biden sarebbe andato letteralmente su tutte le furie
quando ha appreso dal presidente ucraino che questi non crede nell’aggressione
di Putin. Biden ha avvisato Zelenskij che “l’invasione è inevitabile e la città
di Kiev verrà saccheggiata dai russi”.
Gli statunitensi provano grande delusione per la guerra annunciata che non
arriva! Oggi lo speaker del Pentagono, Kirby ha dichiarato che gli Stati Uniti
faranno tutto il possibile per rilevare tutti i segnali dell’inevitabile
escalation in Ucraina, insomma stanno implorando la guerra, ma Putin non si
muove e tace. La Casa Bianca cova chiaramente il piano della guerra e nella
spasmodica voglia manda ingenti nuovi aiuti militari, perché – come dicono –
“l’Ucraina è la vittima”. Mandare le armi in Ucraina è però prerogativa solo
dell’Occidente.
Il primo vice presidente del Consiglio della Federazione Russa, nonché
segretario del Consiglio del Partito “Russia Unita”, ieri ha fatto una
dichiarazione importante: “Siamo estremamente preoccupati del fatto che
l’Ucraina viene continuamente imbottita di armi letali dall’Occidente, quasi
tutti i maggiori paesi Nato lo fanno e in enormi quantità: quest’anno, solo
dagli Stati Uniti e Gran Bretagna sono stati compiuti decine e decine di voli
in Ucraina, dove sono stati portati complessi missilistici, lanciagranate, armi
portatili, mine e molto, molto altro. Ritengo che in tali condizioni, la Russia
deve dare aiuto alle due repubbliche di Lugansk e Donetsk, fornendo loro
determinati tipi di armi che aumentino la loro capacità di difesa militare, per
contenere l’aggressione militare che Kiev ha preparato per il Donbass. Bisogna
fermare il regime di Kiev!”. La reazione degli Stati Uniti è stata
molto negativa, hanno dichiarato che la Russia per mandare gli aiuti militari
al Donbass, deve prima concordarlo col Consiglio di Sicurezza dell’ONU,
altrimenti questo è una violazione del diritto internazionale.
Il Donbass ovviamente non può che gioire dell’aiuto militare: “accetteremo
con riconoscenza dalla Federazione Russa qualsiasi aiuto che possa servire a
minimizzare i possibili rischi e perdite umane”. Secondo le parole del ministro
Lavrov, “Washington usa l’Ucraina, fornendo le armi a Kiev cerca di accendere
il conflitto aumentando costantemente la tensione. Gli Stati Uniti, sempre più
apertamente e cinicamente, usano a tal punto l’Ucraina contro la Russia che lo
stesso regime di Kiev si è spaventato e prova ad abbassare la retorica, e dice
di non accendere così la discussione, ancora non c’è bisogno di evacuare le
ambasciate; ma chi ha evacuato il personale dalle ambasciate? – dice Lavrov, –
gli americani e gli altri, anglosassoni, canadesi e britannici, ciò significa
che costoro sanno qualcosa, sanno qualcosa che gli altri non sanno, ne consegue
che dobbiamo pensare che anche contro di noi hanno ordito delle provocazioni,
sarà il caso che anche noi prendiamo le nostre misure preventive?”.
In pratica, l’enorme compito della pacifica Russia adesso è prevenire la
guerra che gli Stati Uniti stanno scatenando in Europa e in Ucraina.
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