Se il giornalismo racconta i luoghi
lontani dal centro in modo emergenziale e con uno stile colonialista, genera
come reazione la richiesta di commissari, senza comprendere i problemi né
immaginare soluzioni
Ieri è andato in onda su La7 un servizio di Massimiliano Andreetta a Piazza
Pulita su un quartiere di Roma Piana del sole. È il posto dove vive
Fratellì (noto su instagram come 1727), un ragazzo che mise qualche
mese fa un video in cui faceva un botto con la macchina che è diventato virale, e da
allora in poi tenta di svoltare sui social qualche soldo attraverso la minima
notorietà che ha acquisito, inventandosi una specie di saga coatta con sé come
protagonista.
Piana del sole ovviamente non è conosciuta da molti, è una ex borgata tra
la Portuense, Fiumicino e Malagrotta; ma i servizi televisivi sulla periferia
romana invece li conoscono tutti: sono un classico del giornalismo
contemporaneo. Musica enfatica di sottofondo, un po’ di vox populi di ragazzini
che si girano una canna, e l’unica conclusione che si può trarre è che ci sia
«un grande vuoto». Ora, se vogliamo essere onesti intellettualmente, il più
grande vuoto che persiste non è quello dei quartieri, ma quello di conoscenza,
di curiosità, di studio.
Guardiamoci insieme questo servizio di Piazza pulita e poi leggiamoci un pezzo di Roma alla conquista del West di Antonello Sotgia e
Rossella Marchini:
Prima di arrivare all’enorme quartiere del commercio, la via Portuense
incrocia la Piana del Sole. Il nome evoca un territorio con un gradevole
paesaggio orientato a sud-ovest, scaldato dal sole che tramonta nel Tirreno. Al
contrario siamo in una zona dove sono state concentrate tutte le attività che
la città vuole nascondere. Insieme però a tante case dove le persone vivono.
Abitano sulla collina di Monte Stallonara. Chi vive qui ha versato centinaia di
migliaia di euro per acquistare la casa e iniziato a pagare il mutuo. Eppure
non ha case agibili, allacciate alla fognatura, acqua potabile, strade di
accesso e illuminazione pubblica. Dopo aver pagato una quota per entrare in
cooperativa e acquistare l’abitazione sulla carta, molti sono i cittadini che
si trovano ancora privi di una casa. Ora l’intervento della magistratura ha
svelato una truffa ai loro danni. Prezzi gonfiati e fondi pubblici scomparsi. I
componenti dei consigli di amministrazione delle cooperative e diverse società
risultano indagati per truffa, insieme a dipendenti di Roma Capitale che non
hanno controllato. Nei Piani di zona si realizza edilizia convenzionata,
attraverso finanziamenti pubblici erogati dalla regione Lazio e dal comune in
terreni di proprietà pubblica, in modo da disporre di alloggi da vendere o affittare
a prezzi calmierati rispetto al libero mercato. Una convenzione stipulata fra
l’amministrazione e le cooperative stabilisce il prezzo di cessione che non
deve superare i limiti di legge e fissa l’impegno da parte della cooperativa a
realizzare tutti i servizi necessari a rendere abitabili le case. Si è scoperto
che attraverso il trucco delle opere aggiuntive e delle migliorie in molti casi
si è contravvenuto a quanto previsto dalle convenzioni, senza scomputare dal
prezzo di vendita i contributi pubblici incassati per vendere ai soci delle
cooperative a prezzi molto più alti di quanto previsto dalla legge. Da questa
altura è possibile vedere la Piana del Sole, con casette circondate da giardini
costruite abusivamente. Per il risanamento è previsto il piano
particolareggiato di recupero urbanistico Integrato con l’Erp Piana del Sole.
Un insediamento residenziale che avrà lì accanto la discarica di Malagrotta, i
depositi di carburanti e gas, la raffineria, l’inceneritore di rifiuti
ospedalieri e moltissime aree di cave. Un panorama che ha cancellato le
originarie aree boschive e naturali.
Per capire quale sia la situazione ambientale della zona basta ricordare la
catastrofe del febbraio del 2014, provocata dai forti temporali di quei giorni.
Dal deposito di carburanti, collegato con pipeline all’adiacente Raffineria di
Roma, si riversa nei campi il petrolio. Mentre il forte vento e la pioggia
spazzano via scatoloni di rifiuti ospedalieri dal deposito dell’inceneritore
dei rifiuti speciali disperdendoli nei campi, il Rio Galeria allaga via di
Malagrotta. Quel giorno percolato, petrolio, idrocarburi, rifiuti speciali,
siringhe, farmaci scaduti, sacche di sangue sparsi per centinaia di metri
rendono evidente lo stato di quel luogo. Già era successo quando una misteriosa
nube bluastra con un fortissimo odore di gas aveva ricoperto l’area nel giugno
del 1973. Migliaia le persone riversate in strada terrorizzate. Si scopre dopo
alcune ore che si era aperta una falla in un serbatoio di gas odorizzante
presso la raffineria di Ponte Galeria.
