I guai europei che dovremo condividere col cattivo
Putin - Alberto Negri
Prima un po’ di storia molto critica sull’Ucraina,
dalla sua pagina fb e sul manifesto.
«Un Paese dai dubbi contenuti democratici, con governi manovrati dagli
oligarchi e un’amministrazione corrotta, oggi è il simbolo della nuova
frontiera europea». «Una nazione che si distingue per avere sulla coscienza un
milione e mezzo di ebrei sterminati con i nazisti durante la seconda guerra
mondiale e che non ha mai neppure processato un criminale di guerra».
Poi la politica internazionale. «Gli Usa erano stati avvertiti da George
Kennan, artefice della politica di contenimento dell’Urss, nel ’97: “L’espansione
della Nato è l’errore più grave degli Usa dalla fine della guerra fredda.
Spingerà la politica russa in direzione contraria a quella che vogliamo”».
Dietro tutto questo, il paradosso.
Le colpe di Putin e i suoi complici Usa
A Putin oggi sono attribuite le colpe maggiori ma la guerra o la “quasi
guerra” è un crimine con dei complici. In primo luogo gli Stati Uniti che hanno
lasciato degradare i rapporti con la Russia fino ai minimi termini: sono quasi
tre anni che si sono ritirati dal trattato sui missili intermedi in Europa e
hanno rifiutato di negoziare un altro accordo che tenesse conto di una Russia
ben diversa da quella in disfacimento di trent’anni fa. Le stesse richieste di
Mosca per contenere l’allargamento della Nato sono state trattate in maniera
sprezzante, come se gli Usa e l’Alleanza Atlantica avessero inanellato gloriose
vittorie militari invece di una serie di disfatte, dall’Afghanistan all’Iraq,
dalla Siria alla Libia, per finire recentemente con il Mali, dove Bamako ha
preferito affidarsi alla Compagnia di mercenari russi Wagner piuttosto che agli
ex colonialisti francesi e all’Europa.
Eppure erano stati avvertiti in casa
Eppure gli Usa erano stati avvertiti da George Kennan, artefice della
politica di contenimento dell’Urss, nel ’97:
«L’allargamento della Nato è il più grave errore della politica americana
dalla fine della guerra fredda… questa decisione susciterà tendenze
nazionaliste e militariste anti-occidentali… spingendo la politica estera russa
in direzione contraria a quella che vogliamo».
E a questo pessimo risultato si è arrivati con la crisi ucraina, il
dispiegamento dei missili ai confini della Russia ma anche con la vicenda della
Nato in Kosovo nel ’99 e i raid su Gheddafi in Libia nel 2011: in entrambi i
casi la Nato e gli Usa non si sono limitati a “proteggere” la popolazione come
promesso ma hanno attuato dei cambi di regimi e di status politico di intere
regioni, affondandone altre nel marasma.
Il peggio all’Europa
Ma forse il peggio è toccato all’Europa. Essendo latitante una politica
estera dell’Unione – Borrell è una sorta di ectoplasma – la Nato si è
completamente sovrapposta a Bruxelles. I Paesi europei come un gregge si sono
accodati al cane pastore americano di cui hanno accettato le iniziative finendo
come in Afghanistan per condividere con gli Usa una disastro orchestrato
essenzialmente da Washington. Del resto l’obiettivo degli americani in questa
crisi è quello di mandare agli europei due messaggi: 1) devono pagare sempre di
più il conto della Nato; 2) devono smettere di acquistare gas russo.
Il paradosso
E qui veniamo al paradosso: oggi siamo noi europei a finanziare gli sforzi
bellici della Russia per imporre la sua sfera di influenza. Siamo infatti nelle
mani di Putin che a sua volta conta su di noi come clienti di primo piano. Da
quando Mosca annesse la Crimea nel 2014, la dipendenza europea dal gas russo è
andata aumentando. Nel 2014 l’Unione europea importava il 30% del proprio
fabbisogno di gas da Mosca ma l’incidenza è salita al 44% nel 2020 e al 46,8%
nel 2021. I dati per l’Italia sono sostanzialmente in linea con quelli medi
europei.
Meno gas per più soldi
Putin lo sa perfettamente, tanto è vero che Mosca si è affrettata a
rassicurare gli europei, in primo luogo Germania e Italia, sulle forniture di metano
indispensabili al funzionamento delle loro economie. Ecco perché, nonostante le
sanzioni decise a Londra e Bruxelles, nelle capitali del continente si respira
un’aria imbarazzante. La stessa decisione tedesca di bloccare il gasdotto Nord
Stream 2 con la Russia ha un significato più politico che concreto: questa
pipeline non è mai entrata in funzione.
