Viviamo nel Paese più sicuro del continente ma secondo un sondaggio Swg quasi quattro italiani su dieci chiedono la pena di morte, nello sfilacciamento inarrestabile di un approccio garantista di giustizia, una conquista lunga secoli e oggi considerata una fisima da bevitori di champagne.
Un sondaggio che Swg ha chiuso da pochi giorni e offerto a Huffington Post conferma le sensazioni: in Italia comincia a ribollire una gran voglia di patibolo. Il 37 per cento gradirebbe sbrigare certe faccende con la pena di morte. Tre anni fa eravamo al 35, nel 2010 al 25. Più di un punto all’anno, e se va avanti così nel 2030 saremo pronti a ritirare su le forche o a riarmare i plotoni d’esecuzione.
Bel paese dei paradossi. Venerdì sera ero al Maxxi a presentare il libro di Federica Graziani e Luigi Manconi (Per il tuo bene ti mozzerò la testa, Einaudi stile libero) e insieme abbiamo offerto qualche dato. Nel 1990 in Italia sono stati compiuti quasi mille e ottocento omicidi volontari. Due anni dopo erano già oltre trecento in meno. Nel 1996 siamo scesi sotto la soglia dei mille (953) per non varcarla più. A ogni rilevazione le cose vanno meglio. Nel 2017 erano 397, 345 nel 2018. I numeri così dicono già qualcosa ma non abbastanza. Vanno raffrontati.
L’ultimo studio di Eurostat spiega che il paese più pericoloso d’Europa è la Lettonia: 5.6 omicidi ogni centomila abitanti. Seguono Lituania, Estonia, Malta e poi il Belgio (1.7). In Francia sono 1.4, In Finlandia 1.3, in Inghilterra 1.2, in Svezia e Danimarca 1.1, in Germania 0.9. E l’Italia? Ultima. Zero virgola sei omicidi ogni centomila abitanti, come in Lussemburgo (dove però vivono in seicentomila e basta poco a ribaltare le statistiche da un anno con l’altro).
L’Italia è il paese più sicuro d’Europa. Ma non lo sa nessuno, o quasi. Potremmo vantarcene, imbastirne campagne di autocelebrazione, macché: il discorso pubblico, politico e mediatico, gira attorno all’insicurezza, a come rimediare a un sentimento collettivo di violabilità che è, appunto, soltanto un sentimento. Nemmeno l’aumento dell’immigrazione ‒ l’immigrazione porta sempre criminalità, non soltanto la nostra, sempre ‒ ha impedito agli omicidi di calare in quantità spettacolari, intanto che calano le rapine, i furti con scasso, i reati in generale.
E invece, a ogni caso di cronaca nera, da eccezione che è se ne fa la regola, la costante di un orrore che non esiste, si invocano punizioni esemplari e drastiche, si lacrima su tempi cupi in una delirante idea di cupezza, si imbastiscono indagini sociologiche basate sul niente. Si diffonde soprattutto una sensazione di paralizzante insicurezza che è un incredibile ribaltamento della realtà, e porta a leggi sproporzionate, a esser buoni, come quelle sulla legittima difesa o l’omicidio stradale, all’inasprimento delle pene come unica, spietata e pigra risposta a emergenze immaginarie, alla sospensione della prescrizione, all’uso sovietico dei trojan e così via.
Un’ultima annotazione. Nel 2015, Skuola.net chiese a 21 mila studenti un parere sulla reintroduzione della pena capitale. Il 43 per cento se ne disse favorevole. Sarebbe bello capire come stanno le cose cinque anni dopo e, se il trend segue quello offerto da Swg, forse siamo già alla maggioranza. È questa la generazione che stiamo tirando su, inconsapevole dell’orrore del patibolo.
L’articolo è tratto da huffingtonpost.it, 19 ottobre 2020
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