(dal
blog https://www.tpi.it/)
L’intrigo
internazionale che ha portato le due multinazionali europee a mettere le mani,
senza gara, su uno dei più ricchi giacimenti petroliferi dell’Africa. Facendo
perdere alla popolazione locale 6 miliardi di dollari
Ci sono le
ex spie inglesi e russe che lavorano nell’ombra per le multinazionali degli
idrocarburi, c’è il ministro di un dittatore africano che assegna a se stesso –
ovviamente a un prezzo stracciato – un giacimento petrolifero da miliardi di
dollari, ci sono i faccendieri italiani che provano a pilotare l’affare per
prendersi anche loro una fetta della torta. E poi ci sono case presidenziali,
bottiglie di champagne, hotel di lusso, fiumi di denaro che fanno giri immensi
fino a sparire nella nebbia, e due misteriosi trolley con dentro 50 milioni di
dollari che forse nessuno ha mai visto davvero. Sembra un film di spionaggio, e
invece è la ricostruzione quello che è stato definito «il processo del secolo»:
due grandi oil company, Eni e Shell, accusate di aver pagato una super mazzetta
da oltre un miliardo di dollari – la più grande tangente della storia
giudiziaria italiana, secondo i pm milanesi – per accaparrarsi il ricchissimo
giacimento petrolifero Opl 245, in Nigeria.
In primo
grado tutti gli imputati sono stati assolti con formula piena («Il fatto non
sussiste»): per i giudici del tribunale di Milano non c’è stata corruzione. In
attesa del giudizio d’appello, tuttavia, ciò che emerge chiaro e tondo,
ricostruendo questa storia, è che – tangente o no – qui due multinazionali
europee hanno messo le mani, senza nessuna gara pubblica e a condizioni
economiche e fiscali estremamente vantaggiose, su uno dei più preziosi tesori
naturali della Nigeria, un Paese dove il 41 per cento della popolazione (81
milioni di persone) vive in condizioni di povertà estrema. Non solo: di quel
miliardo di dollari versato da Eni e Shell su un conto corrente del Governo
federale di Abuja (per la precisione 1,092 miliardi), appena 180 milioni sono
rimasti nelle casse dello Stato. Per il resto, i soldi dell’Opl 245 sono finiti
nelle tasche di imprenditori, politici e faccendieri vari. Secondo l’Ong Global
Witness, il popolo nigeriano ci ha perso complessivamente 6 miliardi di
dollari, una cifra pari a oltre quattro volte la spesa sanitaria del Paese nel
2020.
Come spiega
Giovanni Carbone, responsabile del programma Africa dell’Ispi (Istituto Studi
di Politica Internazionale) e professore all’Università di Milano, «l’interesse
internazionale per la straordinaria ricchezza energetica e mineraria
dell’Africa subsahariana ha da sempre esposto i Paesi della regione a una certa
vulnerabilità nelle relazioni con i Paesi ricchi e le multinazionali». Parliamo
di «economie ancora complessivamente povere, con governanti in posizioni
strutturalmente svantaggiate nel negoziare i termini contrattuali dello sfruttamento
di queste risorse da parte di soggetti esterni».
Il bisonte e
gli olandesi
Ma adesso riavvolgiamo il nastro indietro di ventiquattro anni. È il 1998 e la
Nigeria è governata dal regime militare del generale Sani Abacha. L’Opl 245 –
dove Opl sta per Oil Prospecting Licence – è un mega-blocco petrolifero
inesplorato al largo del delta del fiume Niger: si stima che là sotto possano
esserci fino a 9 miliardi di barili di oro nero (oggi la stima è stata
affinata: mezzo miliardo di barili, livello comunque considerevole). Ministro
del Petrolio è Dan Etete, 54 anni, politico navigato proveniente dal sud del
Paese, soprannominato “il bisonte” per la stazza massiccia e la passione per la
caccia. Il 29 aprile 1998 il ministro, senza indire nessuna gara, assegna la
licenza a esplorare l’Opl 245 alla Malabu Oil and Gas Limited, una società
fondata appena cinque giorni prima, in cambio di un bonus di firma da 20
milioni di dollari: somma che, come vedremo tra poco, equivale a un vero e
proprio regalo. Piccolo particolare: soci occulti della Malabu sono lo stesso
ministro Etete e il figlio del generale Abacha. Il “bisonte” e il dittatore già
si fregano le mani, ma ecco un imprevisto: l’8 giugno il generale Abacha muore
in circostanze misteriose. E per la Nigeria si apre una nuova fase.
L’anno
successivo si tengono le prime elezioni libere da tre lustri. Vince Olusegun
Obasanjo, che aveva già governato il Paese negli anni Settanta. Anche lui è un
militare, ma democratico: sotto il regime di Abacha era stato condannato a
morte e si era rifugiato in Colombia, dove aveva stretto amicizia con
l’ambasciatore russo, Ednan Agaev (segnatevi questo nome). Il presidente
Obasanjo conferma l’assegnazione dell’Opl 245 alla Malabu. Ed Etete cede per 18
milioni di dollari il 40% della licenza agli olandesi di Shell. Poi, però, il
Governo cambia idea: revoca la concessione e indice una gara pubblica. Nel
maggio 2002 il giacimento è assegnato alla stessa Shell in cambio di un bonus
da 200 milioni di dollari, dieci volte tanto quello che era stato fissato per
la Malabu ai tempi del regime.
