sabato 26 febbraio 2022

la crisi ucraina con gli occhiali di Alberto Negri, Pino Arlacchi, Marco Cattaneo, Fabio Marcelli, Giulio Marcon e Daniele Barbieri

 

I guai europei che dovremo condividere col cattivo Putin - Alberto Negri

 

   

Prima un po’ di storia molto critica sull’Ucraina, dalla sua pagina fb e sul manifesto.
«Un Paese dai dubbi contenuti democratici, con governi manovrati dagli oligarchi e un’amministrazione corrotta, oggi è il simbolo della nuova frontiera europea». «Una nazione che si distingue per avere sulla coscienza un milione e mezzo di ebrei sterminati con i nazisti durante la seconda guerra mondiale e che non ha mai neppure processato un criminale di guerra».
Poi la politica internazionale. «Gli Usa erano stati avvertiti da George Kennan, artefice della politica di contenimento dell’Urss, nel ’97: “L’espansione della Nato è l’errore più grave degli Usa dalla fine della guerra fredda. Spingerà la politica russa in direzione contraria a quella che vogliamo”».

Dietro tutto questo, il paradosso.

 

Le colpe di Putin e i suoi complici Usa

A Putin oggi sono attribuite le colpe maggiori ma la guerra o la “quasi guerra” è un crimine con dei complici. In primo luogo gli Stati Uniti che hanno lasciato degradare i rapporti con la Russia fino ai minimi termini: sono quasi tre anni che si sono ritirati dal trattato sui missili intermedi in Europa e hanno rifiutato di negoziare un altro accordo che tenesse conto di una Russia ben diversa da quella in disfacimento di trent’anni fa. Le stesse richieste di Mosca per contenere l’allargamento della Nato sono state trattate in maniera sprezzante, come se gli Usa e l’Alleanza Atlantica avessero inanellato gloriose vittorie militari invece di una serie di disfatte, dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Siria alla Libia, per finire recentemente con il Mali, dove Bamako ha preferito affidarsi alla Compagnia di mercenari russi Wagner piuttosto che agli ex colonialisti francesi e all’Europa.

Eppure erano stati avvertiti in casa

Eppure gli Usa erano stati avvertiti da George Kennan, artefice della politica di contenimento dell’Urss, nel ’97:
«L’allargamento della Nato è il più grave errore della politica americana dalla fine della guerra fredda… questa decisione susciterà tendenze nazionaliste e militariste anti-occidentali… spingendo la politica estera russa in direzione contraria a quella che vogliamo».
E a questo pessimo risultato si è arrivati con la crisi ucraina, il dispiegamento dei missili ai confini della Russia ma anche con la vicenda della Nato in Kosovo nel ’99 e i raid su Gheddafi in Libia nel 2011: in entrambi i casi la Nato e gli Usa non si sono limitati a “proteggere” la popolazione come promesso ma hanno attuato dei cambi di regimi e di status politico di intere regioni, affondandone altre nel marasma.

Il peggio all’Europa

Ma forse il peggio è toccato all’Europa. Essendo latitante una politica estera dell’Unione – Borrell è una sorta di ectoplasma – la Nato si è completamente sovrapposta a Bruxelles. I Paesi europei come un gregge si sono accodati al cane pastore americano di cui hanno accettato le iniziative finendo come in Afghanistan per condividere con gli Usa una disastro orchestrato essenzialmente da Washington. Del resto l’obiettivo degli americani in questa crisi è quello di mandare agli europei due messaggi: 1) devono pagare sempre di più il conto della Nato; 2) devono smettere di acquistare gas russo.

Il paradosso

E qui veniamo al paradosso: oggi siamo noi europei a finanziare gli sforzi bellici della Russia per imporre la sua sfera di influenza. Siamo infatti nelle mani di Putin che a sua volta conta su di noi come clienti di primo piano. Da quando Mosca annesse la Crimea nel 2014, la dipendenza europea dal gas russo è andata aumentando. Nel 2014 l’Unione europea importava il 30% del proprio fabbisogno di gas da Mosca ma l’incidenza è salita al 44% nel 2020 e al 46,8% nel 2021. I dati per l’Italia sono sostanzialmente in linea con quelli medi europei.

Meno gas per più soldi

Putin lo sa perfettamente, tanto è vero che Mosca si è affrettata a rassicurare gli europei, in primo luogo Germania e Italia, sulle forniture di metano indispensabili al funzionamento delle loro economie. Ecco perché, nonostante le sanzioni decise a Londra e Bruxelles, nelle capitali del continente si respira un’aria imbarazzante. La stessa decisione tedesca di bloccare il gasdotto Nord Stream 2 con la Russia ha un significato più politico che concreto: questa pipeline non è mai entrata in funzione.

