‘Exit strategy’ che somiglia troppo allo ‘scappa scappa’. Ritiro delle truppe Usa dal terreno, con Trump che vuole procedere più in fretta di quanto stabilisca l’accordo con i Talebani. Quasi il marito in barzelletta che decide una certa amputazione per far dispetto… a Biden. Il prossimo presidente, che erediterà una scelta che non potrà cambiare e che gli creerà molto problemi col governo di Kabul e alleati nell’area. Mentre diventa sempre più forte lo scontento del governo di Kabul, escluso dal tavolo. (PS, ma i militari italiani ancora lì? Qualcuno parli).
Trump in
ritirata armata e problemi irrisolti
Via le
truppe Usa da Afghanistan, Iraq e Somalia. L’ordine esecutivo del presidente
uscente, Donald Trump, ancora non c’è, ma potrebbe arrivare a giorni, avverte
Giuliano Battiston sul Manifesto: «Non siamo gente da guerra perpetua – è
l’antitesi di ciò per cui ci battiamo e per cui i nostri avi hanno combattuto.
Tutte le guerre devono finire». E Trump scopre toni da vero capo di Stato quasi
fuori tempo massimo.
Scopriamo anche che il neo ministro alla Difesa Usa, Chris Miller, dopo il
recente licenziamento di Mark Esper, in una lettera al personale, annuncia che
«è tempo di tornare a casa». Dopo di che, grazie allo Washington Post,
scopriamo che l’ex ministro Esper, pochi giorni, fa aveva inviato un memo
classificato alla Casa Bianca dicendosi preoccupato di un ritiro «precipitoso»
dall’Afghanistan. Ed è stati ‘ritirato’ lui.
Ritiro di
corsa tra rischi politici e militari, perché?
L’accordo
tra Stati uniti e Talebani firmato a Doha il febbraio scorso, prevede il ritiro
americano completo entro l’1 maggio 2020. E Trump finora ha rispettato i patti.
Battiston meticoloso: «le truppe americane sono passate da 13mila a febbraio a
8.600 a giugno, oggi sono 4,500 circa ed entro il 15 gennaio – 5 giorni prima
dell’insediamento di Joe Biden – potrebbero essere ridotte a 2.500, secondo il
calendario fornito in passato da Robert Charles O’ Brien, consigliere per la
sicurezza nazionale, e confermato dalle indiscrezioni di questi giorni».
Ma Trump, alla vigilia delle elezioni aveva dichiarato di voler portare tutti a
casa entro Natale. Promessa elettorale tra le molte, ma le eventuali forzature
che si profilano, presentano aspetti inquietanti e minacciosi anche per la
parte italiana.
Tempi
tecnici, rischi militari e politici
«Ritiro
completo entro Natale o gennaio impossibile, a meno di non lasciare tutto
l’equipaggiamento sul terreno», ha spiegato l’esperto militare Jonathan
Schroden. E non sarebbe poca cosa. «In Afghanistan ci sono 4.500 soldati Usa,
6.500 circa della Nato, almeno 20mila contractor e poi elicotteri, camion,
armi, strumenti sensibili che il Dipartimento della Difesa non vuole
abbandonare o distruggere». «Servono mesi per il ritiro completo», spiegano.
Mesi durante i quali Kabul spera di rafforzarsi.
Eredità avvelenata per Joe Biden, un accordo bilaterale Usa-Talebani che ha
fortemente penalizzato il governo di Kabul, escluso dall’accordo, e rafforzato
i Talebani, passati all’incasso: il ritiro, legittimità politica
internazionale, il rilascio di 5mila prigionieri, senza dover mai riconoscere
il governo afghano e senza dover abbandonare le armi.
Guerra persa
male e conclusa peggio
«I Talebani
e Kabul, che il 12 settembre hanno inaugurato il dialogo intra-afghano,
aspettano di vedere le mosse di Biden: un periodo di incertezza che verrà
sfruttato dagli attori contrari alla pace, dentro e fuori dal Paese, dentro e
fuori dai due fronti». Il presidente afghano Ghani che vorrebbe rinviare a
tutti i costi la pericolosa (per lui) uscita militare Usa, e i Talebani che
spiegano l’accordo di Doha rimane «un documento eccellente». Biden considera la
guerra afghana impossibile da vincere, il governo di Kabul corrotto e
inefficiente.
Di recente, su Foreign Affairs e su Stars and Stripes, ha confermato di
«sostenere il ritiro delle truppe». Trump o Biden, per gli Stati uniti la
guerra afghana è chiusa. E persa.
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