Non so la tua, la mia vita è cambiata radicalmente.
Io esco di
casa, e per la prima volta, misuro ogni passo.
Prima dormivo mentre camminavo.
Ero un morto
ambulante, sicuro sempre di vivere.
Oggi sono
un vivo ambulante, perché so di poter morire.
Adesso so cosa sto facendo.
Prima di
uscire, mi accerto di avere la mascherina.
Lasciamo
perdere se questo oggetto inquinante e soffocante serve realmente a qualcosa, o
se davvero corriamo il rischio di morire in massa.
Mi basta
gioire del fatto che bisogna indossare un oggetto rituale prima di compiere
un’azione qualunque, che sia buttare i rifiuti o comprare il pane.
I passi che
prima facevo senza esserci, ora li compio
con coscienza.
Una volta,
quando ero ancora uno zombie, inciampavo in facce sconosciute e immediatamente
dimenticate.
Adesso ho
davanti persone.
Le guardo in
faccia ad una ad una, e con ognuna ci raccontiamo in silenzio queste parole:
Io ti posso uccidere, o tu puoi
uccidere me, o tu potresti usarmi per uccidere qualcuno che mi è caro.
Sono persone
piccole e irrilevanti come me, ma ciascuno di noi, quando si fa portatore di morte, diventa speciale e più bello, e ci
guardiamo – sopra la mascherina cinese – dritto negli occhi.
Tra
assassini potenziali, ci capiamo, e ne nasce anche uno strano affetto e un
grande rispetto, perché ogni assassino è sicuramente una persona speciale.
E’
irrilevante ogni giudizio morale: la persona che potrebbe uccidere me, o i miei
cari, potrebbe essere un’ottima persona.
Ci siamo
raccontati, per troppo tempo, di avere diritto a tutto e subito,
solo perché siamo umani.
Adesso, la
notte, dobbiamo rispettare le voci delle civette.
Il mio amico
psicologo ogni venerdì prende il treno per Roma, per incontrare i suoi
pazienti.
Un anno fa,
la carrozza era sempre piena, perché tante persone avevano motivi impellenti per andare da Firenze a Roma.
Poi arriva la Morte, e chiede con la sua solita saggia dolcezza, ma sei proprio sicuro di sapere cosa sia importante, e cosa non lo
sia?
Adesso il
mio amico è quasi l’unico passeggero in tutta la carrozza: in fondo non era
così importante andare da Firenze a Roma.
E non era
nemmeno così importante fare la crociera, o vedere lo spettacolo, o mandare in
Cina venti milioni di cadaveri di visoni, o fare la nuova pista dell’aeroporto,
o strafarsi di cocaina alle tre di mattina, o costruire un nuovo grattacielo,
o…
Ero molto
giovane, sui quindici anni, e molto cretino, quando scoprii Carlos Castaneda.
Una persona
di cui esiste un’unica fotografia che probabilmente è falsa.
Ci sono
persone che riescono a sfuggire a ogni dominio,
come Carlos Castaneda, o come Licorice McKechnie, che
“scomparve nel deserto”, senza lasciare traccia.
Ecco alcune
frasi che Castaneda attribuì al suo vero, presunto, reale, immaginario maestro
messicano.
Importa
poco, chi le abbia dette davvero, ma il Messico immaginario ha questo da dare
al mondo, assieme a patate e pomodori.
“Nulla in
questo mondo è un dono. Tutto ciò che dobbiamo imparare, dobbiamo impararlo
nella maniera più difficile.
Una persona cerca saggiamente la conoscenza, così come va in guerra: del tutto sveglia, con timore, con rispetto, e con assoluta
sicurezza.
Cercare la conoscenza o andare in guerra in qualunque altro modo è un
errore. Chiunque compia questo errore – se sopravvive – se ne pentirà.
Quando avremo compiuto tutti e quattro i requisiti – essere pienamente svegli, avere paura, rispetto e assoluta
sicurezza – non ci saranno errori di cui dovremo rendere conto.
In tali condizioni, le nostre azioni
non saranno più quelle di uno sciocco”.
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