Astenersi dal vendere armi e attrezzature militari all’Arabia Saudita, agli Emirati Arabi Uniti e a qualsiasi membro della coalizione internazionale attiva nel conflitto in Yemen, nonché al governo yemenita e ad altre parti del conflitto”. “Sospendere la concessione di licenze di esportazione di armi alla Turchia”. “Sospendere le esportazioni verso l’Egitto di armi, tecnologie di sorveglianza e altre attrezzature di sicurezza”.
Lo chiede, senza troppi giri di parole, il Parlamento Europeo che lo scorso
16 settembre ha approvato un’importante risoluzione sulla “Esportazione di armi” in attuazione della Posizione
comune 2008/944/PESC.
Una risoluzione beatamente ignorata da gran parte dei maggiori mezzi di
informazione italiani, a parte qualche lodevole eccezione come il nuovo
quotidiano “Domani” (che vi ha dedicato un ampio articolo), forse perché
scomoda ai loro partiti di riferimento o anche solo per non inimicarsi gruppi
industriali e fornitori di pubblicità.
L’Europa e la corsa agli armamenti
La risoluzione evidenzia innanzitutto un fatto preoccupante. “A livello
mondiale – nota l’Europarlamento – si sta diffondendo una nuova corsa agli armamenti e
le principali potenze militari non ricorrono più al controllo degli armamenti e
al disarmo per ridurre le tensioni internazionali e migliorare il clima di
sicurezza globale”.
In questo contesto non è da sottovalutare il ruolo che ricopre l’Europa:
come riporta la risoluzione “le esportazioni di armi dall’UE a 28, nel periodo
2015-2019, ammontavano a circa il 26% del totale mondiale, facendo dell’UE a 28 nel suo complesso il secondo maggiore
fornitore di armi del mondo dopo gli Stati Uniti (36%) e prima
della Russia (21%)”.
Vi è quindi una “particolare responsabilità” degli Stati membri nelle
esportazioni di armi e sistemi militari considerato che queste esportazioni
possono “aggravare le tensioni e i conflitti esistenti”. In particolare “verso
i Paesi di Medio Oriente e Nord
Africa, regione teatro di vari conflitti armati, che continuano a
essere la prima destinazione
regionale delle esportazioni“.
L’Europa tra pulsioni nazionaliste e disarmo
Non solo. L’Europarlamento evidenzia un ulteriore elemento di crisi e, di
conseguenza di particolare attenzione per l’Unione.
“In un mondo multipolare sempre più instabile, ove sono in aumento forze nazionaliste, xenofobe e
antidemocratiche, è essenziale che l’Unione europea diventi un attore
influente sulla scena mondiale e conservi il suo ruolo guida con un potere di persuasione (soft power) a
livello globale, impegnata a
favore del disarmo sia delle armi convenzionali che di quelle nucleari,
e investendo nella prevenzione dei conflitti, nella gestione delle crisi e
nella mediazione prima di prendere in considerazione le opzioni militari”.
Il richiamo al disarmo e alla prevenzione dei conflitti non è scontato ed è
importante che l’Europarlamento abbia ribadito che l’industria della difesa
debba servire innanzitutto a “garantire la difesa e la sicurezza degli Stati
membri dell’Unione” rispetto alla “competitività”
industriale: “l’ambizione di accrescere la competitività del settore europeo
della difesa non deve compromettere l’applicazione degli otto criteri della
Posizione comune poiché essi sono
prioritari rispetto a eventuali interessi economici, commerciali,
sociali o industriali degli Stati membri” – ribadisce la risoluzione.
E’ in questo contesto che il Parlamento europeo chiede agli Stati membri di
sospendere le forniture di armamenti e sistemi militari non solo ai Paesi
già sottoposti a misure di embargo da
parte dell’UE (Bielorussia, Repubblica centrafricana, Cina, Iran, Libia,
Myanmar, Corea del Nord, Federazione russa, Somalia, Sud Sudan, Sudan, Siria,
Venezuela, Yemen e Zimbabwe), ma anche a Paesi che, con il loro intervento
militare, stanno aggravando
conflitti regionali.
