giovedì 26 novembre 2020

nel paradiso afgano e in quello libico assassinano i migliori

 

Afghanistan, ucciso il giornalista Ilyas Dayee: “Narrava al mondo la speranza e il dolore della sua gente” - Roberta Aiello

 

Mohammad Ilyas Dayee aveva 33 anni, e ha dedicato tutta la sua vita a raccontare le storie della terra dove è nato e viveva, l'Afghanistan.

Il 12 novembre è rimasto ucciso a Lashkar Gah, capitale della provincia meridionale di Helmand, nell'esplosione di un ordigno posizionato sulla sua auto, mentre portava la madre in ospedale. Il fratello di Dayee, ex giornalista di Deutsche Welle, e altre due persone, tra cui un bambino, sono rimasti feriti nell'attentato.

Il giornalista, che lavorava per Radio Free Europe/Radio Liberty (RFE/RL), lascia la moglie e una figlia di un anno e mezzo.

Dayee è l'ultima vittima della crescente violenza in Afghanistan, dove i giornalisti sono presi sempre più di mira dai talebani che hanno intensificato le loro minacce.

Secondo quanto riportato da Human Rights Watch molti professionisti dell'informazione sono stati esplicitamente avvertiti di non raccontare le attività dei talebani, come è accaduto a Dayee.

A ottobre l'uomo aveva confidato ad alcuni suoi colleghi che i talebani gli avevano intimato di non parlare delle recenti operazioni condotte nella provincia di Helmand, né di qualsiasi loro perdita in termini di territorio e di vite umane e di non riportare nessuna notizia su presunte violazioni dell'accordo firmato con gli Stati Uniti che prevede il ritiro delle truppe straniere dal paese.

Colleghi di Dayee hanno detto che nelle settimane precedenti l'attacco, i talebani avevano perquisito la sua casa e interrogato i vicini di casa sui suoi movimenti chiedendo di riferirne i comportamenti.

La notte prima di essere ucciso, Dayee aveva inviato un'e-mail a un collega scrivendogli di ritenere che la sua vita fosse in pericolo.

Nello stesso giorno in cui è stato ucciso, i talebani hanno rilasciato una dichiarazione in cui hanno accusato i media afghani di impegnarsi nella "propaganda nemica" e nella diffamazione contro di loro.

«Siamo scioccati e rattristati per la perdita di Mohammad Ilyas Dayee, un collega coraggioso e impegnato che non ha mai esitato nella sua determinazione di riportare le notizie della provincia in cui è nato, Helmand», ha detto Daisy Sindelar, presidente ad interim di RFE/RL.

Sindelar ha definito l'omicidio di Dayee "un atto vile e spregevole che devasta una giovane famiglia e lascia l'Afghanistan senza un giornalista di talento che ha testimoniato i cambiamenti del suo paese", aggiungendo che "la crescente minaccia di violenza contro i giornalisti dovrebbe preoccupare profondamente tutti coloro che hanno investito in un futuro sicuro e pacifico per l'Afghanistan".

Qadir Habib, proprietario di Radio Free Afghanistan, ha definito devastante la notizia dell'uccisione di Dayee. «Era un giornalista di talento, impegnato, imparziale e coraggioso. Voleva essere la voce della sua gente ed era instancabile nel farne conoscere al mondo il dolore e la sofferenza», ma narrandone anche la speranza.

Quando è entrato a far parte di Radio Free Afghanistan, nel 2008, Dayee ha mostrato subito una grande dedizione nei confronti del lavoro, ha raccontato Habib. I suoi reportage si occupavano non solo della pericolosa situazione della sicurezza a Helmand, dove i talebani e le forze governative combattono una battaglia quasi permanente, ma anche dell'impatto che tutto ciò determina sulla vita dei civili nella provincia che confina con il Pakistan ed è vicina all'Iran.

Tra i suoi lavori più importanti un racconto sul traffico di droga. La maggior parte dell'oppio illegale del mondo viene infatti coltivato a Helmand prima di essere trasformato in eroina.

Salih Mohammad Salih, giornalista di Radio Free Afghanistan e carissimo amico di Dayee, ricorda di averlo incoraggiato a far parte di una sua associazione nel 2008. Oltre a essere un giornalista pieno di risorse Dayee aveva sempre il desiderio di aiutare gli altri.

«Aveva un cuore grande e generoso», ha raccontato Salih. «Il mese scorso Dayee ha ospitato molti parenti e conoscenti nella sua casa quando i combattimenti li hanno costretti a fuggire dalle loro abitazioni». Un'offensiva talebana poi fallita volta a invadere la città aveva costretto migliaia di famiglie a fuggire da Helmand per cercare rifugio nei quartieri più sicuri di Lashkar Gah.

Il 14 ottobre il giornalista aveva infatti pubblicato la foto di una tenda montata nel suo cortile. «Oggi abbiamo eretto un'altra tenda per una famiglia di sfollati perché non c'era più spazio nelle camere della nostra casa».

Dayee ha trascorso la sua infanzia a Helmand controllata dai talebani. Diventato giornalista nel 2006 ha lavorato per un'emittente di Stato afghana, per l'Institute of War and Peace Reporting e per l'emittente radiofonica Salam Watandar.

L'omicidio di Dayee, diffusamente condannato in Afghanistan, non è stato ancora rivendicato. Zabiullah Mujahid, un presunto portavoce talebano, ha detto a Radio Free Afghanistan che il gruppo indagherà sull'omicidio.

