domenica 1 novembre 2020

Le otto montagne - Paolo Cognetti

una piccola storia privata che diventa universale, toccando tanti temi importanti, l'amore, i rapporti con i genitori, l'amicizia, la morte, la natura, l'economia, la resilienza, la ricerca del proprio posto nel mondo. 
Paolo Cognetti racconta in parte la sua vita, ma non solo, anche quella di chi non ce la fa a resistere contro il mondo.
un libro che non delude, promesso.


 

 

 

 

Questa storia Paolo Cognetti l’ha sempre avuta dentro di sé, qualcosa di ancestrale che è cresciuto con lui e che lo ha accompagnato anche nel corso delle sue precedenti pubblicazioni. Basterebbe ricordare per tutti Il ragazzo selvatico - Quaderno di montagna in cui i temi della solitudine sui monti, della vita lontano dalla città e soprattutto della libertà come scelta consapevole e a volte dolorosa diventano un meraviglioso inno alla natura e alle sue incredibili bellezze. La Val d’Aosta allora, la Val d’Aosta adesso, quasi a voler significare che certi luoghi piantano radici così salde dentro di noi da diventare parte integrante della scenografia d’intorno. Cognetti sapeva di voler scrivere una storia su un padre e un figlio e su un’amicizia tra uomini oltre che una storia profumata di larici e abeti, costeggiata da torrenti, colorata dalle nevi perenni e sincera come la vita. Un racconto che parte dal concetto di famiglia, con tutte le contraddizioni e i conflitti che animano un nucleo normale e ordinario come ce ne sono tanti. Un poetico universo di aspettative disilluse nei vecchi e nei giovani, in chi resta e in chi va per ritornare…

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Un libro davvero bello, si legge tutto di un fiato. I luoghi sono descritti con dovizia di particolari e le tematiche affrontate sono svariate: la solitudine, l'amicizia, il rapporto con i genitori, e la montagna a fare da sfondo con la sua forza struggente. Ci si immerge nella lettura senza accorgersene, fino al un finale davvero commovente.

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La trama semplice, strutturalmente e contenutisticamente parlando, permette a Cognetti di dedicare largo spazio all’evoluzione psicologica ed esistenziale dei suoi personaggi, uno dei più incisivi elementi di forza del romanzo. Pietro e Bruno sono persone introverse, il loro è un rapporto che vive di parole non dette e contatti sporadici, eppure entrambi i personaggi sono entità tangibili, uomini reali nati su carta. La loro capacità di comprendersi senza dover essere espliciti si riflette in un linguaggio letterario attento e asciutto, che consente anche al lettore di coglierne i sottointesi emotivi e le sfumature caratteriali.

Lo stile di Cognetti è quasi una magia: senza dover rivelare apertamente tutti i tratti psicologici dei suoi protagonisti, il lettore riesce a intuirli con naturalezza, pur nella loro complessità. Si seguono quindi con grande trasporto due differenti percorsi di crescita, l’uno irrequieto e vagabondo, l’altro sicuro e tenace, fino al loro finale naturale, coerente e perfetto.

Insieme a Pietro e Bruno c’è sempre la montagna, forse la vera protagonista del romanzo, certamente qualcosa più di un semplice sfondo paesaggistico o una metafora poetica. Silenziosa, possente, fredda e affascinante: è l’habitus naturale di Giovanni, il padre di Pietro, che sembra diventare se stesso solo durante le sue scalate tra i sentieri montuosi; è l’unica casa di Bruno, montanaro nell’anima, che non riuscirà mai a lasciarla; ed è la meta naturale di Pietro, che vive vagabondando per il mondo, ma con lo sguardo rivolto sempre verso l’alto, alla ricerca delle cime montuose…

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Le otto montagne all’estero. Sei stato tradotto in tantissime lingue, e stai accompagnando il libro in altrettanti Paesi. Quali sono state le reazioni dei lettori che più ti hanno colpito? Com’è cambiata la percezione da Paese a Paese della storia di Pietro e Bruno? Mi racconti un aneddoto buffo?

Un aneddoto buffo riguarda la traduzione. Il romanzo sta uscendo in 38 lingue di cui la maggior parte mi sono sconosciute, ma almeno due le posso leggere e così ho visto com’è stato diverso tradurre questa storia in inglese e in francese. Con la Francia condividiamo le Alpi, il paesaggio di montagna, la sua cultura, i suoi mestieri, la sua lingua, e il lavoro non è stato difficile, anzi è stato appassionante vedere somiglianze e differenze, trovare le parentele. In Inghilterra invece le montagne non ci sono ed è proprio vero, come diceva Wittgenstein, che i limiti di una lingua sono i limiti del suo mondo: per esempio non c’è una parola per dire montanaro (mountaineer vuol dire alpinista e allora abbiamo risolto con eufemismi come mountain man o man of the mountains né una per dire alpeggio (è diventato alpine farm o mountain farm). Si perde molto, nel passaggio: sono le parole di una civiltà, e benché un lettore inglese possa comprendere la storia non potrà mai capire la cultura da cui proviene, così come non ha in testa la faccia di un montanaro, l’aspetto di un alpeggio. Chissà cosa succederà nelle altre 36 lingue… I lettori hanno le reazioni più diverse: in Olanda il libro sta andando benissimo, ma per loro c’è un senso di esotismo nel leggere una storia ambientata sulle Alpi; dalla Francia e dalla Svizzera mi scrivono i figli e i nipoti degli emigrati valdostani, a volte persone molto anziane a cui il libro ha ricordato certe lontane estati d’infanzia; in Germania ci sono i più grandi innamorati delle nostre montagne e i lettori le conoscono per averne percorso i sentieri. Io vivo tutto questo con stupore e gratitudine. A volte mi sento il veicolo di una storia più grande di me. Penso sia una gran fortuna quella di fare lo scrittore.

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