Con la febbre da Covid anche la politica
internazionale è entrata in terapia intensiva. Il grafico della febbre si è
impennato con il duello verbale tra Macron ed Erdogan, allargandosi all’Europa
e a tutto il mondo arabo-musulmano.
La febbre potrebbe passare con un’aspirina se in gioco
non ci fossero poste geopolitiche importanti, come il controllo del
Mediterraneo, delle rotte del gas e del petrolio, delle influenze dal
Nordafrica al Caucaso e gli stessi equilibri appena stabiliti dagli accordi di
Abramo, la finta pace del mondo arabo con Israele voluta da Trump e dagli emiri
del Golfo.
Erdogan questa volta non ha mosso truppe o mercenari
jihadisti come ha fatto in Siria, in Libia e in Nagorno Karabakh ma ha
mobilitato l’argomento preferito dalle destre americane, europee e musulmane:
lo scontro di civiltà. E siccome – come cantava 40 anni fa Franco Battiato
in Up patriots to arms – abbocchiamo sempre all’amo, questa
volta il “reiss” turco, Sultano della Nato con missili russi e ambizioni
neo-ottomane, ha fatto pesca grossa: nella sua rete sono caduti gli Emirati, il
Pakistan, il Marocco, l’Arabia Saudita, l’Iran. Tutti più o meno solidali, con
sfumature assai diverse, con l’attacco di Erdogan alla Francia di Macron,
compreso il boicottaggio delle merci transalpine. Poi se costoro non
compreranno più da Parigi i caccia Rafale, le navi da guerra e le bombe
francesi è ancora tutto da vedere.
Ma è evidente che all’amo dobbiamo abboccare
soprattutto noi, l’opinione pubblica, quella occidentale e musulmana, infilata
dentro a uno scontro in cui tutti hanno da perdere tranne i padroni del vapore,
che annaspano nella crisi dovuta alla pandemia e in quelle
economiche-finanziarie, quindi hanno bisogno come non mai di distrarci con un
duello rusticano sull’asse Parigi-Ankara e magari su quello ancora più ampio
tra cristiani e musulmani.
L’importante è che tutto resti nell’ambito dei
supermercati. Il Qatar ha annunciato di avere rinviato sine die la
settimana della cultura francese, in Kuwait una catena governativa boicotterà i
prodotti francesi, in Giordania nei negozi sono apparsi cartelli con il divieto
di vendere prodotti transalpini. E in Turchia naturalmente Erdogan ha invitato
la popolazione a non stappare più champagne. Vedete bene che
l’affare si ingrossa in dimensioni che fanno dimenticare mascherine, tamponi e
terapie intensive.
La realtà è ben diversa. Nessuno chiuderà gli acquisti
di armi provenienti da Stati Uniti ed Europa, nessuno penserà neppure per un
momento a fermare le fabbriche che in Turchia producono gli elicotteri
d’assalto dell’Agusta che vendiamo anche al Pakistan. Come neppure l’Arabia
Saudita annullerà l’intesa con la Francia per la costruzione di due centrali
nucleari per un valore di 12 miliardi di euro.
Ma Erdogan ha ottenuto un risultato, forse ben
calcolato: la sua propaganda anti-francese e anti-occidentale ha costretto
persino i suoi nemici come emiratini e sauditi a schierarsi con lui nella
«difesa» del mondo musulmano. Ma Erdogan non è un “mostro”. È soltanto un abile
manipolatore che gli stessi europei e americani hanno contribuito a tenere in
sella, additandolo persino come “modello” per il mondo musulmano.
Basti pensare alla Siria. Quando nel novembre 2011
Bashar Assad sembrava travolto dalla sollevazione anti-baathista, il ministro
degli Esteri francese Védrine e il suo collega turco Davutoglu si incontrarono
a Iskenderum per decidere come spartirsi l’influenza in Siria nel caso di
caduta del rais di Damasco, ed eravamo nel pieno della rottura tra Parigi e
Ankara perché la Francia aveva definito come un olocausto il massacro degli
armeni. Entrambi fecero allora un calcolo sbagliato: i francesi lasciarono
arrivare in Turchia i jihadisti dalla Francia che servirono a Erdogan, come
quelli di molte altre nazionalità, a combattere il regime siriano, poi
salvato da iraniani e russi. I francesi volevano persino bombardare Damasco nel
settembre del 2013. O ce lo siamo dimenticato?
Insomma turchi e francesi erano d’accordo, con ogni
mezzo, a defenestrare Assad con il sostegno degli Stati Uniti seguendo la
politica dello stay behind del segretario di Stato Hillary
Clinton, mentre gli stessi francesi, con americani e inglesi, avevano già fatto
fuori Gheddafi. Poi americani e francesi si sono tirati indietro, la Francia ha
avuto in casa gli attentati jihadisti e tutto è cambiato. Ed Erdogan non deve
essersi dimenticato neppure del sostegno occidentale e americano ai Fratelli
musulmani al Cairo, prima che venissero eliminati nel 2013 dal colpo di stato
del generale Al Sisi.
Insomma abbiamo fatto credere a Erdogan di essere un
campione del rinnovamento musulmano durante le primavere arabe e ora non ci
possiamo lamentare che si creda il nuovo Sultano. Tanto più che gli abbiamo
lasciato massacrare i curdi, alleati contro il Califfato, e appaltato il
“lavoro sporco” sui profughi sulle rotte dell’Egeo, nei Balcani e ora anche in
Libia. Ma all’esca dello “scontro di civiltà”, in tempi duri come questi, siamo
tutti pronti da abboccare.
(L’articolo è tratto da “il
manifesto” del 28 ottobre)
Nessun commento:
Posta un commento