Ma il bello deve ancora venire

L’aumento dei consumi e degli investimenti nel 2021 e altri fattori hanno contribuito al moltiplicarsi per quattro-cinque volte del prezzo del gas in Europa. Così la Russia ha moltiplicato anche il fatturato della Gazprom, pur tagliando sensibilmente le forniture. A questo aggiungiamo che Mosca resta il principale fornitore singolo di petrolio in Europa con una quota del 25%. In sintesi il motore dell’economia europea è in mano a Putin e i soldi europei stanno finanziando lo sforzo bellico russo. Ne usciremo?

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Ucraina: pur condannando l’aggressione russa, mi rifiuto di mettere l’elmetto a fianco della Nato - Fabio Marcelli

 

Il mondo è sull’orlo del baratro. L’appello del presidente ucraino a formare una coalizione di guerra contro la Russia rappresenta chiaramente un passo in quella direzione. Sembra concretizzarsi la profezia di Giulietto Chiesa che aveva identificato proprio nell’Ucraina la culla della Terza guerra mondiale. Come affermato dall’Associazione internazionale dei giuristi democratici l’offensiva russa costituisce un’evidente violazione del diritto internazionale. Essa costituisce altresì un’applicazione da manuale della nefasta dottrina dell’autodifesa preventiva, enunciata dagli Stati Uniti, con tanto di tentativi, per la verità non troppo felici, di giustificazione giuridica, con paludati articoli in riviste prestigiose come l’American Journal of International Law e simili, e messa in pratica con grande dispiego di uomini, mezzi e vittime, soprattutto nell’aggressione all’Iraq del 2003.

Putin può quindi tutto sommato essere considerato un emulo di Bush, da questo punto di vista. E sicuramente si tratta di un approccio non compatibile col diritto internazionale vigente che è fondato sul divieto dell’uso della forza e delle aggressioni militari. Putin quindi ha le sue responsabilità e, a giudicare da come stanno messi gli Stati Uniti a circa vent’anni dall’aggressione, sul piano interno come su quello internazionale, si può vaticinare che questa scelta non sarà foriera di conseguenze positive per la Russia e il suo popolo.

Esistono però anche delle differenze che vanno colte rispetto all’aggressione statunitense all’Iraq e ad altri Stati che riguardano il tema della sicurezza per tutti, inclusa ovviamente la Russia. Questa ha subito negli ultimi anni un accerchiamento intollerabile che si è concretizzato con la progressiva espansione della Nato che, con la minacciata adesione dell’Ucraina, si sarebbe allargata fin ben all’interno delle frontiere dell’ex Unione Sovietica. Se vogliamo evitare la catastrofe dobbiamo oggi dissociarci dalla logica implacabile della guerra.

Pur condannando l’aggressione russa all’Ucraina occorre quindi rifiutarsi di mettere l’elmetto e di schierarsi con la Nato come vorrebbero i vanagloriosi leader dell’Occidente, mettendo definitivamente in archivio ogni dialogo. Se un intervento militare dell’Occidente in Ucraina appare oggi folle e impensabile, occorre anche scongiurare l’instaurazione di un clima permanente di scontro fra Est e Ovest.

Per prima cosa occorre che le armi tacciano. E occorre tutelare le popolazioni civili che, come sempre accade, sono le prime e principali vittime degli eventi bellici. Va scongiurato ogni allargamento del conflitto. Le sanzioni minacciate, in particolare, minacciano di trasformarsi in un boomerang e la garanzia della pace è legata allo sviluppo delle relazioni economiche e dell’interscambio commerciale. Altrimenti le uniche industrie destinate a prosperare sono quelle degli armamenti, la cui prosperità verrà fatalmente a coincidere con la distruzione del genere umano.

Occorre poi mettere mano alle radici di fondo del conflitto che sono lo status del Donbass e la neutralizzazione dell’Ucraina. Si tratta dei problemi che costituiscono le cause di fondo del conflitto. Il primo si è determinato a seguito del rovesciamento violento del governo Yanukovich coi cosiddetti moti di Maidan del febbraio 2014 e l’emarginazione della consistente minoranza russofona, che è pari al 25% del complesso della popolazione ucraina e largamente maggioritaria proprio nel Donbass. La soluzione del problema è stata a lungo perseguita mediante i cosiddetti Accordi di Minsk, sotterrati dalla decisione russa di riconoscere le Repubbliche indipendenti del Donbass ma, prima ancora, dal boicottaggio ucraino.