Ma il bello deve ancora venire
L’aumento dei consumi e degli investimenti nel 2021 e altri fattori hanno
contribuito al moltiplicarsi per quattro-cinque volte del prezzo del gas in
Europa. Così la Russia ha moltiplicato anche il fatturato della Gazprom, pur
tagliando sensibilmente le forniture. A questo aggiungiamo che Mosca resta il
principale fornitore singolo di petrolio in Europa con una quota del 25%. In
sintesi il motore dell’economia europea è in mano a Putin e i soldi europei
stanno finanziando lo sforzo bellico russo. Ne usciremo?
Ucraina: pur condannando l’aggressione russa, mi rifiuto di mettere
l’elmetto a fianco della Nato - Fabio Marcelli
Il mondo è sull’orlo del baratro.
L’appello del presidente ucraino a formare una coalizione di guerra contro la
Russia rappresenta chiaramente un passo in quella direzione. Sembra
concretizzarsi la profezia di Giulietto Chiesa che aveva identificato proprio
nell’Ucraina la culla della Terza guerra mondiale. Come affermato
dall’Associazione internazionale dei giuristi democratici l’offensiva russa
costituisce un’evidente violazione del
diritto internazionale. Essa costituisce altresì un’applicazione da manuale
della nefasta dottrina dell’autodifesa preventiva, enunciata dagli Stati Uniti,
con tanto di tentativi, per la verità non troppo felici, di giustificazione
giuridica, con paludati articoli in riviste prestigiose come l’American Journal of International Law e simili, e
messa in pratica con grande dispiego di
uomini, mezzi e vittime, soprattutto nell’aggressione all’Iraq del 2003.
Putin può quindi tutto sommato essere considerato
un emulo di Bush, da questo punto di vista. E sicuramente si tratta di un
approccio non compatibile col diritto internazionale
vigente che è fondato sul divieto dell’uso della forza e delle
aggressioni militari. Putin quindi ha le sue responsabilità e, a giudicare da
come stanno messi gli Stati Uniti a circa vent’anni dall’aggressione, sul piano
interno come su quello internazionale, si può vaticinare che questa scelta non
sarà foriera di conseguenze positive per la
Russia e il suo popolo.
Esistono però anche delle differenze che
vanno colte rispetto all’aggressione statunitense all’Iraq e ad altri Stati che
riguardano il tema della sicurezza per tutti, inclusa ovviamente la Russia.
Questa ha subito negli ultimi anni un accerchiamento intollerabile che si è
concretizzato con la progressiva espansione della Nato che, con la minacciata
adesione dell’Ucraina, si sarebbe allargata fin ben all’interno delle
frontiere dell’ex Unione Sovietica. Se
vogliamo evitare la catastrofe dobbiamo oggi dissociarci dalla logica
implacabile della guerra.
Pur condannando l’aggressione russa
all’Ucraina occorre quindi rifiutarsi di mettere l’elmetto e
di schierarsi con la Nato come vorrebbero i vanagloriosi leader dell’Occidente,
mettendo definitivamente in archivio ogni dialogo. Se un intervento militare
dell’Occidente in Ucraina appare oggi folle e impensabile, occorre anche
scongiurare l’instaurazione di un clima permanente di scontro fra Est e Ovest.
Per prima cosa occorre che le armi
tacciano. E occorre tutelare le popolazioni civili che, come sempre accade,
sono le prime e principali vittime degli eventi
bellici. Va scongiurato ogni allargamento del conflitto. Le sanzioni
minacciate, in particolare, minacciano di trasformarsi in un boomerang e la
garanzia della pace è legata allo sviluppo delle relazioni economiche e
dell’interscambio commerciale. Altrimenti le uniche industrie destinate a
prosperare sono quelle degli armamenti, la cui prosperità verrà fatalmente a
coincidere con la distruzione del genere umano.
Occorre poi mettere mano alle radici di
fondo del conflitto che sono lo status del Donbass e la neutralizzazione
dell’Ucraina. Si tratta dei problemi che costituiscono le cause di fondo del conflitto. Il primo si è
determinato a seguito del rovesciamento violento del governo Yanukovich coi
cosiddetti moti di Maidan del febbraio 2014 e l’emarginazione della consistente
minoranza russofona, che è pari al 25% del complesso della popolazione ucraina
e largamente maggioritaria proprio nel Donbass. La soluzione del problema è
stata a lungo perseguita mediante i cosiddetti Accordi di Minsk, sotterrati dalla
decisione russa di riconoscere le Repubbliche indipendenti del Donbass ma,
prima ancora, dal boicottaggio ucraino.
