Quella che viene potrebbe essere l’ultima primavera di pace in Europa, o meglio di guerra non combattuta. Poi ce n’è da tempo un’altra che invece si sta combattendo con le sanzioni, con la stampa e le tv occidentali scatenate nella demonizzazione quotidiana del nemico, in un turbine menzognero dai toni esasperati che rende plausibile l’idea che si stia scivolando verso una tragedia analoga a quella di cui ormai pochi hanno memoria.
Noi viviamo in un paese che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, così come è stato scritto tanti anni fa sul documento fondante dei nostri valori, soprattutto se si tratta di aggressione contro altri popoli e nazioni. Tuttavia da almeno qualche decennio collezioniamo governi che agiscono al di fuori delle norme che la Repubblica si è data. In un breve ma incompleto elenco limitato alla politica estera si parte dalla rovinosa puntata sulle coste somale e si prosegue con i bombardamenti sulla Serbia e l’invio di militari a presidio di territori a questa sottratti, alla complicità nell’occupazione dell’Irak e dell’Afghanistan nella scia degli aggressori angloamericani nonché alla partecipazione diretta all’aggressione in puro stile colonialista della Libia.
Gli è che facciamo parte di una coalizione, la Nato, che fin dal suo apparire opera con spirito esattamente opposto a quanto è scritto nell’art.11 della costituzione italiana e che proprio pochi giorni fa in tv Massimo Giannini, direttore di uno degli indistinguibili fogli del gruppo Gedi, pensando forse di essere visto solo dai suoi lettori o comunque da una platea assuefatta alle panzane, ha definito come risposta obbligata al Patto di Varsavia d’epoca sovietica, nonostante quest’ultimo sia nato sei anni dopo.
‘Coalizione’ è una bella parola che fa subito pensare ad un’alleanza paritetica tra soggetti che perseguono obiettivi comuni, per cui va da sé che la Nato non rientra in tale definizione, essendo piuttosto uno strumento di conquista i cui governi aderenti hanno ampia libertà d’azione potendo scegliere se obbedire o cadere e in tal caso se cadere con le buone o con le cattive. Ma sto divagando. Ciò che conta è la musica del suonatore d’organetto e non certo le catene al collo delle sue scimmiette. La sensazione di assistere ad episodi che possono sfociare in un vortice di reciproche ritorsioni incontrollabili è diventata una costante fin dai mandati presidenziali di Obama, quando il tedoforo dell’apocalisse avvicinò pericolosamente la sua fiaccola alla miccia posta al largo delle coste siriane, luogo d’incontro poco amichevole tra le flotte delle due maggiori potenze.
Negli ultimi ottant’anni nessuna delle due parti, per evidenti motivi, ha deliberatamente cercato un confronto militare diretto e ciò rafforza gli argomenti di chi ritiene che la follia trovi prima o poi davanti a sé un naturale limite invalicabile. Perché poi a dirla tutta, nemmeno al Pentagono, santuario dell’anfizionia occidentale e fucina di quasi tutti i conflitti e le crisi internazionali, prendono molto sul serio un tale proposito. Se invece così fosse non mancherebbero certo le occasioni, ma soprattutto si punterebbe ad un primo colpo devastante sul territorio nemico senza preavviso e non ci sarebbe nemmeno bisogno di giustificare il proprio operato, dato che già un’ora dopo l’inizio delle ostilità nessuno avrebbe più molto tempo da dedicare all’analisi sulle rispettive responsabilità. E se poi per assurdo l’aggressore riuscisse nel suo intento, non gli mancherebbero i Giannini per raccontare l’unica versione dei fatti consentita.