Il secondo tema, quello della neutralizzazione dell’Ucraina, è ancora più importante dato che la Russia ha subito per oltre trent’anni l’espansione verso Est della Nato, avvenuta in aperto dispregio degli impegni assunti dall’Occidente nel momento della riunificazione della Germania. Da questa espansione è nata la legittima preoccupazione della Russia, che paventava l’installazione dei missili nucleari della Nato sul territorio ucraino, preoccupazione peraltro amplificata dagli irresponsabili proclami di Stoltenberg e altri leader occidentali sul diritto dell’Ucraina a scegliersi i propri alleati.

Uno spiraglio positivo pare oggi aprirsi colla dichiarazione del portavoce del presidente ucraino, forse purtroppo tardiva, di accettare la neutralizzazione dell’Ucraina a condizione di ottenere le garanzie della propria sicurezza e anche coll’invito del presidente ucraino Zhelensky, che ha chiesto un negoziato a Putin. Invito che quest’ultimo pare sia fortunatamente disposto ad accogliere.

Non estendere la visuale e l’analisi ai citati problemi di fondo, focalizzandosi solo sulla reazione russa di questi giorni, per quanto a sua volta illegittima, significa compiere un’operazione intellettualmente disonesta, politicamente infruttuosa e del tutto negativa sul piano dei suoi effetti pratici sul bene fondamentale della pace che abbiamo tutti a cuore.

Enunciando la dottrina dell’autodeterminazione dei popoli, le cui conseguenze sullo status dell’Ucraina sono state ingiustamente criticate da Putin qualche giorno fa, il grande leader bolscevico Vladimir Lenin aveva ben chiaro che gli interessi dei popoli e delle classi lavoratrici coincidono fra di loro. Un insegnamento oggi più che mai necessario per affermare le indispensabili ragioni della pace dei fronte ai complotti dei mercanti d’armi, dei burocrati della guerra, dei leader nazionalisti e degli imperialisti di ogni genere.

Per risolvere la crisi occorre urgentemente una Conferenza di pace che affronti il tema della sicurezza dell’area. Di fronte al nullismo dei governanti europei va a mio avviso apprezzata la posizione concreta di quelli cinesi, i quali invitano tutte le parti alla moderazione affermando la necessità di “un concetto di sicurezza comune, globale, cooperativo e sostenibile e per salvaguardare il sistema internazionale con l’Onu al centro” e che stanno operando fattivamente per la pace. Quel che è certo è anche che è tempo che sorga, sulle ceneri della Nato, un soggetto politico autonomo europeo in grado di inserirsi in modo costruttivo nella nuova realtà internazionale multipolare.

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La crisi ucraina come simulazione di guerra per il gas - Alberto Negri

L'analisi. Grazie alla sprovveduta Ue gli Usa si propongono, con l’«invasione russa» - che non c’è - come i fornitori dell’Europa. Ma è un bluff: per i costi, la logistica surreale e i danni ecologici

Sulla crisi Ucraina e del gas ormai il bluff è generalizzato. Lo sa il presidente francese Macron, ieri a Mosca e oggi Kiev, lo sa ancora meglio il timido cancelliere tedesco Scholz, tirato per le orecchie a Washington perché esita a scontrarsi con Putin. Il bluff è accompagnato dal sospetto che a minacciare davvero l’Europa non sia Putin quanto Biden, che sulla questione dei rifornimenti energetici da Mosca non ha purtroppo una posizione diversa da quella di Donald Trump.

La posta in gioco è una simulazione di guerra sì, ma del gas. La verità che è che gli americani vogliono far saltare il gasdotto Russia-Germania, il Nord Stream 2, dove nel consiglio è entrato anche l’ex cancelliere Schroeder. La sua caratteristica principale, quella che non piace agli americani, è di bypassare completamente gli Stati Baltici, quelli di Visegrad, l’Ucraina e la Bielorussia, spazzando via così qualsiasi eventuale pretesa da parte di questi Paesi di fare pressione su Mosca. Questi Paesi, tranne ovviamente la Bielorussia, pedina manovrata da Mosca, sono in gran parte pedine manovrate, attraverso la Nato, dagli Usa.

CON LA DISPONIBILITÀ della sprovveduta Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, gli americani vogliono far credere di potere essere loro, pronti al «soccorso», i fornitori dell’Europa. Questo è un bluff, dati alla mano, ancora più clamoroso dell’annunciata guerra in Ucraina. Senza dimenticare che la Commissione europea inserisce nella sua tassonomia verde addirittura il nucleare, non solo il gas – che, dice il governo rosso giallo verde tedesco che ha rinunciato al nucleare – pur ad ecologica e giusta scadenza ora serve per la transizione ecologica.