La discarica di Malagrotta dal 2013 è finalmente chiusa, a
seguito dell’ammonizione della Commissione Europea per trattamento inadeguato
dei rifiuti conferiti in discarica. Ora fra quei rifiuti accumulati c’è un
concentramento di acqua velenosa. I periti nominati dal Consiglio di Stato
hanno rilevato che la falda che passa lì sotto è inquinata. Anche secondo un
dossier dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, nel
terreno sono stati rinvenuti inquinanti pericolosi come il mercurio, il piombo,
l’arsenico. Più che sufficiente a rendere necessaria l’immediata bonifica. Nei
terreni limitrofi si coltivano prodotti alimentari e abitano, come abbiamo
visto, in tanti. Una relazione epidemiologica della Asl di Roma ha determinato
un aumento nella zona delle patologie collegate all’inquinamento.
Ci abbiamo messo lo stesso tempo, cinque minuti. Ma ecco che da una parte
ne ricaviamo un quadro incomprensibile e colonialista, con uno sguardo da
esploratore nella giungla («Ecco qui un’altalena rotta», «Ecco qui dei
ragazzini che non sanno come passare il tempo», «Ecco qui un oratorio chiuso»);
dall’altra parte invece cominciamo a capire cosa abbia generato i problemi di
Piana del sole, a intuire di chi siano le responsabilità, e a familiarizzare
con una terminologia complessa: Erp, ad esempio, che sta per edilizia
residenziale pubblica. Magari capiamo qual è lo stato dell’arte a Roma dei
piani di recupero urbanistico. E così possiamo addirittura immaginare come sia
possibile intervenire politicamente.
Ma questi non sono soltanto rilievi di stile. È che la prima narrazione non
è solo sciatta e sbrigativa. Non è una narrazione innocua. È una narrazione che
produce contronarrazioni. Se racconto un luogo come emergenziale, apocalittico,
un hic sunt leones, se persevero nel raccontarlo così, è logico,
persino automatico, che la reazione che scatenerò sarà la richiesta di qualcuno
che ci salvi: un qualche tipo di eroe nella giungla, un deus ex machina, un
commissario.
Non diventa quindi una sorpresa se nella stessa trasmissione di ieri
a Piazza Pulita si siano presentati, autolegittimando la
propria candidatura, la giornalista di Repubblica Federica
Angeli e l’ex ministro Carlo Calenda. La prima ieri ha dichiarato di aver
accettato la delega alle periferie, la legalità, il civismo su proposta di
Virginia Raggi; il secondo ha ribadito nell’ennesima intervista televisiva la
sua discesa in campo per la corsa elettorale a sindaco. Entrambi non rispondono
a una comunità politica, non rappresentano un percorso condiviso, ma si
autolegittimano.
L’interrogativo che possiamo farci è proprio questo: qual è il contesto, il
dibattito che gli concede la possibilità di legittimarsi? Se la prima è
diventata la cantrice delle periferie romane con articoli sulle periferie impressionistici
e alle volte colonialisti simili al servizio di ieri; il secondo si continua a
rappresentare come un manager risolvotutto o e a parlare di
Roma con categorie senza senso e senza conoscerla, con un insistito populismo
dall’alto per cui «nelle periferie serve decoro e sicurezza»; e se Fratellì
viene raccontato come una specie di bingo bongo della Magliana, una parte di
responsabilità va anche a chi queste reazioni le innesca.
La retorica dolente delle periferie che ritroviamo nei film è stata
definitivamente perculata dalla trasmissione di
Valerio Lundini e Emanuela Fanelli. E quella giornalistica? Perché –
questo è il problema – la retorica dell’emergenza porta commissari. La retorica
colonialista porta truppe di colonizzatori. Non ne abbiamo avuto abbastanza?
Non ci siamo annoiati?
Proprio ieri rileggevo l’ultimo articolo che Renato Nicolini, memorabile
assessore alla cultura nelle amministrazioni comunali degli anni Settanta,
scrisse prima di morire sul manifesto. Era il 2012. Faceva nomi e
cognomi sulle responsabilità politiche dei disastrosi problemi di Roma, ma
puntava il dito anche sull’incapacità di rovesciare l’immaginario di una
città.
Non è più possibile tacere. Non è possibile non dire che il piano
regolatore di Morassut e Veltroni è il peggiore piano regolatore della storia
di Roma capitale, che le ha appeso nel cielo giganteschi cubi di cemento non
localizzati pronti a bombardarla con violenza. Se non vogliamo che l’economia
romana sia a breve travolta dal prevedibile scoppio di una gigantesca bolla
immobiliare, bisogna fare macchina indietro e piazza pulita. Roma non ha
bisogno di illusioni. Di immaginazione sì, ma l’immaginazione è innanzi tutto
riconquista di autonomia intellettuale, senza subordinazione ai declinanti miti
della finanza […] Sarebbe paradossale restare subordinati a quelli caserecci
della banda dei quattro interna al Pci al tornante degli anni Settanta, contro
i quali l’Isveur e Petroselli cominciarono ad intervenire. Strano! Oggi si
tenta di esercitare la damnatio memoriae contro Corviale e Torbellamonaca, non
contro la speculazione di Caltagirone, Toti, Mezzaroma.
Non è vero che non abbiamo modelli politici a Roma a cui ispirarci, è che
dobbiamo guardarli allontanando l’ombra ingombrante e molesta che proiettano in
molti.
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