Non si può manifestare (https://volerelaluna.it/controcanto/2021/11/16/il-virus-il-diritto-di-manifestare-e-la-caccia-alle-streghe/),
il Parlamento è congelato, il Consiglio dei ministri è un’assemblea di uditori
muti, sulla Presidenza della Repubblica si aspetta il verdetto dell’Uomo della
Provvidenza. L’unico timido segno di reattività democratica sembra venire dalle
scuole. Nonostante l’ostilità degli adulti: «Scusatemi, non ho capito quali
siano le rivendicazioni degli studenti: per me vogliono occupare solo per non
fare lezione. E poi è illegale». In questi giorni le (maledette) chat dei
genitori dei liceali ribollono di simili prese di posizione. E i presidi,
abbandonati a se stessi e schiantati da due anni di trincea pandemica, chiamano
senza tanti complimenti la polizia ancor prima che i ragazzi osino occupare, in
certi paradossali casi chiudendoli fuori dalla scuola per evitare che lo
facciano! Un disastro democratico ed educativo, che è solo uno dei tanti volti
della stretta securitaria che serra il Paese: sempre naturalmente con la scusa
del Covid, perché: «occupare con i contagi che si impennano, che
irresponsabili!». Peccato che sia stato il superiore ministero
ad abolire il distanziamento nelle scuole che non potevano consentirlo (la maggior
parte, viste le famose “classi-pollaio” riproposte anche dal Governo dei
taumaturghi: https://volerelaluna.it/controcanto/2021/09/27/la-scuola-e-gli-obblighi-flessibili-del-ministro-bianchi/),
peccato che gli studenti arrivino a scuola su autobus che dovrebbero scrivere
“linea Covid” al posto del numero. Ma niente: la pandemia si usa solo quando fa
comodo. Cioè sempre contro i ragazzi.
Ma quali mai saranno le ragioni per occupare, si chiedono
genitori immemori di aver vissuto un’epoca in cui, chissà, anche loro avranno
sperato di cambiare qualcosa del mondo: prima di esserne irrimediabilmente
cambiati. Già, che ragioni di protesta può avere un ragazzo che studia in una
scuola fatiscente, e senza palestra? Che cambia i professori ogni anno, a causa
di un organico colabrodo? Che legge negli occhi dei suoi insegnanti precari,
ormai anziani, tutta la delusione di una vita rubata? Che si vede censurare gli
articoli del giornalino di scuola perché certe famiglie molto cattoliche non
vogliono che si faccia educazione sessuale, o che si parli dell’identità di
genere? Che per l’alternanza scuola-lavoro si vede offrire la strepitosa
opportunità di incartare i libri dalla Feltrinelli, sotto Natale? E poi,
magari, i più consapevoli potrebbero anche voler occupare per contestare alla
radice l’idea di scuola che il Governo della Repubblica ormai propugna in ogni
sede: la scuola come fabbrica di pezzi di ricambio da cedere, al minor costo
possibile, a un mercato del lavoro in cui la merce sono loro. Se lo sentono
dire in ogni occasione, dal presidente del Consiglio in giù: «siete capitale
umano!». Perché mai non dovrebbero essere raggianti?
È poi il paternalismo intollerabile di questa “classe
dirigente” a suscitare nelle ragazze e nei ragazzi un residuale moto di
ribellione. Si pensi alle tirate del ministro Cingolani, che non perde
occasione per accusare Greta Thunberg di radicalismo e inconcludenza:
dimostrando una sconcertante incapacità di leggere il movimento della storia.
Del resto, è lo stesso ministro che ha testé chiesto di ridurre l’insegnamento
della storia nella scuola italiana, per fare spazio alla tecnica: un ottimo
piano per estirpare ogni traccia di pensiero critico capace, in prospettiva, di
cambiare lo stato delle cose, favorendo invece una precoce
professionalizzazione. Pezzi di ricambio, appunto: non persone, non cittadini.
E all’università è lo stesso. Pochi giorni fa,
all’inaugurazione di un anno accademico, una coraggiosa e lucida studentessa ha
detto che «l’università italiana è una palestra di sfruttamento». Parole da
incidere nel marmo, da quanto sono precise e vere: ma il presidente della
Repubblica, che pure l’ha ascoltata con grande attenzione, non ha ritenuto di
ribattere nulla, ma le ha invece ricordato che il PNRR investe in ricerca. Il
che è vero: ma è solo il 3%, contro il 6 della Francia e il 13 della Germania. Troppo
poco: e per di più indirizzato solo alla ricerca applicata, a grandi consorzi
che rischiano di essere egemonizzati dai necessari partner privati, e con
l’obiettivo di creare solo ricercatori precari. Sarà per questo che da noi non
si chiama Next Generation, ma PNRR: almeno è chiaro che della prossima
generazione non ce ne frega nulla.
Se poi lo sguardo si allarga ancora, come è vitale che
accada, davvero pensiamo che gli adolescenti non abbiano motivi profondi e
drammatici per contestare il potere dei vecchi che guida l’Occidente? Un solo
esempio: legando il vaccino al brevetto delle multinazionali private (sostenute
da fiumi di denaro pubblico) abbiamo condannato il terzo mondo (dove la
vaccinazione è al 3%). E anche il nostro, visto che la massiccia circolazione
del virus ha là ovviamente prodotto mutazioni letali, capaci di abbattere la
barriera vaccinale: mutazioni che già rischiano di arrivare da noi, e non
potrebbe essere altrimenti.
Potremmo continuare a lungo, enumerando infinite altre
ragioni per cui una o un sedicenne possono (forse devono) ribellarsi. Ma
bastano anche solo queste a far sperare che i nostri ragazzi imparino presto a
capire la differenza tra illegale e ingiusto: anche, perché no, occupando
scuole e università dove ormai in troppi non sanno più distinguerli.
Nessun commento:
Posta un commento