L’amico Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia e tra le voci più autorevoli in Italia sul tema, è sempre stato chiaro su questo punto: «I costi di produzione in Russia sono più bassi di almeno un terzo», «È assurdo pensare che si scelga di affidare il sistema energetico europeo a importazioni così lontane, con costi di trasporto elevatissimi, tenendo in considerazione anche il dispendio di energia, le perdite di metano, i danni ecologici».

SIA CHIARO, GLI AMERICANI il gas ce l’hanno eccome, più di quanto prevedessero. Vent’anni fa stavano per diventare importatori di gas poi si sono accorti di aver sbagliato i conti e hanno convertito le strutture sull’Atlantico per esportare. Sono pieni di gas e cercano di venderlo ovunque. Il problema è che è lontano e costa più di quello della Russia che arriva con le pipeline. Il Gnl americano viene estratto e poi liquefatto, quindi deve essere stoccato e poi trasportato sulle navi. Una volta giunto sulla terra ferma finisce nei rigassificatori. Nell’impianto di stoccaggio viene riportato alla forma gassosa ed è pronto al consumo.

Per capire perché il Gnl non è un sostituto del gas che arriva con le pipeline basta guardare i rigassificatori: sono impianti sfruttati poco perché il gas via nave costa molto di più e ci vorrebbero migliaia di metaniere per sostituire quello di Mosca. In poche parole il gas Usa sarebbe scelta demenziale, giustificata solo in un caso: lo stato di guerra. In poche parole la ventilata guerra in Ucraina è una simulazione di una guerra per il gas. Russia e Cina in questa crisi elaborano piani strategici ed energetici per il futuro, noi paghiamo la bolletta.

CHE NON CONVENGA lo dicono le cifre di Nomisma. Il consumo in Europa di gas nel 2020 è stato di 380 miliardi di metri cubi: le importazioni di Gnl dagli Stati Uniti sono state di 23 miliardi di metri cubi, mentre quelle dalla Russia hanno toccato quota 145 miliardi. E le stesse proporzioni sono stimate per il 2021-22. È evidente che le operazioni sul gas americano hanno un carattere più politico che economico: non è in grado, a breve e medio termine, di competere con la Gazprom russa. Ecco il bluff.

CI SAREBBE POI DA riflettere sui fornitori alternativi. Il Tap dell’Azerbaijan, (tra gli azionista pure la russa Lukoil), può fornire al massimo 20 miliardi di metri cubi, il Nord Stream 2 almeno 55. Il Greenstream dalla Libia ha una portata teorica di 8 miliardi di metri cubi, ma per il caos libico – cominciato con la guerra Nato del 2011 con la Francia alla guida – ci sono continue interruzioni e per questo si è investito poco in un Paese con grandi risorse. Unica nota positiva è l’Algeria che sta pompando gas più del solito e a gennaio ha superato per un mese la Russia come maggiore fornitore.

POI CI SAREBBE L’IRAN, che ha la seconde riserve al mondo dopo Mosca, ma è sotto sanzioni e guarda sempre di più alla Cina. La guerra di Siria negli scorsi anni ha fatto saltare il progetto di portare il suo gas, via Iraq, sulle sponde del Mediterraneo, una pipeline che avrebbe ribaltato i rapporti energetici del Medio Oriente. Ecco uno dei motivi meno citati perché Bashar Assad, alleato storico di Teheran, è diventato a un certo punto il «nemico perfetto». I suoi nemici arabi, turchi e lo stesso Israele, oltre agli Stati uniti, non tolleravano che potesse avere risorse energetiche in proprio e di origine iraniana.

Ora gli Stati uniti – dopo essersi attivati da anni contro il Nord Stream 2 ma non riuscendo mai nell’impresa e alla fine dando con Biden un pur tacito consenso a Merkel perché «iniziativa privata» – , vorrebbero di fatto sanzionare al più presto anche il gas della Russia.
Insomma per gli americani l’Europa non deve avere gas a buon mercato: c’è il loro e costa molto di più. Non vi sembra un affare?

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é la NATO che sta alla base della crisi ucraina, e della sua soluzione - Pino Arlacchi


È l’Europa che ha in mano le chiavi per far cessare l’attacco militare della Russia all’Ucraina, solo che voglia decidersi ad agire invece di barcamenarsi tra Washington e il Cremlino come ha fatto fino adesso. I leader europei hanno dichiarato, in accordo con Biden, che non invieranno forze militari in Ucraina. Ciò equivale a dire che la NATO non ammetterà l’Ucraina fino a che la Russia considererà questo fatto un casus belli. E la Russia ha appena dimostrato precisamente ciò, segnalando che l’epoca dei giochi è terminata, e che vanno messe sul tavolo precise garanzie di sicurezza.