Etete va su
tutte le furie e impugna la revoca. In primo grado il suo ricorso è respinto.
Ma prima che si arrivi alla sentenza d’appello – e siamo ormai a fine 2006 – il
ministro della Giustizia, Bajo Ojo, annuncia una decisione clamorosa: la
licenza Opl 245 è espropriata alla Shell e riassegnata al 100% alla Malabu.
Motivo? Qui ci sono due versioni. Quella ufficiale – ritenuta attendibile
dai giudici di Milano che esamineranno il caso una decina d’anni più tardi – è
che il Governo, sulla base di un parere legale, era certo di perdere in appello
e ha quindi voluto evitare la condanna, con annesso obbligo di risarcimento
danni in favore della Malabu. Secondo i pm milanesi (la cui tesi non è stata
però condivisa dal Tribunale) la vera spiegazione va ricercata invece in un
bonifico da 10 milioni di dollari che Etete destinerà nel 2010 a Ojo: per i
magistrati, in altre parole, Malabu ha corrotto il ministro. Etete, da parte
sua, ha sempre giustificato il versamento come il corrispettivo di una
consulenza legale datata 2009. Comunque sia andata, grazie a quel dietrofront
del Governo, il “bisonte” rimette le mani sull’Opl 245. Ed è a questo punto che
entra in scena Eni.
Ecco gli
italiani
Nel gennaio 2007 il fratello di Etete propone alla compagnia italiana di
acquistare una quota della licenza petrolifera: il cane a sei zampe è
interessato, tanto che il 23 febbraio firma con la Malabu un accordo di
riservatezza. A quell’epoca amministratore delegato di Eni è l’esperto Paolo
Scaroni, manager vicentino scuola McKinsey, chiamato dal Governo Berlusconi a
occuparsi di idrocarburi dopo aver guidato per tre anni l’Enel (oggi è
presidente del Milan). Il suo braccio destro è Claudio Descalzi, direttore
della divisione Exploration & Production (sarà proprio lui, nel 2014, a
succedere a Scaroni come amministratore delegato del gruppo). Meneghino doc,
Descalzi è un Eni-boy da oltre vent’anni: ha lavorato a lungo in Africa, dove
ha anche trovato moglie: Marie Magdalena Ingoba, imprenditrice congolese, oggi
indagata a Milano per un giro d’affari tra alcune sue società e la stessa Eni.
Ma torniamo
alla nostra storia. Nel 2007 sul fronte nigeriano avvengono due fatti
importanti: a fine gennaio è eletto presidente della Repubblica Umaru Adua,
delfino di Obasanjo; e a inizio novembre Dan Etete è condannato in Francia a 3
anni di carcere per riciclaggio nel processo sullo scandalo Bonny Island
(impianto di estrazione di gas che era co-gestito dalla Snamprogetti, società
del gruppo Eni). Questa condanna è un passaggio chiave anche per la vicenda
245, perché fa del “bisonte” un soggetto con cui è meglio evitare di avere
rapporti commerciali. Ma Etete non si ferma: vuole rivendere una o più quote
della licenza petrolifera per fare cassa.
Champagne
ghiacciato
Dopo aver approcciato Eni, il titolare occulto della Malabu prova a riannodare
i fili con Shell, con cui i rapporti si erano guastati dopo il tiramolla degli
anni passati. Ci vuole tempo, ma la manovra dà i suoi frutti: il 15 ottobre
2009 Etete riunisce intorno a un tavolo il mediatore Bryant Orjiako e il
responsabile commerciale di Shell in Nigeria, Peter Robinson. Ma all’incontro
partecipano anche il parlamentare Umar Bature e soprattutto John Copleston, ex
spia dei servizi segreti britannici, per anni capo dell’MI6 in Nigeria e ora
advisor di Shell. L’ex 007 segue nell’ombra le trattative sull’Opl 245 e si
scambia spesso aggiornamenti con l’ex collega di intelligence Guy Colegate,
anche lui ora a libro paga degli olandesi. Nove mesi prima dell’incontro
organizzato da Etete, in una mail datata 5 gennaio 2009, Copleston parla con
Colegate e Robinson della possibilità che la multinazionale compri una quota
della licenza petrolifera, e senza usare metafore scrive «Etete si lamenta che
tratterrà soltanto 40 milioni dei 300 che gli stiamo offrendo, il resto andrà
per pagare tangenti in giro». Evidentemente l’ex spia non voleva essere
frainteso… Fatto sta che nella riunione del 15 ottobre il “bisonte” si accorda
verbalmente per cedere il 40% della licenza a Shell.
