(di Fabrizio Dentini)
Il collettivo PCP (Poliziotti contro il
Proibizionismo) è composto da agenti di polizia e gendarmi francesi, in
attività o meno, che, grazie all’esperienza della loro professione, hanno
deciso di unirsi per promuovere una riforma della legge sugli stupefacenti e
per testimoniare l’inefficacia del divieto e della repressione del consumo di
droga. Benedicte Desforges, portavoce del collettivo, spiega perché un’altra
polizia è possibile e soprattutto necessaria in Italia come in Francia.
Perché un poliziotto decide di mettersi dall’altro
lato del proibizionismo?
Essere poliziotto significa anche essere un cittadino
all’interno della società, significa essere autorizzati a pensare in maniera
indipendente e a esercitare una critica rispetto alle proprie funzioni,
all’applicazione della legge e al suo contenuto. Avendo la sorte di essere
posizionati all’ultimo gradino della catena penale, siamo in contatto diretto
con la delinquenza e con alcuni aspetti della società. Si tratta di un contatto
che, prima dell’intervento della magistratura, non è mediato da nessun prisma
mediatico o politico. La nostra conoscenza della società, per chi ha voglia di
osservarla, è unica. Parlando della repressione dei consumatori di sostanze
stupefacenti, siamo probabilmente i meglio posizionati per capire che non serve
a nulla e che genera degli effetti perversi. I consumatori, nel peggiore dei
casi, fanno solo male a se stessi. Noi possiamo arrestarli o denunciarli in
maniera sempre più intensa, ma il narcotraffico non ne risente in maniera
alcuna.
Penalizzare i consumatori non serve a nulla?
Si tratta di una repressione inutile che, in più, non
ha alcun impatto pedagogico o sanitario. È quindi abbastanza semplice, quando
si è poliziotti, adoperare indulgenza nei confronti dei consumatori. Anche
perché, professionalmente, la repressione di questo delitto, una disobbedienza
senza conseguenza, non è molto valorizzante.
Come si passa dalla repressione quotidiana dei consumatori
al loro sostegno politico?
Adottando una posizione contro il proibizionismo, il
nostro collettivo è in linea con le aspettative dei consumatori. Inoltre
proponiamo un modello di polizia differente, più interessante per noi
poliziotti e per i cittadini. Senza la repressione dei consumatori verrebbe
meno la «politica dei numeri», cioè la politica dell’amministrazione che in
luogo della qualità del lavoro svolto, predilige ed esige la quantità.
L’esercizio quotidiano del nostro impegno potrebbe calibrarsi verso una
delinquenza più pericolosa come il narcotraffico. In Francia, più della metà
dell’attività proattiva della polizia è dedicata al consumo di sostanze: uno
spreco di tempo per polizia e magistratura e uno spreco di risorse pubbliche. I
rapporti fra polizia e popolazione ne risulterebbero migliorati: la repressione
dei consumatori diventa infatti, spesso, un pretesto per il controllo di certe
fasce della popolazione, in particolare i più giovani e i più precari.
Quale impatto ha il vostro collettivo sulle politiche
antidroga del vostro paese?
Il collettivo esiste da soli due anni e il nostro
impatto a livello di politiche nazionali è nullo. Ciononostante, le nostre
argomentazioni risultano d’interesse per alcuni parlamentari. Ad esempio, in
tema di correlazione fra la repressione di questi delitti e la politica dei
numeri. Convincere chi scrive le leggi è un lavoro di pazienza e perseveranza.
Il collettivo, comunque, porta una voce inedita perché siamo poliziotti e
andiamo ad integrare efficacemente, col nostro punto di vista, il contesto
antiproibizionista. Abbiamo suggerito diverse proposte con lettere aperte o
trasmesse ai deputati. Ci auguriamo, tra le altre cose, che i test salivari
eseguiti su chi guida vengano sostituiti con testi comportamentali. Suggeriamo,
poi, che la prevenzione delle droghe nelle scuole non venga affidata ai
poliziotti, ma a specialisti e auspichiamo, infine, che la polizia venga
provvista di kit al naloxone per venire in aiuto alle vittime di overdose.
Quest’ultima proposta, che ci sta particolarmente a cuore, perché ci darebbe la
possibilità di non svolgere un ruolo esclusivamente repressivo, è stata presa
in considerazione dal Ministero della Salute.
Vuole mandare un messaggio ai suoi colleghi italiani?
I danni del proibizionismo sono gli stessi in Francia ed in Italia. I poliziotti non possono che tirare le stesse somme: perdono il loro tempo con gli stessi arresti e con le stesse procedure. L’opinione deve essere per forza la stessa. Ai nostri colleghi italiani quindi voglio di dire: riflettete sulla società nella quale vorreste vivere, riflettete sulla possibile rivalorizzazione del vostro mestiere, sulle relazioni che intrattenete con la popolazione… Una persona che fuma o coltiva cannabis o sniffa un riga di cocaina nel week end, è il delinquente che sognavate di arrestare prima di diventare poliziotti? Non possiamo cercare tutti insieme di fare in modo di lavorare per svolgere un mestiere più efficace e più concentrato sui «veri» delinquenti? E perché concedere a chiunque la libertà di scegliere cosa fare con il proprio corpo e con il proprio stato di coscienza fino a quando non nuoce al prossimo, potendo contare su di un’informazione corretta, è cosa impossibile quando si è immersi nella politica proibizionista? Per concludere direi loro di interessarsi alla politica del Portogallo dove, da quasi 20 anni, il consumo di tutte le droghe è stato depenalizzato. Questa scelta è stata un successo da tutti i punti di vista e i poliziotti possono dedicare il loro tempo alla delinquenza di livello e non si lamentano affatto di questa politica più coerente e più umana.
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