Il secondo tema, quello della
neutralizzazione dell’Ucraina, è ancora più importante dato che la Russia ha
subito per oltre trent’anni l’espansione verso Est della Nato, avvenuta in aperto dispregio degli impegni assunti
dall’Occidente nel momento della riunificazione della Germania. Da questa
espansione è nata la legittima preoccupazione della Russia, che paventava
l’installazione dei missili nucleari della Nato sul territorio ucraino,
preoccupazione peraltro amplificata dagli irresponsabili proclami di
Stoltenberg e altri leader occidentali sul diritto dell’Ucraina a scegliersi i propri alleati.
Uno spiraglio positivo pare oggi aprirsi
colla dichiarazione del portavoce del presidente ucraino, forse purtroppo
tardiva, di accettare la neutralizzazione dell’Ucraina a condizione di ottenere
le garanzie della propria sicurezza e anche coll’invito del presidente ucraino
Zhelensky, che ha chiesto un negoziato a Putin. Invito che quest’ultimo pare
sia fortunatamente disposto ad accogliere.
Non estendere la visuale e l’analisi ai
citati problemi di fondo, focalizzandosi solo sulla reazione russa di questi
giorni, per quanto a sua volta illegittima, significa compiere un’operazione intellettualmente disonesta,
politicamente infruttuosa e del tutto negativa sul piano dei suoi effetti
pratici sul bene fondamentale della pace che abbiamo tutti a cuore.
Enunciando la dottrina
dell’autodeterminazione dei popoli, le cui conseguenze sullo status
dell’Ucraina sono state ingiustamente criticate da Putin qualche giorno fa, il
grande leader bolscevico Vladimir Lenin aveva ben chiaro che gli interessi dei
popoli e delle classi lavoratrici coincidono fra di loro. Un insegnamento oggi più che mai necessario per affermare le indispensabili
ragioni della pace dei fronte ai complotti dei mercanti d’armi, dei burocrati
della guerra, dei leader nazionalisti e degli imperialisti di ogni genere.
Per risolvere la crisi occorre
urgentemente una Conferenza di pace che affronti il tema della sicurezza
dell’area. Di fronte al nullismo dei governanti europei va a mio avviso
apprezzata la posizione concreta di quelli cinesi, i quali invitano tutte le
parti alla moderazione affermando la necessità di “un concetto di sicurezza
comune, globale, cooperativo e sostenibile e per salvaguardare il sistema
internazionale con l’Onu al centro” e che stanno operando fattivamente per la
pace. Quel che è certo è anche che è tempo che sorga, sulle ceneri della
Nato, un soggetto politico autonomo europeo in grado di
inserirsi in modo costruttivo nella nuova realtà internazionale multipolare.
La crisi ucraina
come simulazione di guerra per il gas - Alberto Negri
L'analisi. Grazie alla sprovveduta Ue gli Usa si propongono, con l’«invasione
russa» - che non c’è - come i fornitori dell’Europa. Ma è un bluff: per i
costi, la logistica surreale e i danni ecologici
Sulla crisi Ucraina e del gas ormai il bluff è generalizzato. Lo sa il
presidente francese Macron, ieri a Mosca e oggi Kiev, lo sa ancora meglio il
timido cancelliere tedesco Scholz, tirato per le orecchie a Washington perché
esita a scontrarsi con Putin. Il bluff è accompagnato dal sospetto che a
minacciare davvero l’Europa non sia Putin quanto Biden, che sulla questione dei
rifornimenti energetici da Mosca non ha purtroppo una posizione diversa da
quella di Donald Trump.
La posta in gioco è una simulazione di guerra sì, ma del gas. La verità che
è che gli americani vogliono far saltare il gasdotto Russia-Germania, il Nord
Stream 2, dove nel consiglio è entrato anche l’ex cancelliere Schroeder. La sua
caratteristica principale, quella che non piace agli americani, è di bypassare
completamente gli Stati Baltici, quelli di Visegrad, l’Ucraina e la
Bielorussia, spazzando via così qualsiasi eventuale pretesa da parte di questi
Paesi di fare pressione su Mosca. Questi Paesi, tranne ovviamente la
Bielorussia, pedina manovrata da Mosca, sono in gran parte pedine manovrate,
attraverso la Nato, dagli Usa.
CON LA DISPONIBILITÀ della sprovveduta Ursula von der Leyen, presidente
della Commissione europea, gli americani vogliono far credere di potere essere
loro, pronti al «soccorso», i fornitori dell’Europa. Questo è un bluff, dati
alla mano, ancora più clamoroso dell’annunciata guerra in Ucraina. Senza
dimenticare che la Commissione europea inserisce nella sua tassonomia verde
addirittura il nucleare, non solo il gas – che, dice il governo rosso giallo
verde tedesco che ha rinunciato al nucleare – pur ad ecologica e giusta
scadenza ora serve per la transizione ecologica.
