Afghanistan, ucciso il giornalista Ilyas Dayee:
“Narrava al mondo la speranza e il dolore della sua gente” - Roberta Aiello
Mohammad
Ilyas Dayee aveva 33 anni, e ha dedicato tutta la sua vita a raccontare le
storie della terra dove è nato e viveva, l'Afghanistan.
Il 12
novembre è rimasto ucciso a Lashkar Gah, capitale della provincia meridionale di Helmand,
nell'esplosione di un ordigno posizionato sulla sua auto, mentre portava la
madre in ospedale. Il fratello di Dayee, ex giornalista di Deutsche
Welle, e altre due persone, tra cui un bambino, sono rimasti feriti
nell'attentato.
Il
giornalista, che lavorava per Radio Free Europe/Radio Liberty (RFE/RL),
lascia la moglie e una figlia di un anno e mezzo.
Dayee è
l'ultima vittima della crescente violenza in Afghanistan, dove i giornalisti
sono presi sempre più di mira dai talebani che hanno intensificato le loro
minacce.
Secondo
quanto riportato da
Human Rights Watch molti professionisti dell'informazione sono stati
esplicitamente avvertiti di non raccontare le attività dei talebani, come è
accaduto a Dayee.
A ottobre
l'uomo aveva confidato ad alcuni suoi colleghi che i talebani gli avevano
intimato di non parlare delle recenti operazioni condotte nella provincia di
Helmand, né di qualsiasi loro perdita in termini di territorio e di vite umane
e di non riportare nessuna notizia su presunte violazioni dell'accordo firmato
con gli Stati Uniti che prevede il ritiro delle truppe straniere dal paese.
Colleghi di
Dayee hanno detto che nelle settimane precedenti l'attacco, i talebani avevano
perquisito la sua casa e interrogato i vicini di casa sui suoi movimenti
chiedendo di riferirne i comportamenti.
La notte
prima di essere ucciso, Dayee aveva inviato un'e-mail a un collega scrivendogli
di ritenere che la sua vita fosse in pericolo.
Nello stesso
giorno in cui è stato ucciso, i talebani hanno rilasciato una dichiarazione in
cui hanno accusato i media afghani di impegnarsi nella "propaganda
nemica" e nella diffamazione contro di loro.
«Siamo
scioccati e rattristati per la perdita di Mohammad Ilyas Dayee, un collega
coraggioso e impegnato che non ha mai esitato nella sua determinazione di
riportare le notizie della provincia in cui è nato, Helmand», ha detto Daisy
Sindelar, presidente ad interim di RFE/RL.
Sindelar ha
definito l'omicidio di Dayee "un atto vile e spregevole che devasta una
giovane famiglia e lascia l'Afghanistan senza un giornalista di talento che ha
testimoniato i cambiamenti del suo paese", aggiungendo che "la
crescente minaccia di violenza contro i giornalisti dovrebbe preoccupare
profondamente tutti coloro che hanno investito in un futuro sicuro e pacifico
per l'Afghanistan".
Qadir Habib,
proprietario di Radio Free Afghanistan, ha definito devastante la
notizia dell'uccisione di Dayee. «Era un giornalista di talento, impegnato,
imparziale e coraggioso. Voleva essere la voce della sua gente ed era
instancabile nel farne conoscere al mondo il dolore e la sofferenza», ma
narrandone anche la speranza.
Quando è
entrato a far parte di Radio Free Afghanistan, nel 2008, Dayee ha
mostrato subito una grande dedizione nei confronti del lavoro, ha raccontato
Habib. I suoi reportage si occupavano non solo della pericolosa situazione
della sicurezza a Helmand, dove i talebani e le forze governative combattono
una battaglia quasi permanente, ma anche dell'impatto che tutto ciò determina
sulla vita dei civili nella provincia che confina con il Pakistan ed è vicina
all'Iran.
Tra i suoi
lavori più importanti un racconto sul traffico di droga. La maggior parte
dell'oppio illegale del mondo viene infatti coltivato a Helmand prima di essere
trasformato in eroina.
Salih
Mohammad Salih, giornalista di Radio Free Afghanistan e
carissimo amico di Dayee, ricorda di averlo incoraggiato a far parte di una sua
associazione nel 2008. Oltre a essere un giornalista pieno di risorse Dayee
aveva sempre il desiderio di aiutare gli altri.
«Aveva un
cuore grande e generoso», ha raccontato Salih. «Il mese scorso Dayee ha
ospitato molti parenti e conoscenti nella sua casa quando i combattimenti li
hanno costretti a fuggire dalle loro abitazioni». Un'offensiva talebana poi
fallita volta a invadere la città aveva costretto migliaia di famiglie a
fuggire da Helmand per cercare rifugio nei quartieri più sicuri di Lashkar Gah.
Il 14
ottobre il giornalista aveva infatti pubblicato la foto di una tenda montata
nel suo cortile. «Oggi abbiamo eretto un'altra tenda per una famiglia di
sfollati perché non c'era più spazio nelle camere della nostra casa».
Dayee ha trascorso la sua infanzia a Helmand controllata dai talebani. Diventato giornalista nel 2006 ha lavorato per un'emittente di Stato afghana, per l'Institute of War and Peace Reporting e per l'emittente radiofonica Salam Watandar.
L'omicidio
di Dayee, diffusamente condannato in Afghanistan, non è stato ancora
rivendicato. Zabiullah Mujahid, un presunto portavoce talebano, ha detto
a Radio Free Afghanistan che il gruppo indagherà
sull'omicidio.