Il nemico per i vertici americani è ovunque i governi non si piegano alle pretese dei poteri economici e ciò ha fatto riemergere anche nella percezione collettiva qualcosa di quella contrapposizione ideologica che molti ritenevano superata all’indomani del suicidio del socialismo sovietico. Ma se anche l’orizzonte dei circoli guerrafondai perennemente al potere negli Usa coincide con un disegno di dominio planetario, non sembra vi sia in tal senso una strategia dai tratti leggibili, bensì un costante quanto sregolato inseguimento di opportunità, che è poi la cifra stilistica di quel mondo finanziario che esprime i vertici politici e ne guida le decisioni. Anche nel calderone ucraino non è chiaro cogliere i limiti del gioco d’azzardo americano e se esso ruota intorno al tentativo di costringere la Russia ad un intervento militare così da danneggiare pesantemente i rapporti commerciali tra questa ed i paesi Ue, soprattutto in relazione alle forniture di gas. Certo, come movente sta in piedi. Il problema è però che in uno scenario del genere non vi sarebbe nulla a contenere l’offensiva russa e le conseguenze non sarebbero limitate alla liberazione del Donbass ma provocherebbero quasi sicuramente il collasso del regime ucraino, forse addirittura una frantumazione del paese e la perdita di ogni suo affaccio sul mar Nero. Per Mosca sarebbe una vittoria indiscutibile sul piano geopolitico ed anche i rapporti con la Turchia e con i paesi dell’Europa orientale ne sarebbero influenzati in senso non favorevole alla Nato. L’unico elemento che potrebbe scongiurare tutto ciò sarebbe la minaccia di un intervento diretto della Nato, ma ciò comporterebbe un rischio inaccettabile anche per le teste più calde che si aggirano nella Casa Bianca.
In una recente e illuminante dichiarazione Biden ha affermato che se vi sarà un conflitto tra Ucraina e Russia, quest’ultima dovrà subire ritorsioni pesanti in ambito economico e che “in un modo o nell’altro” il gasdotto NorthStream2 verrà reso inoperativo. Il modo lo si può immaginare, nonché il fatto che sarebbe interessato anche lo Stream1 che corre parallelo. Quel che riesce difficile immaginare è che la Germania accetti tale effetto collaterale, anche se ha oggi un governo più rosa-verde e quindi un po’ più scimmietta di prima. Però a Kiev avranno certo notato che Biden non ha fatto alcun accenno all’evenienza di un intervento militare americano nemmeno in forma indiretta e ciò significa che in caso di problemi seri l’Ucraina dovrà cavarsela più o meno da sola. Tant’è che perfino il suo presidente Zelenskyj, in controtendenza rispetto al ritornello propagandistico in voga, getta acqua sul fuoco ammettendo che non vi è un reale pericolo d’invasione russa. L’idea di assurgere a vittima sacrificale per gli interessi altrui non piace a nessuno, ma in fondo l’ex-comico di Krivoj Rog non ha il pieno controllo su quanto può accadere sulla linea del fronte e nemmeno influenza le decisioni di coloro cui deve il posto.
Infine, se anche vi fosse un serio deterioramento dei rapporti tra le scimmiette europee ed i fornitori russi di idrocarburi, non la si potrebbe certo considerare una situazione duratura. Le forniture Usa, possibili solo mediante trasporto navale, oltre ad avere un costo enormemente maggiore, rappresentano una goccia nel mare dei consumi europei e si porrebbe quindi la questione se rassegnarsi al collasso economico dell’intero continente oppure rivolgersi nuovamente a Gazprom. Non vi è dubbio che nemmeno il più succube governo europeo potrebbe sostenere a lungo le esiziali conseguenze della propria obbedienza. Quanto alla Russia, l’interruzione totale della vendita di idrocarburi ai paesi Ue provocherebbe una perdita secca di ottanta miliardi di dollari all’anno, più che gestibile sia ricorrendo ai 600 miliardi di riserve della banca centrale, sia almeno in parte trovando altri acquirenti o aumentando le esportazioni verso la Cina.
Non si può dire con certezza se la tensione attuale verrà riassorbita o se a forza di giocare con i fiammiferi nella polveriera succederà un guaio di quelli epocali, ma di certo non vi è amministrazione americana che non senta il bisogno di mostrare i muscoli in una qualche direzione, per motivi legati al consenso interno, per lavar via il ricordo di qualche sconfitta recente, ma soprattutto perché quel sistema si regge interamente su politiche di sopraffazione e rapina permesse dall’imponente apparato bellico e garantite da un debito iperbolico, tutte cose molto costose che la convivenza pacifica col resto del mondo non potrebbe mai permettersi.
Nessun commento:
Posta un commento