L’amico Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia e tra le voci più
autorevoli in Italia sul tema, è sempre stato chiaro su questo punto: «I costi
di produzione in Russia sono più bassi di almeno un terzo», «È assurdo pensare
che si scelga di affidare il sistema energetico europeo a importazioni così
lontane, con costi di trasporto elevatissimi, tenendo in considerazione anche
il dispendio di energia, le perdite di metano, i danni ecologici».
SIA CHIARO, GLI AMERICANI il gas ce l’hanno eccome, più di quanto
prevedessero. Vent’anni fa stavano per diventare importatori di gas poi si sono
accorti di aver sbagliato i conti e hanno convertito le strutture
sull’Atlantico per esportare. Sono pieni di gas e cercano di venderlo ovunque.
Il problema è che è lontano e costa più di quello della Russia che arriva con
le pipeline. Il Gnl americano viene estratto e poi liquefatto, quindi deve
essere stoccato e poi trasportato sulle navi. Una volta giunto sulla terra
ferma finisce nei rigassificatori. Nell’impianto di stoccaggio viene riportato
alla forma gassosa ed è pronto al consumo.
Per capire perché il Gnl non è un sostituto del gas che arriva con le
pipeline basta guardare i rigassificatori: sono impianti sfruttati poco perché
il gas via nave costa molto di più e ci vorrebbero migliaia di metaniere per
sostituire quello di Mosca. In poche parole il gas Usa sarebbe scelta
demenziale, giustificata solo in un caso: lo stato di guerra. In poche parole
la ventilata guerra in Ucraina è una simulazione di una guerra per il gas.
Russia e Cina in questa crisi elaborano piani strategici ed energetici per il
futuro, noi paghiamo la bolletta.
CHE NON CONVENGA lo dicono le cifre di Nomisma. Il consumo in Europa di gas
nel 2020 è stato di 380 miliardi di metri cubi: le importazioni di Gnl dagli
Stati Uniti sono state di 23 miliardi di metri cubi, mentre quelle dalla Russia
hanno toccato quota 145 miliardi. E le stesse proporzioni sono stimate per il
2021-22. È evidente che le operazioni sul gas americano hanno un carattere più
politico che economico: non è in grado, a breve e medio termine, di competere con
la Gazprom russa. Ecco il bluff.
CI SAREBBE POI DA riflettere sui fornitori alternativi. Il Tap
dell’Azerbaijan, (tra gli azionista pure la russa Lukoil), può fornire al
massimo 20 miliardi di metri cubi, il Nord Stream 2 almeno 55. Il Greenstream
dalla Libia ha una portata teorica di 8 miliardi di metri cubi, ma per il caos
libico – cominciato con la guerra Nato del 2011 con la Francia alla guida – ci
sono continue interruzioni e per questo si è investito poco in un Paese con
grandi risorse. Unica nota positiva è l’Algeria che sta pompando gas più del
solito e a gennaio ha superato per un mese la Russia come maggiore fornitore.
POI CI SAREBBE L’IRAN, che ha la seconde riserve al mondo dopo Mosca, ma è
sotto sanzioni e guarda sempre di più alla Cina. La guerra di Siria negli
scorsi anni ha fatto saltare il progetto di portare il suo gas, via Iraq, sulle
sponde del Mediterraneo, una pipeline che avrebbe ribaltato i rapporti
energetici del Medio Oriente. Ecco uno dei motivi meno citati perché Bashar
Assad, alleato storico di Teheran, è diventato a un certo punto il «nemico
perfetto». I suoi nemici arabi, turchi e lo stesso Israele, oltre agli Stati
uniti, non tolleravano che potesse avere risorse energetiche in proprio e di
origine iraniana.
Ora gli Stati uniti – dopo essersi attivati da anni contro il Nord Stream 2
ma non riuscendo mai nell’impresa e alla fine dando con Biden un pur tacito
consenso a Merkel perché «iniziativa privata» – , vorrebbero di fatto
sanzionare al più presto anche il gas della Russia.
Insomma per gli americani l’Europa non deve avere gas a buon mercato: c’è il
loro e costa molto di più. Non vi sembra un affare?
é la NATO che sta alla base della crisi ucraina, e della sua soluzione - Pino Arlacchi
È l’Europa che ha in mano le chiavi per far cessare l’attacco militare
della Russia all’Ucraina, solo che voglia decidersi ad agire invece di
barcamenarsi tra Washington e il Cremlino come ha fatto fino adesso. I leader
europei hanno dichiarato, in accordo con Biden, che non invieranno forze
militari in Ucraina. Ciò equivale a dire che la NATO non ammetterà l’Ucraina
fino a che la Russia considererà questo fatto un casus belli. E la Russia ha
appena dimostrato precisamente ciò, segnalando che l’epoca dei giochi è
terminata, e che vanno messe sul tavolo precise garanzie di sicurezza.