Stop alle forniture di armi alla coalizione
saudita
Tra questi, innanzitutto, il
conflitto in Yemen. Ricordando la risoluzione del 4 ottobre 2018 sulla
situazione nello Yemen, l’Europarlamento “esorta tutti gli Stati membri dell’UE
ad astenersi dal vendere armi e
attrezzature militari all’Arabia Saudita, agli Emirati Arabi Uniti e
a qualsiasi membro della coalizione internazionale, nonché al governo yemenita
e ad altre parti del conflitto”.
La risoluzione, inoltre, “accoglie con favore le decisioni dei governi di
Belgio, Danimarca, Finlandia, Germania, Grecia, Italia e Paesi Bassi di
adottare restrizioni sulle loro esportazioni di armi verso paesi che sono
membri della coalizione a guida saudita coinvolti nella guerra nello Yemen”.
Ed evidenzia che “tali esportazioni
violano chiaramente la posizione comune”. Ricorda inoltre che tra il 25
febbraio 2016 e il 14 febbraio 2019 il Parlamento ha invitato, mediante
risoluzioni in plenaria, almeno
dieci volte il Vicepresidente/Alto rappresentante (che era Federica
Mogherini) ad “avviare un processo
finalizzato ad un embargo dell’UE sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita,
anche per quanto riguarda, nel 2018, altri membri della coalizione a guida
saudita nello Yemen e ribadisce
nuovamente tale invito”.
Un invito che l’Italia farebbe
bene ad ascoltare almeno prorogando la sospensione di forniture di “bombe
d’aereo e missili” verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti
decisa nel giugno dell’anno scorso a seguito della mozione presentata dai
partiti dell’allora maggioranza di governo (M5S e Lega) ed approvata col voto
favorevole dei due suddetti partiti, con l’astensione di tutti gli altri e
nessun voto contrario.
Come noto, una mozione per sospendere tutte le forniture militari a tutti i Paesi facenti parte
della coalizione a guida saudita coinvolti nei bombardamenti in Yemen era
stata fortemente richiesta, da
almeno tre anni, da un ampio gruppo
di associazioni tra cui Rete italiana per il disarmo, Amnesty
International, Oxfam e Save the Children.
L’ultima Relazione governativa riporta invece che anche lo scorso anno sono state rilasciate ben 57 nuove
autorizzazioni per forniture di sistemi militari per l’Arabia Saudita e gli Emirati
Arabi Uniti del valore complessivo di oltre 196 milioni di euro tra cui
figurano “bombe, siluri, razzi e
missili”, cioè proprio i sistemi militari che avrebbero dovuto essere
sospesi.
Nessuna spiegazione è finora pervenuta né dal nuovo governo né
dall’autorità preposta al rilascio delle autorizzazioni: l’Unità per le
autorizzazioni dei materiali di armamento (UAMA).
Sospendere le licenze di armi alla Turchia
Anche nei confronti della Turchia, l’Europarlamento invita il
Vicepresidente/Alto rappresentante a “introdurre un’iniziativa in seno al
Consiglio affinché tutti gli Stati
membri dell’UE sospendano la concessione di licenze di esportazione di armi”.
La risoluzione “condanna fermamente la firma dei due memorandum d’intesa
tra la Turchia e la Libia sulla delimitazione delle zone marittime e su una
cooperazione militare e di sicurezza globale che sono interconnessi e violano
chiaramente il diritto internazionale e la risoluzione del Consiglio di
sicurezza delle Nazioni Unite che impone un embargo sulle armi nei confronti
della Libia”.
La risoluzione ricorda la “decisione
presa da alcuni Stati membri di sospendere la concessione di licenze di
esportazione di armi alla Turchia”.
Decisione che l’anno scorso ad ottobre il ministro degli Esteri
italiano, Luigi Di Maio,
ha annunciato di
aver implementato firmando un “atto interno alla Farnesina” – che
non è mai stato reso pubblico – per bloccare però solo le “vendite future di armi alla Turchia” e
per “avviare un’istruttoria sui contratti in essere».
Come ha rivelato un’ampia inchiesta di Altreconomia, nonostante questi annunci, l’Italia ha continuato a
fornire armamenti alle forze armate di Ankara.