Le associazioni dei giornalisti della capitale, Kabul, e di tutto l'Afghanistan hanno chiesto al governo di indagare sulla morte del collega e di punire gli autori del crimine.

Anche il presidente afghano, Ashraf Ghani, ha condannato l'attentato. «I gruppi terroristici non possono limitare la libertà di espressione e la voce della stampa con questi attacchi criminali», ha detto in una dichiarazione. «Il governo si impegna a proteggere e a rafforzare questo diritto, che il nostro popolo, la stampa e i giornalisti hanno ottenuto attraverso sforzi e sacrifici incessanti».

Nonostante le parole del capo dello Stato, l'Afghanistan non ha punito quasi nessuno dei responsabili degli omicidi degli oltre 50 giornalisti uccisi in Afghanistan dal 1992, secondo quanto registrato dal Committee to Protect Journalists (CPJ), l'organizzazione che promuove la libertà di espressione nel mondo.

«Elyas Dayee, come altri giornalisti in Afghanistan, stava semplicemente facendo il suo lavoro cercando di informare il pubblico e non avrebbe mai dovuto temere per la sua vita», ha dichiarato Aliya Iftikhar, ricercatrice senior sull'Asia di CPJ. «Le autorità afghane devono porre fine alle uccisioni di giornalisti dimostrando che i responsabili saranno trovati e chiamati a rispondere dei crimini commessi».

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Libia: uccisa Hanan al-Barassi, avvocata e attivista per i diritti delle donne - Roberta Aiello

 

Hanan al-Barassi, nota avvocata libica e attivista per i diritti delle donne soprannominata “Azouz Barqua”, la signora della Cirenaica, è stata uccisa nella sua auto martedì 10 novembre da tre colpi di arma da fuoco sparati da alcuni uomini col volto coperto in pieno giorno a Bengasi.

Qualche giorno prima del suo omicidio al-Barassi aveva dichiarato di aver ricevuto numerose minacce di morte.

Gli aggressori hanno inizialmente tentato di rapire la donna in un negozio finendo poi per spararle e ucciderla, secondo quanto dichiarato dalla Direzione della sicurezza di Bengasi che ha promesso l'apertura di un'indagine.

Nella dichiarazione si legge che gli uomini sono poi fuggiti in due auto con i vetri oscurati.

Il governo di accordo nazionale libico sostenuto dalle Nazioni Unite ha condannato la barbara uccisione.

«L'assassinio di difensori dei diritti umani e di chi esprime opinioni e il mettere a tacere voci è un crimine atroce e una forma vergognosa di tirannia oltre che un tentativo disperato di distruggere la speranza di creare uno Stato civile e democratico», ha affermato il ministro degli Interni libico, Fathi Bashagha.

La morte di al-Barassi a Bengasi è avvenuta il giorno successivo la pubblicazione di un post sui suoi profili social in cui la donna aveva annunciato che avrebbe diffuso un video di denuncia su Saddam Haftar, figlio del generale militare e leader dell'Esercito nazionale libico (LNA) Khalifa Haftar che controlla la regione orientale della Libia, compresa la città di Bengasi.

Secondo la Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL), al-Barassi era “una voce critica della corruzione, dell'abuso di potere e delle violazioni dei diritti umani".

«La sua tragica morte spiega cosa devono affrontare le donne libiche quando si permettono di parlare», si legge nel comunicato di UNSMIL.

In vari video pubblicati sul suo profilo Facebook, al-Barassi ha più volte espresso critiche nei confronti di figure fedeli all'LNA accusando membri di gruppi armati di aggressione e stupro di donne.

In una diretta sui social del 7 novembre aveva raccontato che la figlia era sopravvissuta a un tentativo di omicidio.

Ancora su Facebook al-Barassi aveva divulgato nomi e numeri telefonici delle persone che l'avevano minacciata a causa delle sue critiche esplicite, attirando ulteriori attacchi e minacce.

Come racconta la CNN nella diretta condivisa il giorno precedente alla sua uccisione, al-Barassi aveva detto che non si sarebbe fatta intimidire dalle minacce.

«Non mi arrenderò, solo i proiettili mi potranno fermare e se morirò, così sia. Solo la morte potrà zittirmi. Domani condividerò diverse sorprese, diverse sorprese», aveva comunicato.

Elham Saudi, direttrice di Lawyers for Justice in Libya, un'organizzazione che difende e promuove i diritti umani nel paese tormentato dal conflittoha definito l'attacco "un ricordo spaventoso e doloroso della realtà sul campo" per le donne libiche.

L'uccisione di Al-Barassi segue una serie di attacchi contro chi critica le forze allineate all'LNA.

Ad oggi non si hanno ancora notizie della parlamentare libica Seham Sergewa rapita il 17 luglio 2019 da alcuni uomini armati apparentemente affiliati all'LAAF (Forze armate arabe libiche) nella sua casa di Bengasi.

Sergewa aveva espresso forti critiche nei confronti degli attacchi armati di Haftar a Tripoli.

Nel 2014 Salwa Bugaighis, rinomata avvocata e attivista libica per i diritti umani, è stata uccisa a colpi d'arma da fuoco nella sua casa a Bengasi da uomini non identificati. Le autorità non hanno indagato o perseguito nessuno per il suo omicidio.

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