Con l’attacco all’Ucraina la Russia ha chiuso d’un colpo lo spazio di gioco diplomatico e politico entro cui si sono mossi, con un bel po’ di disinvoltura, Macron e Scholtz. Durante i colloqui con Putin delle scorse settimane i due avevano ribadito sottovoce, per non irritare gli americani, di non aver intenzione di aprire la NATO all’Ucraina. Ma per abbassare il prezzo della scelta avevano invitato Zelensky a fare il primo passo, dichiarando di avere rinunciato a chiedere di entrare nell’Alleanza Atlantica. Kiev aveva in un primo momento acconsentito, e si era spinta fino al punto da far dire al suo ambasciatore a Londra che si poteva addirittura mettere in campo l’idea della neutralità dell’Ucraina.

Ma quando la Russia ha preteso di ufficializzare e mettere per iscritto tutto il discorso, ecco la marcia indietro di chi sperava di poter proseguire con una logora manfrina. Sia gli europei sia Biden hanno detto ni, pensando di poter protrarre la presa in giro di una potenza nucleare del calibro della Russia iniziata trenta anni addietro, con Boris Yeltsin, e continuata fino a tre giorni fa.

C’è chi sostiene che la vera questione per Putin non sia l’espansione della NATO ma la ricostituzione pura e semplice dell’impero russo. Peccato che non ci sia alcuna prova a sostegno di questo vaneggio.

Caduta l’URSS e disciolto il Patto di Varsavia (la NATO dell’altro lato), le potenze occidentali offrirono ampie assicurazioni ai leader russi che la NATO non si sarebbe espansa verso Est dopo l’unificazione tedesca.

Ma non fu messo nulla per iscritto. Non si fece alcun trattato, perché le due parti non lo ritennero necessario, visti i rapporti di cooperazione e di amicizia stabilitisi tra i due ex-nemici. E per un paio di anni dopo il 1989 la NATO stessa sembrò avere i giorni contati.

I russi avevano temuto da lungo tempo le invasioni dall’Ovest, che fosse Napoleone, Hitler o la NATO. I maggiori esperti americani di Russia, dal mitico George Kennan all’ambasciatore a Mosca Jack Matlock, al segretario alla difesa di Clinton, William Perry, furono unanimi nel ritenere che i timori russi erano fondati e che la loro richiesta di garanzie di sicurezza era legittima. L’allargamento della NATO verso est, quindi, era per loro un’idea unnecessary, reckless and provocative. La musica cambiò con l’inizio di questo secolo. Finita la Bell’Epoque clintoniana, arrivato George Bush e soci, si iniziarono ad usare subdoli argomenti per sostenere che gli accordi sulla NATO c’erano stati, ma non erano vincolanti. E si continuarono ad ammettere nell’Alleanza, uno dopo l’altro, tutti i Paesi ad est della Germania. Fino ad arrivare, con le repubbliche baltiche, ai confini stessi della Russia.La Russia si è sentita minacciata, e quando ha ritenuto che forze straniere intendessero trasformare una delle tre nazioni fondanti dell’identità culturale-religiosa e politica del popolo russo – l’altra è la Bielorussia – in una entità anti-russa militante, è intervenuta con la forza.

La soluzione?

Visto che nessuno ha intenzione di correre in soccorso militare dell’Ucraina, e visto che Putin finora non intende occupare il Paese, l’unica strada percorribile è un accordo che fornisca alla Russia le garanzie di sicurezza che richiede senza successo da trent’anni, in cambio della cessazione dell’attacco e di un impegno a lungo termine per il rispetto della sovranità dell’Ucraina. Ciò può avvenire per iniziativa europea, può includere la ripresa degli accordi di Minsk, ed anche la creazione di uno status di neutralità dell’Ucraina. Non è più tempo di manfrine. L’Ucraina ha diritto alla sua sovranità. La Russia non deve più sentirsi in pericolo. E l’Europa dovrebbe smetterla di scherzare con il fuoco solo per compiacere il suo padrone d’oltreatlantico.

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Non tutti detestano Putin, e il motivo c’è - Marco Cattaneo

E vabbè, nel post precedente prevedevo che Putin non sarebbe arrivato a invadere l’Ucraina – quanto meno a breve. Previsione non particolarmente azzeccata, salvo intendere “che a breve” volesse dire “oggi no ma domani sì”.

Ciò detto, merita un commento – qualunque cosa si pensi di Putin e in qualunque modo lo si giudichi – il fatto che nonostante l’establishment e i media siano unanimi nel presentarlo come il cattivo della situazione, una parte tutt’altro che irrilevante dell’opinione pubblica (italiana, ma non solo) faccia fatica ad accettare questa rappresentazione.