In quegli
stessi mesi si registrano movimenti tellurici ai fianchi di Eni. Tutto parte da
Lugano, dove abita un intermediario veneto sulla quarantina, Gianluca Di Nardo.
Quest’ultimo un giorno prende il telefono e chiama Luigi Bisignani, forse il
più famoso faccendiere d’Italia, ex giornalista con importanti entrature, da
Andreotti a Berlusconi, da Montezemolo a Licio Gelli. Di Nardo gli segnala che
in Nigeria c’è un affare che scotta: il blocco 245, appunto. Che c’entra
Bisignani? Semplice: è amico di Scaroni dagli anni Settanta – i due fanno pure
le vacanze insieme all’Argentario – e Di Nardo vuole sondare l’eventuale
interesse di Eni per il giacimento. Il senso di quella telefonata lo spiegherà
successivamente lo stesso Bisignani ai magistrati: «Se l’affare fosse andato in
porto, Di Nardo avrebbe lucrato una mediazione, e anche io sicuramente avrei
avuto la mia parte». L’intermediario italo-svizzero raccomanda anche un proprio
referente nigeriano che avrebbe già in tasca un mandato dalla Malabu per
vendere una quota della licenza: si chiama Emeka Obi ed è un rampante uomo
d’affari basato a Londra, soprannominato il “ragazzo” perché ha poco più di
trent’anni. Bisignani prende nota e informa Scaroni, che a sua volta contatta
Descalzi. Dopo una serie di mail tra Obi ed Eni, il 28 dicembre si tengono le
presentazioni ufficiali: davanti a una bottiglia di champagne ghiacciato, Etete
riceve a casa sua il “ragazzo” e Vincenzo Armanna, importante manager del cane
a sei zampe in Africa. Poche settimane dopo, il 4 febbraio 2010, ritroviamo Obi
ed Etete a Milano, seduti al ristorante dell’hotel Principe Savoia di Milano
insieme al numero due di Eni, Descalzi. Allo stesso tavolo c’è anche un russo,
Ednan Agaev. Questo nome lo avete già sentito: era l’ambasciatore di Mosca in
Colombia durante l’esilio del presidente nigeriano Obasanjo (ricordate?).
Agaev, uomo vicino a Putin, segue l’affare 245 come intermediario tra Malabu e
Shell e ha frequenti contatti con il generale Aliyu Gusau, considerato
l’«eminenza grigia dei servizi segreti nigeriani».
A casa del
presidente
Nel frattempo ad Abuja c’è l’ennesimo cambio di governo. E per Etete ci sono
ottime notizie: il nuovo presidente è Goodluck Jonathan, ex insegnante privato
dei suoi figli; il ministro della Giustizia è Adoke Bello, suo avvocato; e la
ministra del Petrolio è Alison Diezani, sua ex assistente (nonché ex manager di
Shell). Considerate queste premesse, la Malabu ha gioco facile nel vedersi
confermata la licenza del 100% sull’Opl.
Nei mesi
successivi le manovre vanno avanti. Shell dà il suo ok all’ingresso ufficiale
in partita degli italiani. E il 13 agosto 2010 Scaroni e Descalzi vengono
ricevuti da Jonathan nella residenza presidenziale. Qualche giorno dopo, Peter
Robinson, capo di Shell in Nigeria, annota che «il presidente è motivato a
concludere in fretta la questione (245, ndr), spinto dalle aspettative circa i
profitti che Malabu riceverà e i contributi politici che ne deriveranno». Una
frase che i pm di Milano leggeranno come indizio di uno schema corruttivo.
Quel che è
certo è che il nuovo Governo nigeriano segue le vicende del giacimento offshore
molto da vicino. Tanto che Di Nardo si allarma: «Ci hanno scavalcato», dice al
telefono con Bisignani. Il timore è che Eni stia trattando direttamente con
Etete e il Governo senza passare attraverso Obi. Bisignani contatta subito
Descalzi, che però lo rassicura. E infatti il 30 ottobre 2010, all’hotel
Bristol a Parigi, il “ragazzo” consegna a Etete per conto di Eni un’offerta per
il 100% dell’Opl 245: sul piatto 1,2 miliardi di dollari (Eni è d’accordo con
Shell, a cui poi darebbe il 50% della licenza). Ma la risposta del “bisonte” è
negativa: «Voglio almeno 2,2 miliardi». La fase di impasse, peraltro, dura
poco. Passano appena quindici giorni e il ministro della Giustizia, Adoke
Bello, prende in mano la situazione: convoca nel suo ufficio i manager di Eni,
Shell e Malabu e nel giro di un paio d’ore, magicamente, risolve tutto. Non c’è
un verbale di quell’incontro, ma sappiamo quel che Roberto Casula, capo
dell’area subsahariana di Eni, scrive a Descalzi al termine della riunione:
«Dopo intensa discussione con telefonate continue al venditore (cioè Etete,
ndr), questi ha accettato di chiudere a 1,3 miliardi». Descalzi gira subito la
notizia a Scaroni, che commenta: «Ottimo». Sembra insomma che d’improvviso sia
stata trovata la quadra…
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