Ci pensa la vita, da sola, ogni tanto, a scombinarti i piani; e tu, sonnambulo, magari costretto a dare tutto per una persona a te cara, vaghi tra possibili soluzioni e irrisolti problemi nelle ore liquide della giornata. Costretto a sacrificarti persino di notte. Spezzando il sonno, i sogni; ciò che ti costituisce. Bisognerebbe forse arrendersi in questi casi, lasciarsi trasportare dalle onde e dalle mareggiate della realtà, tanto potente da rovesciare gli iceberg di ogni equilibrio precostituito? Intendo: dare la vita per qualcun altro. Qualcuno che fino all’ultimo l’ha data per te. Qualche volta succede. Tocca anche a me. Ora è nuovamente il mio turno.
Eppure non è
facile arrendersi. Non lo è per nessuno. Eppure, i libri mi guardano arrivare
stanco nella stanza-studio. Dino e Walt, eccoli…, i primi che scorgo, sembrano
parlarmi da silenzi lontani. Poi Joseph, George, Alexandre, Simone e Hermann.
Tutta gente che aveva il fuoco dentro. Quello stesso fuoco che animava le giornate
d’amore e gelo di Amedeo, a Parigi. Di conseguenza Anna, Marina, Cristina,
Alejandra, si stringono in forte abbraccio. “Vivere ogni giorno come se fosse
l’ultimo”: sembrano rianimarmi nella stanza, ondeggiando tra le barricate della
piccola biblioteca. Per la prima volta il silenzio vibra e mi fa conoscere
nuovamente il valore del sacrificio. Rinunciare a tutto ‒ addirittura
alla scrittura e alla lettura, a ciò che si ha di più caro (come un fogliettino
ripiegato da anni nel portafoglio) ‒ per il bene di qualcun altro. Interrompendo
più e più volte pure il breve pensiero che ora stai leggendo, proprio per dare
una mano, non lasciar sola, nel momento della prova, chi mi ha dato la vita.
Eppure quel fuoco viene proprio da là, dalle viscere di una donna che ci ha scaraventato in mezzo al mondo, dicendoci: arrangiati, cadi, rialzati; sono affari tuoi!
Nonostante
tutto, brucio ancora. Vivo. Qualcosa rimane sempre d’incompiuto, perfino nella
fatica inimmaginabile. Il fuoco nella notte mi fa ricordare di avere un’ombra,
e mi scalda in questa stanza così gelata, d’autunno.
Esiste una
dignità del dolore che va rispettata fino in fondo. Una dignità che dilania il
cuore. Io la conosco. L’ho
provata. Forse, perfino tu che mi leggi ancora…
Mi ricorda
da dove vengo, l’urlo, il dolore, il fuoco, l’amore. Mi ricordo che le
battaglie non sono affatto finite e che, intrapresa una, molte altre stanno per
tendere un agguato.
Ci pensa la
vita a dirti: prendere o lasciare: come a dire, prenderti sul serio o gettare
la spugna. Qual è la cosa più facile da fare? Non lo voglio scrivere. Affermo,
piuttosto, che non scappo dai problemi. A costo di dover ritornare da dove sono venuto, un
tempo, oramai lontano. Ci sbatto contro ai problemi, per fame e per sete. Altro
che la fama. L’altra settimana mi è venuto a trovare, facendomi una
sorpresa (erano otto giorni che non vedevo nessuno la sera), il nipote di
Simone Cattaneo: Ti auguro di non diventare mai famoso, mi ha detto. Averne di
auspici del genere! Liberi di essere, liberi di creare nuovi mondi.
Senza alcun vincolo. Poi ‒ come dicevo ‒ ci pensa quella stessa bella e timida
vita a cambiare le regole del gioco. Tuttavia, senza inquietudini,
nulla sarebbe di me.
Guardo
nuovamente i miei libri: L’umorismo di Luigi Pirandello
improvvisamente prende fuoco, ravviva per un attimo la mia triste feconda tarda
serata. Ho ripreso a scrivere, nonostante tutto. Anche stanotte sarò presente,
pronto ad alzarmi all’una, se necessario, per non lasciare sola chi ha dato
tutto per i miei sogni. E poi all’alba, in piedi, per andare come sempre a
lavorare.
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