In parte dipende dal fatto che la vicenda ucraina è estremamente intricata, con la conseguenza che attribuire tutti i torti o tutte le ragioni a una parte sola porta sicuramente a conclusioni scorrette.

Ma non è l’unica spiegazione, e forse neanche la principale. Un motivo forse più importante l’ha sintetizzato così Mauro Ammirati:

“Voi vi ricordate, vero, di quella volta che, per far abbassare lo spread, Putin ci costrinse a tagliare la spesa pubblica e ad innalzare l’età pensionabile ? Eh, io me la sono legata al dito”.

Il che a me ha immediatamente ricordato una famosissima frase di Cassius Clay, ai tempi non ancora Mohammed Alì, quando gli domandarono perché preferiva andare in prigione e perdere il titolo di campione del mondo invece di partire per il Vietnam (dove peraltro non l’avrebbero mandato al fronte, ma utilizzato in esibizioni per tenere alto il morale delle truppe):

No Vietcong ever called me nigger”.

Concetto poi ripreso in infinite altre occasioni, per esempio nel 1966 da un esponente del movimento per i diritti civili dei neri, Stokely Carmichael:

Why should black folks fight a war against yellow folks so that white folks can keep a land they stole from red folks ?”

E dallo stesso Clay / Alì:

My conscience won’t let me go shoot my brother, or some darker people, or some poor, hungry people in the mud, for big, powerful America, and shoot them. For what ? They never called me nigger. They never lynched me. They never put no dogs on me. They never robbed me of my nationality, or raped or killed my mother and father… How can I shoot them poor people ? Just take me to jail”.

Perché questo ha qualcosa a che vedere con Putin e con l’Ucraina ? Perché Putin avrà tutti i difetti del mondo, ma se l’Italia si è ritrovata con l’economia devastata non è per colpa di Putin, ma di uno scellerato sistema di governance economico-monetaria: quello incentrato sull’euro e sulle sue assurde regole di funzionamento.

E, tra coloro che stanno in prima linea a sollevare (o almeno a provarci) l’opinione pubblica contro Putin, ci sono in bella evidenza, tra Bruxelles e Francoforte, i promotori di quel sistema.

Per cui, se Putin a me personalmente non ha fatto nulla, e chi si scaglia (verbalmente) contro di lui invece sì, pensare che il cattivo della situazione sia lui, o solo lui, non mi riesce né ovvio né facile.

Detto ciò, sospendo ogni giudizio su Putin in quanto mi dichiaro non sufficientemente a conoscenza dei fatti. Ma il giudizio sull’establishment europeista / eurista invece me lo sono formato con molta chiarezza. E motivi per cambiarlo non ne vedo neanche mezzo.

E d’istinto (ma proprio solo istinto non è) se l’establishment sostiene, unanime, una tesi, mi viene da pensare che la tesi opposta potrebbe avere un fondo, e magari non solo un fondo, di verità.

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L’Ucraina e il bisogno di pacifismo - Giulio Marcon


La crisi in Ucraina è il risultato della deriva sciagurata della politica internazionale e di un assetto delle relazioni internazionali che, dopo il 1989, è all’origine di tensioni e conflitti ripetuti e drammatici in quell’area del mondo.

Dopo la caduta del muro di Berlino il multilateralismo e lo scioglimento dei blocchi non sono mai arrivati. Dei due blocchi ne è rimasto in questi anni solo uno (la Nato) e questo, più che portare sicurezza, ha reso più turbolento il pianeta e ha anche alimentato le dinamiche di carattere imperiale della Russia di Putin e più in generale delle leadership nazionaliste e aggressive dell’Est Europa.

Gli Stati Uniti e la Nato si sono incamminati sulla strada della politica di potenza e del controllo militare del mondo in una logica unipolare e aggressiva. Invece di contribuire dopo il 1989 a una transizione equilibrata e democratica nei paesi dell’Est, gli Stati Uniti e la Nato hanno giocato pericolosamente con le trasformazioni (nazionaliste e populiste) di quei paesi, facendoli diventare avamposti militari dell’Alleanza Atlantica e iniettando dosi velenose di turbocapitalismo in società ancora fragili e devastate dal crollo del «socialismo reale».

Invece di disarmare politicamente i nazionalisti e inibire le leadership imperiali, Stati Uniti e Nato ne hanno alimentato le ambizioni di potere. Non ci vuole un genio della realpolitik per indovinare la prevedibile reazione di Putin di fronte alla possibile adesione dell’Ucraina alla Nato. Come avrebbero reagito gli Stati Uniti se il Canada avesse partecipato ad un’alleanza militare guidata da Putin? E d’altronde ancora ci ricordiamo come reagirono gli americani quando 60 anni fa i sovietici installarano i missili a Cuba. Si rischiò una nuova guerra mondiale.