Non solo: dai dati del registro dell’Istat sul commercio estero, analizzati
dall’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e
difesa (OPAL) da novembre del 2019 a luglio del 2020 sono
stati esportati in Turchia più di 85 milioni di euro di “armi e munizioni”,
una cifra che costituisce il record storico dal 1991; solo nel primo semestre
del 2020 l’export si attesta a quasi 60 milioni di euro.
Si tratta in gran parte di munizionamento pesante, prodotto ed esportato
soprattutto all’azienda “Meccanica per
l’elettronica e servomeccanismi” (MES) con sede a
Colleferro in provincia di Roma: azienda che produce ed esporta munizionamento
militare come il colpo completo di calibro 105/51 millimetri HEAT-T e di 120
millimetri HEAT-MP-T.
Ma sono continuate anche le esportazioni ad Ankara di bombe aeree prodotte dalla RWM Italia. Anche a fronte di
queste nuove forniture, ieri con un comunicato la Rete Italiana Pace e Disarmo ha rinnovato la richiesta al governo
italiano di bloccare le forniture di armamenti al regime di
Erdogan.
Sospendere le esportazioni di armi all’Egitto
Ricordando che, a seguito del colpo di stato del generale Al Sisi, già
nell’agosto del 2013 il Consiglio degli Affari esteri dell’UE aveva deciso che
“gli Stati membri dell’Unione hanno convenuto di sospendere le licenze di esportazione verso l’Egitto di attrezzature che
potrebbero essere usate a fini di repressione interna”, l’Europarlamento “condanna il mancato
rispetto persistente di tali impegni da parte degli Stati membri”
ed “invita pertanto gli Stati membri a sospendere le esportazioni verso l’Egitto di armi, tecnologie
di sorveglianza e altre attrezzature di sicurezza in grado di facilitare gli
attacchi contro i difensori dei diritti umani e gli attivisti della società
civile, anche sui social media, nonché qualsiasi altro tipo di repressione interna”.
La risoluzione invita inoltre il Vicepresidente/Alto rappresentante “a riferire
sullo stato attuale della cooperazione militare e di sicurezza degli Stati
membri con l’Egitto” e chiede che “l’Unione dia piena attuazione ai controlli
sulle esportazioni verso l’Egitto per quanto riguarda i beni che potrebbero
essere utilizzati a fini repressivi o per infliggere torture o la pena
capitale”.
In questi anni, nonostante il persistere della repressione interna, la
mancata cooperazione da parte delle autorità egiziane a fornire le informazioni
richieste dai magistrati italiani riguardo all’orribile uccisione di Giulio Regeni e anche
all’incarcerazione illegittima di Patrick Zaki, l’Italia ha continuato a fornire armi e
sistemi militari all’Egitto. Anche in questo caso, nonostante il
ministro Di Maio lo scorso giugno abbia
affermato che la vendita delle due fregate Fremm all’Egitto non è ancora
conclusa, nei giorni scorsi un’ampia
inchiesta de “L’Espresso” ha rivelato che l’affare è stato portato a
termine. Amnesty International e
Rete Italiana Pace e Disarmo con un comunicato hanno
sollecitato il Governo a rivedere questa decisione “illegale e pericolosa” e
hanno rinnovato la richiesta al Parlamento di esaminare con attenzione la
questione e di manifestare pubblicamente il proprio parere. Non va dimenticato,
inoltre, che l’Italia nonostante la decisione del Consiglio dell’UE, già dal
2014 ha continuato a inviare alle forze di sicurezza egiziane anche armi e
munizioni che possono essere impiegate per la repressione interna.
E il Parlamento italiano?
E’ compito delle forze politiche che hanno promosso e votato la risoluzione
al Parlamento europeo chiedere al governo italiano di sostenerla in sede di
Consiglio Ue e, soprattutto, di cominciare ad attuarla con precise restrizioni
che deve assumere il governo italiano. I due partiti al governo, Movimento 5 Stelle e Partito Democratico,
a Bruxelles hanno votato a
favore della risoluzione e, nelle loro dichiarazioni, hanno richiamato la
necessità degli Stati di “essere credibili” nell’attuare le restrizioni
previste sulle esportazioni di armi e sistemi militari. Ci auguriamo che
vogliano esserlo anche i loro colleghi che siedono nel Parlamento italiano.
Articolo pubblicato anche sul blog Unimondo.org
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