Con l’attacco all’Ucraina la Russia ha chiuso d’un colpo lo spazio di gioco
diplomatico e politico entro cui si sono mossi, con un bel po’ di disinvoltura,
Macron e Scholtz. Durante i colloqui con Putin delle scorse settimane i due
avevano ribadito sottovoce, per non irritare gli americani, di non aver
intenzione di aprire la NATO all’Ucraina. Ma per abbassare il prezzo della
scelta avevano invitato Zelensky a fare il primo passo, dichiarando di avere
rinunciato a chiedere di entrare nell’Alleanza Atlantica. Kiev aveva in un
primo momento acconsentito, e si era spinta fino al punto da far dire al suo
ambasciatore a Londra che si poteva addirittura mettere in campo l’idea della
neutralità dell’Ucraina.
Ma quando la Russia ha preteso di ufficializzare e mettere per iscritto
tutto il discorso, ecco la marcia indietro di chi sperava di poter proseguire
con una logora manfrina. Sia gli europei sia Biden hanno detto ni, pensando di
poter protrarre la presa in giro di una potenza nucleare del calibro della
Russia iniziata trenta anni addietro, con Boris Yeltsin, e continuata fino a
tre giorni fa.
C’è chi sostiene che la vera questione per Putin non sia l’espansione della
NATO ma la ricostituzione pura e semplice dell’impero russo. Peccato che non ci
sia alcuna prova a sostegno di questo vaneggio.
Caduta l’URSS e disciolto il Patto di Varsavia (la NATO dell’altro lato),
le potenze occidentali offrirono ampie assicurazioni ai leader russi che la
NATO non si sarebbe espansa verso Est dopo l’unificazione tedesca.
Ma non fu messo nulla per iscritto. Non si fece alcun trattato, perché le
due parti non lo ritennero necessario, visti i rapporti di cooperazione e di
amicizia stabilitisi tra i due ex-nemici. E per un paio di anni dopo il 1989 la
NATO stessa sembrò avere i giorni contati.
I russi avevano temuto da lungo tempo le invasioni dall’Ovest, che fosse
Napoleone, Hitler o la NATO. I maggiori esperti americani di Russia, dal mitico
George Kennan all’ambasciatore a Mosca Jack Matlock, al segretario alla difesa
di Clinton, William Perry, furono unanimi nel ritenere che i timori russi erano
fondati e che la loro richiesta di garanzie di sicurezza era legittima.
L’allargamento della NATO verso est, quindi, era per loro un’idea unnecessary,
reckless and provocative. La musica cambiò con l’inizio di questo secolo.
Finita la Bell’Epoque clintoniana, arrivato George Bush e soci, si iniziarono
ad usare subdoli argomenti per sostenere che gli accordi sulla NATO c’erano
stati, ma non erano vincolanti. E si continuarono ad ammettere nell’Alleanza,
uno dopo l’altro, tutti i Paesi ad est della Germania. Fino ad arrivare, con le
repubbliche baltiche, ai confini stessi della Russia.La Russia si è sentita
minacciata, e quando ha ritenuto che forze straniere intendessero trasformare
una delle tre nazioni fondanti dell’identità culturale-religiosa e politica del
popolo russo – l’altra è la Bielorussia – in una entità anti-russa militante, è
intervenuta con la forza.
La soluzione?
Visto che nessuno ha intenzione di correre in soccorso militare
dell’Ucraina, e visto che Putin finora non intende occupare il Paese, l’unica
strada percorribile è un accordo che fornisca alla Russia le garanzie di
sicurezza che richiede senza successo da trent’anni, in cambio della cessazione
dell’attacco e di un impegno a lungo termine per il rispetto della sovranità
dell’Ucraina. Ciò può avvenire per iniziativa europea, può includere la ripresa
degli accordi di Minsk, ed anche la creazione di uno status di neutralità
dell’Ucraina. Non è più tempo di manfrine. L’Ucraina ha diritto alla sua
sovranità. La Russia non deve più sentirsi in pericolo. E l’Europa dovrebbe
smetterla di scherzare con il fuoco solo per compiacere il suo padrone
d’oltreatlantico.
Non tutti
detestano Putin, e il motivo c’è - Marco Cattaneo
E vabbè, nel post precedente prevedevo che
Putin non sarebbe arrivato a invadere l’Ucraina – quanto meno a breve.
Previsione non particolarmente azzeccata, salvo intendere “che a breve” volesse
dire “oggi no ma domani sì”.
Ciò detto, merita un commento – qualunque cosa si pensi di Putin e in
qualunque modo lo si giudichi – il fatto che nonostante l’establishment e
i media siano unanimi nel presentarlo come il cattivo della
situazione, una parte tutt’altro che irrilevante dell’opinione pubblica
(italiana, ma non solo) faccia fatica ad accettare questa rappresentazione.