Le
associazioni dei giornalisti della capitale, Kabul, e di tutto l'Afghanistan
hanno chiesto al governo di indagare sulla morte del collega e di punire gli
autori del crimine.
Anche il
presidente afghano, Ashraf Ghani, ha condannato l'attentato. «I gruppi
terroristici non possono limitare la libertà di espressione e la voce della
stampa con questi attacchi criminali», ha detto in una dichiarazione. «Il
governo si impegna a proteggere e a rafforzare questo diritto, che il nostro
popolo, la stampa e i giornalisti hanno ottenuto attraverso sforzi e sacrifici
incessanti».
Nonostante
le parole del capo dello Stato, l'Afghanistan non ha punito quasi nessuno dei
responsabili degli omicidi degli oltre 50 giornalisti uccisi in Afghanistan dal
1992, secondo quanto registrato dal
Committee to Protect Journalists (CPJ), l'organizzazione che promuove la
libertà di espressione nel mondo.
«Elyas
Dayee, come altri giornalisti in Afghanistan, stava semplicemente facendo il
suo lavoro cercando di informare il pubblico e non avrebbe mai dovuto temere
per la sua vita», ha dichiarato Aliya Iftikhar, ricercatrice senior sull'Asia di CPJ. «Le autorità
afghane devono porre fine alle uccisioni di giornalisti dimostrando che i responsabili
saranno trovati e chiamati a rispondere dei crimini commessi».
Libia: uccisa Hanan al-Barassi, avvocata e
attivista per i diritti delle donne - Roberta Aiello
Hanan
al-Barassi, nota avvocata libica e attivista per i diritti delle donne
soprannominata “Azouz Barqua”, la signora della Cirenaica, è stata uccisa nella sua auto martedì 10 novembre da tre colpi di arma da fuoco
sparati da alcuni uomini col volto coperto in pieno giorno a Bengasi.
Qualche
giorno prima del suo omicidio al-Barassi aveva dichiarato di aver ricevuto
numerose minacce di morte.
Gli
aggressori hanno inizialmente tentato di rapire la donna in un negozio finendo
poi per spararle e ucciderla, secondo quanto dichiarato dalla Direzione della
sicurezza di Bengasi che ha promesso l'apertura di un'indagine.
Nella
dichiarazione si legge che gli uomini sono poi fuggiti in due auto con i vetri
oscurati.
Il governo
di accordo nazionale libico sostenuto dalle Nazioni Unite ha condannato la
barbara uccisione.
«L'assassinio
di difensori dei diritti umani e di chi esprime opinioni e il mettere a tacere
voci è un crimine atroce e una forma vergognosa di tirannia oltre che un
tentativo disperato di distruggere la speranza di creare uno Stato civile e
democratico», ha affermato il ministro degli Interni libico, Fathi Bashagha.
La morte di
al-Barassi a Bengasi è avvenuta il giorno successivo la pubblicazione di un
post sui suoi profili social in cui la donna aveva annunciato che avrebbe
diffuso un video di denuncia su Saddam Haftar, figlio del generale militare e
leader dell'Esercito nazionale libico (LNA) Khalifa Haftar che controlla la
regione orientale della Libia, compresa la città di Bengasi.
Secondo la
Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL), al-Barassi era “una
voce critica della corruzione, dell'abuso di potere e delle violazioni dei
diritti umani".
«La sua
tragica morte spiega cosa devono affrontare le donne libiche quando si
permettono di parlare», si legge nel comunicato di UNSMIL.
In vari
video pubblicati sul suo profilo Facebook, al-Barassi ha più volte espresso critiche nei confronti di figure fedeli
all'LNA accusando membri di gruppi armati di aggressione e stupro di donne.
In una diretta sui social del 7 novembre aveva raccontato che la figlia era
sopravvissuta a un tentativo di omicidio.
Ancora su
Facebook al-Barassi aveva divulgato nomi e numeri telefonici delle persone che
l'avevano minacciata a causa delle sue critiche esplicite, attirando ulteriori
attacchi e minacce.
Come racconta la CNN nella
diretta condivisa il giorno precedente alla sua uccisione, al-Barassi aveva
detto che non si sarebbe fatta intimidire dalle minacce.
«Non mi
arrenderò, solo i proiettili mi potranno fermare e se morirò, così sia. Solo la
morte potrà zittirmi. Domani condividerò diverse sorprese, diverse sorprese»,
aveva comunicato.
Elham Saudi,
direttrice di Lawyers for Justice in Libya, un'organizzazione che difende e
promuove i diritti umani nel paese tormentato dal conflitto, ha definito l'attacco "un ricordo spaventoso e doloroso della realtà sul
campo" per le donne libiche.
L'uccisione
di Al-Barassi segue una serie di attacchi contro chi critica le forze allineate
all'LNA.
Ad oggi non
si hanno ancora notizie della parlamentare libica Seham Sergewa rapita il 17
luglio 2019 da alcuni uomini armati apparentemente affiliati all'LAAF (Forze
armate arabe libiche) nella sua casa di Bengasi.
Sergewa
aveva espresso forti critiche nei confronti degli attacchi armati di Haftar a
Tripoli.
Nel 2014
Salwa Bugaighis, rinomata avvocata e attivista libica per i diritti
umani, è stata uccisa a colpi d'arma da fuoco nella sua casa a Bengasi da uomini non
identificati. Le autorità non hanno indagato o perseguito nessuno per il suo
omicidio.
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