In più va ricordato cosa sono i paesi dell’Europa orientale: spesso un groviglio di nazionalità, di religioni e di lingue diverse dove ogni forzatura nazionalista e separatista non può che provocare conflitti, guerre, violazioni dei diritti umani. In Ucraina, quasi il 20% della popolazione è russofona, a Kiev il 25%, nelle aree orientali fino al 90%. Il rispetto della sovranità e dell’autodeterminazione dell’Ucraina non può che andare di pari passo con la difesa dei diritti umani delle minoranze e con la valutazione di scelte, quando delicate e strategiche, che non possono essere prese senza condividerle con i vicini di casa.

A trent’anni dalla fine del blocco del Patto di Varsavia, Ucraina e Russia sono paesi attraversati da enormi povertà e diseguaglianze, dove l’economia ha spesso tratti di arretratezza atavica, ma anche di sacche di ricchezza enorme concentrata in pochi privilegiati, oligarchi che usano potere e criminalità per rimanere in sella. Tutto questo provoca una deriva nazionalista e populista, dinamiche sociali e politiche che vanno nella direzione della violenza e della sopraffazione interna ed esterna

Gli Stati Uniti e la Nato nell’allargamento ad Est, cercando una forzatura a proprio beneficio, hanno in realtà dato un assist formidabile a Putin che ha potuto oggi violare la sovranità dell’Ucraina e usare la crisi per rafforzarsi al proprio interno, a danno dell’opinione pubblica democratica e all’opposizione.

Ora serve una mobilitazione pacifista che sappia rilanciare l’obiettivo di un’Europa senza blocchi, come si diceva negli anni ‘80 nella mobilitazione contro il riarmo atomico: dall’Atlantico agli Urali. Le armi rafforzano Putin, la politica, se intelligente, lo indebolirebbe. Questa crisi devasta soprattutto l’Europa, più che gli Stati Uniti e di questo, magari, potrebbero non essere scontenti.

Serve una nuova conferenza di Helsinki sui diritti umani, delle minoranze e la difesa della democrazia: ma tutto ciò lo si fa con la politica e non con le armi e la guerra. Servirebbe una riedizione di quella Helsinki Citizens Assembly che nella prima metà degli anni ‘90 riuscì far dialogare pacifisti ed organizzazioni civiche dell’est e dell’ovest e a costruire iniziative comuni, allora soprattutto sulla guerra in Bosnia. Servirebbe una doppia delegazione di pacifisti a Kiev e a Mosca per far dialogare le forze ostili alla guerra, per ricostruire le condizioni di una «diplomazia dal basso» per la pace e la riconciliazione. E come ha ricordato un documento diffuso ieri dalla Rete Pace e Disarmo e Sbilanciamoci! (ora sul sito del manifesto) non solo è necessario che sia affermata da tutti la neutralità (come per la Finlandia nel dopoguerra) dell’Ucraina ma che sia istituita una fascia denuclearizzata e senza missili tra la Russia e l’Unione Europea, come proposto negli anni ‘80 da Brandt e Palme a fronte della crisi degli euromissili.

La politica e i governi vanno incalzati, vanno denunciate le scelte sbagliate di questi anni, le nostre politiche di riarmo (quest’anno il bilancio della difesa italiano è aumentato del 5,4%) che incentivano le scelte degli altri a fare lo stesso. Bisogna incalzare le Nazioni Unite – completamente assenti – e l’Unione europea che è divisa e balbetta. A questo serve una mobilitazione pacifista, che oggi deve essere sollecitata, promossa e portata avanti nel tempo: la crisi in quell’area del mondo non finirà presto.

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CONTRO LA GUERRA SEMPRE… MA COME? - Daniele Barbieri

 

Ho cinque certezze e moltissimi dubbi.

Sono certo che la guerra in Ucraina non serve ai popoli. Una seconda certezza è che bisogna non solo pregare o piangere ma organizzare SUBITO aiuti concreti per le vittime e i profughi. Un terzo punto fermo: il movimento pacifista (in tutte le sue articolazioni internazionali) ha tutte le ragioni per chiedere a Putin di ritirarsi ma deve portare avanti una sua “piattaforma”. Quarta certezza: è bene che finalmente si riempiano le piazze (**) e si discuta insieme; i social non bastano e per molti versi incoraggiano il disimpegno. Infine sono convinto che l’Ucraina sia una tremenda miccia accesa – ma anche un pretesto – per una più grande guerra … ma qui le responsabilità non sono tutte di Putin.