In parte dipende dal fatto che la vicenda ucraina è estremamente intricata,
con la conseguenza che attribuire tutti i torti o tutte le ragioni a una parte
sola porta sicuramente a conclusioni scorrette.
Ma non è l’unica spiegazione, e forse neanche la principale. Un motivo
forse più importante l’ha sintetizzato così Mauro Ammirati:
“Voi vi ricordate, vero, di quella volta che, per far abbassare lo spread,
Putin ci costrinse a tagliare la spesa pubblica e ad innalzare l’età
pensionabile ? Eh, io me la sono legata al dito”.
Il che a me ha immediatamente ricordato una famosissima frase di Cassius
Clay, ai tempi non ancora Mohammed Alì, quando gli domandarono perché preferiva
andare in prigione e perdere il titolo di campione del mondo invece di partire
per il Vietnam (dove peraltro non l’avrebbero mandato al fronte, ma utilizzato
in esibizioni per tenere alto il morale delle truppe):
“No Vietcong ever called me nigger”.
Concetto poi ripreso in infinite altre occasioni, per esempio nel 1966 da
un esponente del movimento per i diritti civili dei neri, Stokely Carmichael:
“Why should black folks fight a war against yellow folks so that white
folks can keep a land they stole from red folks ?”
E dallo stesso Clay / Alì:
“My conscience won’t let me go shoot my brother, or some darker people,
or some poor, hungry people in the mud, for big, powerful America, and shoot
them. For what ? They never called me nigger. They never lynched me. They never
put no dogs on me. They never robbed me of my nationality, or raped or killed
my mother and father… How can I shoot them poor people ? Just take me to jail”.
Perché questo ha qualcosa a che vedere con Putin e con l’Ucraina ? Perché
Putin avrà tutti i difetti del mondo, ma se l’Italia si è ritrovata con
l’economia devastata non è per colpa di Putin, ma di uno scellerato sistema
di governance economico-monetaria: quello incentrato sull’euro
e sulle sue assurde regole di funzionamento.
E, tra coloro che stanno in prima linea a sollevare (o almeno a provarci)
l’opinione pubblica contro Putin, ci sono in bella evidenza, tra Bruxelles e
Francoforte, i promotori di quel sistema.
Per cui, se Putin a me personalmente non ha fatto nulla, e chi si scaglia
(verbalmente) contro di lui invece sì, pensare che il cattivo della situazione
sia lui, o solo lui, non mi riesce né ovvio né facile.
Detto ciò, sospendo ogni giudizio su Putin in quanto mi dichiaro non
sufficientemente a conoscenza dei fatti. Ma il giudizio sull’establishment europeista
/ eurista invece me lo sono formato con molta chiarezza. E motivi per cambiarlo
non ne vedo neanche mezzo.
E d’istinto (ma proprio solo istinto non è) se l’establishment sostiene,
unanime, una tesi, mi viene da pensare che la tesi opposta potrebbe avere un
fondo, e magari non solo un fondo, di verità.
L’Ucraina e il bisogno di pacifismo - Giulio Marcon
La crisi in Ucraina è il risultato della deriva
sciagurata della politica internazionale e di un assetto delle relazioni internazionali
che, dopo il 1989, è all’origine di tensioni e conflitti ripetuti e drammatici
in quell’area del mondo.
Dopo la caduta del muro di Berlino il multilateralismo e
lo scioglimento dei blocchi non sono mai arrivati. Dei due blocchi ne è rimasto
in questi anni solo uno (la Nato) e questo, più che portare sicurezza, ha reso
più turbolento il pianeta e ha anche alimentato le dinamiche di carattere
imperiale della Russia di Putin e più in generale delle leadership nazionaliste
e aggressive dell’Est Europa.
Gli Stati Uniti e la Nato si sono incamminati sulla
strada della politica di potenza e del controllo militare del mondo in una
logica unipolare e aggressiva. Invece di contribuire dopo il 1989 a una
transizione equilibrata e democratica nei paesi dell’Est, gli Stati Uniti e la
Nato hanno giocato pericolosamente con le trasformazioni (nazionaliste e
populiste) di quei paesi, facendoli diventare avamposti militari dell’Alleanza
Atlantica e iniettando dosi velenose di turbocapitalismo in società ancora fragili
e devastate dal crollo del «socialismo reale».
Invece di disarmare politicamente i nazionalisti e
inibire le leadership imperiali, Stati Uniti e Nato ne hanno alimentato le
ambizioni di potere. Non ci vuole un genio della realpolitik per indovinare la
prevedibile reazione di Putin di fronte alla possibile adesione dell’Ucraina
alla Nato. Come avrebbero reagito gli Stati Uniti se il Canada avesse
partecipato ad un’alleanza militare guidata da Putin? E d’altronde ancora ci
ricordiamo come reagirono gli americani quando 60 anni fa i sovietici
installarano i missili a Cuba. Si rischiò una nuova guerra mondiale.
In più va ricordato cosa sono i paesi dell’Europa
orientale: spesso un groviglio di nazionalità, di religioni e di lingue diverse
dove ogni forzatura nazionalista e separatista non può che provocare conflitti,
guerre, violazioni dei diritti umani. In Ucraina, quasi il 20% della
popolazione è russofona, a Kiev il 25%, nelle aree orientali fino al 90%. Il
rispetto della sovranità e dell’autodeterminazione dell’Ucraina non può che
andare di pari passo con la difesa dei diritti umani delle minoranze e con la
valutazione di scelte, quando delicate e strategiche, che non possono essere
prese senza condividerle con i vicini di casa.
A trent’anni dalla fine del blocco del Patto di Varsavia,
Ucraina e Russia sono paesi attraversati da enormi povertà e diseguaglianze,
dove l’economia ha spesso tratti di arretratezza atavica, ma anche di sacche di
ricchezza enorme concentrata in pochi privilegiati, oligarchi che usano potere
e criminalità per rimanere in sella. Tutto questo provoca una deriva
nazionalista e populista, dinamiche sociali e politiche che vanno nella
direzione della violenza e della sopraffazione interna ed esterna
Gli Stati Uniti e la Nato nell’allargamento ad Est,
cercando una forzatura a proprio beneficio, hanno in realtà dato un assist
formidabile a Putin che ha potuto oggi violare la sovranità dell’Ucraina e
usare la crisi per rafforzarsi al proprio interno, a danno dell’opinione
pubblica democratica e all’opposizione.
Ora serve una mobilitazione pacifista che sappia
rilanciare l’obiettivo di un’Europa senza blocchi, come si diceva negli anni
‘80 nella mobilitazione contro il riarmo atomico: dall’Atlantico agli Urali. Le
armi rafforzano Putin, la politica, se intelligente, lo indebolirebbe. Questa
crisi devasta soprattutto l’Europa, più che gli Stati Uniti e di questo,
magari, potrebbero non essere scontenti.
Serve una nuova conferenza di Helsinki sui diritti umani,
delle minoranze e la difesa della democrazia: ma tutto ciò lo si fa con la
politica e non con le armi e la guerra. Servirebbe una riedizione di quella
Helsinki Citizens Assembly che nella prima metà degli anni ‘90 riuscì far
dialogare pacifisti ed organizzazioni civiche dell’est e dell’ovest e a
costruire iniziative comuni, allora soprattutto sulla guerra in Bosnia.
Servirebbe una doppia delegazione di pacifisti a Kiev e a Mosca per far
dialogare le forze ostili alla guerra, per ricostruire le condizioni di una
«diplomazia dal basso» per la pace e la riconciliazione. E come ha ricordato un
documento diffuso ieri dalla Rete Pace e Disarmo e Sbilanciamoci! (ora sul sito
del manifesto) non solo è necessario che sia affermata da tutti la neutralità
(come per la Finlandia nel dopoguerra) dell’Ucraina ma che sia istituita una
fascia denuclearizzata e senza missili tra la Russia e l’Unione Europea, come
proposto negli anni ‘80 da Brandt e Palme a fronte della crisi degli
euromissili.
La politica e i governi vanno incalzati, vanno denunciate
le scelte sbagliate di questi anni, le nostre politiche di riarmo (quest’anno
il bilancio della difesa italiano è aumentato del 5,4%) che incentivano le
scelte degli altri a fare lo stesso. Bisogna incalzare le Nazioni Unite –
completamente assenti – e l’Unione europea che è divisa e balbetta. A questo
serve una mobilitazione pacifista, che oggi deve essere sollecitata, promossa e
portata avanti nel tempo: la crisi in quell’area del mondo non finirà presto.
CONTRO LA GUERRA SEMPRE… MA
COME? - Daniele Barbieri
Ho cinque certezze e moltissimi dubbi.
Sono certo che la guerra in Ucraina non serve ai popoli. Una
seconda certezza è che bisogna non solo pregare o piangere ma organizzare
SUBITO aiuti concreti per le vittime e i profughi. Un terzo punto fermo: il
movimento pacifista (in tutte le sue articolazioni internazionali) ha tutte le
ragioni per chiedere a Putin di ritirarsi ma deve portare avanti una sua
“piattaforma”. Quarta certezza: è bene che finalmente si riempiano le piazze
(**) e si discuta insieme; i social non bastano e per molti versi incoraggiano
il disimpegno. Infine sono convinto che l’Ucraina sia una tremenda miccia
accesa – ma anche un pretesto – per una più grande guerra … ma qui le
responsabilità non sono tutte di Putin.