E ora i miei molti dubbi (cerco di essere sintetico).

1

Perchè il sistema mediatico-politico internazionale si spaventa e si commuove così tanto per le vittime ucraine e per l’aggressione russa ma da anni resta in silenzio sul massacro continuato dei curdi (in Turchia e in Siria) e sul militarismo-fascismo di Erdogan? Non è la prima volta: per fare un solo altro esempio alla fine del secolo scorso milioni (purtroppo non esagero) di persone morirono in Congo: pochi “se ne accorsero” e ancor meno si mossero.

2

Giustissimo condannare l’invasione russa. Ma cosa rende invece legittimi – anzi umanitari – gli attacchi degli Usa contro Jugoslavia, Irak o Afghanistan?

2 bis

Per non farla lunga sulla politica degli Stati Uniti ma offrire qualche spunto ai più smemorati o disinformati rimando ai testi (e ai filmati) in Gli Usa sono il Paese più terrorista del mondo di Francesco Masala.

3

E siamo sicuri che la strada giusta per opporsi alla Russia e per difendere l’Ucraina sia stata (e sia) rafforzare e allargare la Nato?

4

Quando diciamo che «tutti» vogliono la pace non ci dimentichiamo qualcuno? I produttori e mercanti d’armi (proprietari di molti giornali e tv) soffiano sulla guerra intorno all’Ucraina… come su tutte le altre.

5

Putin ha detto più volte che in Ucraina bisogna liberarsi dei «drogati nazisti». Non capisco se «drogati» è un insulto o cosa ma sui «nazisti» non ha torto. Da anni l’Ucraina è piena di gruppi neonazisti (con mercenari di molti Paesi inclusi reduci del sedicente Stato Islamico) ben armati, finanziati e coccolati dall’Occidente; chi lo dimentica è un bugiardo o vive nelle nuvole.

5 bis

Per dire come poi sia complicato – persino paradossale – lo “scacchiere” esistono anche gruppi neonazisti filo russi e alcuni “volontari” di estrema destra (anche italiani) si battono anche con gli “indipendentisti” in Donbass. Anche questa della crescita di grandi e piccole organizzazioni militari naziste in quasi tutt’Europa è una delle realtà che il sistema mediatico-politico ha rimosso.

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Putin difende gli indipendentisti russofili. Ha certamente torto a farlo uccidendo con missili e carriarmati ma sul piano storico-politico non ha qualche ragione? Ci sono stati inviti in passato all’Ucraina affinchè concedesse alle regioni dove le “minoranze russe” sono maggioranza uno statuto di autonomia (si è parlato anche del vecchio modello «Alto Adige- Sud Tirolo») ma se invece il governo “centrale” nulla concede e vuole risolvere tutto con una sanguinosa guerra strisciante … anche questo è colpa della Russia?

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Invece di chiedersi un po’ stupidamente “dove sono i pacifisti?” forse bisognerebbe domandarsi “dove stanno i guerrafondai?”. Altra domanda decisiva quanto scomoda: perchè in Italia (come purtroppo in quasi tutti i Paesi) le spese militari continuano ad aumentare, sottraendo sempre più soldi a ospedali, scuole, lavoro vivo, pensioni e alla lotta contro la povertà? In questo blog abbiamo scritto fino all’ossessione di questo nuovo militarismo. Per citare una sola analisi – del 2019 – rimando a: Contribuire alla ripresa del Movimento contro la Guerra significa …  (significa individuare sia le cause generali sia i soggetti che gestiscono i processi di militarizzazione delle menti e dei territori). Dunque occorre guardare indietro per capire come siamo arrivati a questa catastrofe e tentaare di prendere le contromisure sia sull’immediato che sul periodo medio-lungo..

7 bis

Perchè chi ci governa (a livello italiano, europeo ecc) non capisce che stiamo scivolando nell’abisso? Ho un terribile dubbio e lo esprimo in forma paradossale ma purtroppo serissima: chi sta “in alto” non ha paura di una guerra mondiale come non teme la catastrofe climatica in arrivo e non impara la lezione di una tremenda pandemia. “Loro” pensano ad altro. Lo dico in estrema sintesi: i Palazzi sono abitati ormai soprattutto da zombies, morti viventi con i quali nessun dialogo è possibile. E temo che non basteranno croci e aglio oppure paletti di frassino per liberarci degli zombies al potere. Credo sia in questi termini – creare un pacifico “disordine mondiale” che rovesci questo armatissimo ordine mondiale – che dobbiamo ragionare e riorganizzarci. Non è facile, lo so. Ma dobbiamo: è questione appunto di vita o di morte per tutte/i noi e per le generazioni future.

da qui 


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