E ora i miei molti dubbi (cerco di essere sintetico).
1
Perchè il sistema mediatico-politico internazionale si spaventa e
si commuove così tanto per le vittime ucraine e per l’aggressione russa ma da
anni resta in silenzio sul massacro continuato dei curdi (in Turchia e in
Siria) e sul militarismo-fascismo di Erdogan? Non è la prima volta: per fare un
solo altro esempio alla fine del secolo scorso milioni (purtroppo non esagero)
di persone morirono in Congo: pochi “se ne accorsero” e ancor meno si mossero.
2
Giustissimo condannare l’invasione russa. Ma cosa rende invece legittimi
– anzi umanitari – gli attacchi degli Usa contro Jugoslavia, Irak o Afghanistan?
2 bis
Per non farla lunga sulla politica degli Stati Uniti ma offrire
qualche spunto ai più smemorati o disinformati rimando ai testi (e ai filmati)
in Gli Usa sono il Paese più terrorista del mondo di
Francesco Masala.
3
E siamo sicuri che la strada giusta per opporsi alla Russia e per
difendere l’Ucraina sia stata (e sia) rafforzare e allargare la Nato?
4
Quando diciamo che «tutti» vogliono la pace non ci dimentichiamo
qualcuno? I produttori e mercanti d’armi (proprietari di molti giornali e tv)
soffiano sulla guerra intorno all’Ucraina… come su tutte le altre.
5
Putin ha detto più volte che in Ucraina bisogna liberarsi dei
«drogati nazisti». Non capisco se «drogati» è un insulto o cosa ma sui
«nazisti» non ha torto. Da anni l’Ucraina è piena di gruppi neonazisti (con
mercenari di molti Paesi inclusi reduci del sedicente Stato Islamico) ben
armati, finanziati e coccolati dall’Occidente; chi lo dimentica è un bugiardo o
vive nelle nuvole.
5 bis
Per dire come poi sia complicato – persino paradossale – lo
“scacchiere” esistono anche gruppi neonazisti filo russi e alcuni “volontari”
di estrema destra (anche italiani) si battono anche con gli “indipendentisti”
in Donbass. Anche questa della crescita di grandi e piccole organizzazioni
militari naziste in quasi tutt’Europa è una delle realtà che il sistema mediatico-politico
ha rimosso.
6
Putin difende gli indipendentisti russofili. Ha certamente torto a
farlo uccidendo con missili e carriarmati ma sul piano storico-politico non ha
qualche ragione? Ci sono stati inviti in passato all’Ucraina affinchè
concedesse alle regioni dove le “minoranze russe” sono maggioranza uno statuto
di autonomia (si è parlato anche del vecchio modello «Alto Adige- Sud Tirolo»)
ma se invece il governo “centrale” nulla concede e vuole risolvere tutto con
una sanguinosa guerra strisciante … anche questo è colpa della Russia?
7
Invece di chiedersi un po’ stupidamente “dove sono i pacifisti?”
forse bisognerebbe domandarsi “dove stanno i guerrafondai?”. Altra domanda
decisiva quanto scomoda: perchè in Italia (come purtroppo in quasi tutti i Paesi)
le spese militari continuano ad aumentare, sottraendo sempre più soldi a
ospedali, scuole, lavoro vivo, pensioni e alla lotta contro la povertà? In
questo blog abbiamo scritto fino all’ossessione di questo nuovo militarismo.
Per citare una sola analisi – del 2019 – rimando a: Contribuire alla ripresa del Movimento contro la Guerra
significa … (significa individuare sia le cause generali sia i soggetti che gestiscono
i processi di militarizzazione delle menti e dei territori). Dunque occorre
guardare indietro per capire come siamo arrivati a questa catastrofe e tentaare
di prendere le contromisure sia sull’immediato che sul periodo medio-lungo..
7 bis
Perchè chi ci governa (a livello italiano, europeo ecc) non capisce che stiamo scivolando nell’abisso? Ho un terribile dubbio e lo esprimo in forma paradossale ma purtroppo serissima: chi sta “in alto” non ha paura di una guerra mondiale come non teme la catastrofe climatica in arrivo e non impara la lezione di una tremenda pandemia. “Loro” pensano ad altro. Lo dico in estrema sintesi: i Palazzi sono abitati ormai soprattutto da zombies, morti viventi con i quali nessun dialogo è possibile. E temo che non basteranno croci e aglio oppure paletti di frassino per liberarci degli zombies al potere. Credo sia in questi termini – creare un pacifico “disordine mondiale” che rovesci questo armatissimo ordine mondiale – che dobbiamo ragionare e riorganizzarci. Non è facile, lo so. Ma dobbiamo: è questione appunto di vita o di morte per tutte/i noi e per le generazioni future.
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