Nei giorni scorsi diversi giornali e media italiani hanno scritto che l'Unione Europea avrebbe proposto di «vietare» la vendita e l'affitto degli immobili di classe G, cioè gli edifici con minore efficienza energetica. La notizia ha innescato un ciclo della disinformazione e dell'indignazione, con caratteristiche e dinamiche già viste su altri temi.
La direttiva europea, di
cui si è parlato in questi giorni, vuole fissare un termine per il passaggio
degli edifici di classe energetica G ad almeno quella F e poi E. In ogni paese
dell'Unione, il 15% dello stock di edifici, che corrisponde a quelli con le
prestazioni energetiche peggiori, dovrà passare dalla classe G a quella F entro
il 2027 e a quella E nel 2030, nel caso degli edifici non-residenziali (quelli
pubblici, ad esempio); nel caso degli edifici residenziali dovrà invece passare
alla classe F entro il 2030 e a quella E nel 2033. Viene proposto, inoltre, il
termine degli incentivi per l'installazione di caldaie a gas entro il 2027. La
Commissione Europea ricorda che gli
edifici contribuiscono al 40% del consumo di energia e al 36% delle emissioni
di gas serra dovute ai consumi energetici.
A sostegno
della tesi che l'Unione Europa fosse orientata a vietare la vendita degli
immobili di classe G, si sono citate bozze di documenti ma senza portare alcuna
prova che contenessero davvero una simile proposta. Lo scorso 25 novembre, Euractiv ha
in effetti anticipato una bozza, dove tuttavia non si fa alcun cenno a un
divieto di vendita o di affitto. A pagina 14 del documento si legge che «in
deroga [...], un edificio o un'unità immobiliare non conforme alle soglia di
cui al comma 1 può essere venduto a condizione che l'acquirente porti la
costruzione in conformità alla soglia applicabile al momento della vendita
entro [tre] anni dalla data di vendita».
Il testo pubblicato
sul sito della Commissione Europea il 15 dicembre risulta modificato, ma di
nuovo non si ritrova alcun divieto di vendita o affitto. In una conferenza stampa tenuta
nello stesso giorno, Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione e
commissario per il clima, ha specificato: «nella nostra proposta non
colleghiamo questi standard minimi alla vendita o alla locazione di un
edificio, sebbene gli Stati membri possano decidere di farlo e alcuni lo
abbiano già fatto».
La proposta
è parte di quelle politiche per la transizione energetica ed ecologica che
riguardano tutto il nostro sistema economico e produttivo, la produzione di
energia, il riscaldamento, i trasporti. Se vogliamo arrestare o fortemente
rallentare l'aumento della temperatura del pianeta ed evitare che gli impatti
dei cambiamenti climatici sui nostri territori diventino sempre più distruttivi
e costosi, dobbiamo decarbonizzare il sistema e abbandonare i
combustibili fossili. L'obiettivo è
arrivare alle emissioni zero per il 2050. Ma, nel frattempo, anche migliorare
l'efficienza energetica degli edifici e contenere i consumi sono politiche che
vanno in quella direzione. Se nel breve termine richiedono impegni, costi e
investimenti, questi porteranno anche risparmi e benefici.
Ma di tutto
questo non si è parlato di fronte alla proposta europea. Confedilizia,
l'organizzazione dei proprietari di casa, ha lanciato l'allarme
per il mercato immobiliare. Il suo presidente ha avvertito che
«la Commissione europea, per tagliare la testa al toro, proporrà direttamente
l’introduzione del reato di "possesso di immobile"» (si scherza,
ha aggiunto). Si sono scatenati i titoli dei giornali di destra. L'Europa
confisca la casa agli italiani, il delirante titolo di un articolo su La Verità. Si
tratta di giornali che già ogni giorno, con qualsiasi pretesto, sparano ad alzo
zero contro ogni politica ambientale.
Ma su una
testata considerata mainstream e non populista, come l'Huffington
Post, si è andati addirittura oltre, dando di fatto dei ladri ai
"burocrati" di Bruxelles. Il colpo da topi d'appartamento
degli sbadati burocrati di Bruxelles è il sobrio titolo che
introduce la rigorosa analisi del condirettore. Le ragioni e gli obiettivi che
giustificano le politiche di efficientamento energetico del patrimonio edilizio
e i loro potenziali vantaggi anche in termini di risparmi non si nominano
nemmeno. Anzi, si sostiene che «rischiamo di pagare il conto di Glasgow». Cioè
la COP26, la conferenza sul clima che si è tenuta in Scozia. Eccolo, il
bersaglio.
L'Unione
Europea vuole scaricare «il costo [...] di aver mancato l’occasione di Glasgow
per convincere i paesi emergenti, in primis India e Cina, a ridurre le proprie
emissioni nocive». Nessuno doveva in realtà convincere India e Cina a ridurle.
La Cina aveva già
annunciato, prima della COP26, la neutralità carbonica (emissioni zero di CO2)
per il 2060. L'India ha fissato
l'obiettivo per il 2070. Entrambi i paesi sono determinanti per il peso che
hanno nella quantità di emissioni globali soprattutto a causa dell'impiego,
ancora molto esteso, del carbone. In ogni caso, la reale ambizione di questi
annunci si dovrà misurare soprattutto sulle decisioni e le politiche che
verrano messe in atto da qui ai prossimi 10-20 anni, ben prima del 2060 e 2070.
Lo stesso tuttavia si può dire dell'Occidente. What about China?, e
la Cina?, è un argomento strumentale che in Occidente viene spesso
impugnato da chi si oppone alle politiche per il clima. Come se l'Unione
Europea avesse già raggiunto il proprio obiettivo di emissioni zero. No, non
l'ha ancora fatto ed è necessario, per questo, continuare a ridurle. Non basta
nemmeno aver fissato un obiettivo più vicino, al 2050. Per fermare l'aumento
della temperatura globale, o rallentarlo abbastanza da impedire che oltrepassi
1.5° o 2°, è necessario arrivare a una rapida riduzione delle emissioni di gas
serra già nei prossimi due decenni. Infatti, più lenta sarà la loro riduzione,
maggiori saranno le emissioni cumulative, cioè totali.
Ma cosa
contano i fatti? Poco o nulla. Perché separare fatti e opinioni, perché
sforzarsi di fornire uno straccio di contesto, sull'argomento, ai propri
lettori? Più semplice urlare a caratteri cubitali in prima pagina, come ha
fatto Il Giornale, che titola "FOLLIA EUROPEA, CI
ENTRANO IN CASA".
La polemica
è proseguita così, per giorni.
Timmermans,
alla fine, è dovuto intervenire per chiarire e ribadire che non è previsto
alcun divieto né confisca. Lo ha fatto parlando nel suo, obiettivamente
eccellente, italiano. Ha dovuto parlare la nostra lingua, con tono ironico
(«nessun burocrate di Bruxelles confischerà la vostra casa») per essere sicuro
di essere compreso, perché evidentemente questa roba è circolata solo in
Italia.
Davanti alle
dichiarazioni europee, la stampa italiana ha parlato di "retromarcia".
Confedilizia ha cantato vittoria.
È un fenomeno già visto: la dinamica che si sviluppa secondo il copione
denuncia-polemica-"retromarcia" di proposte mai avanzate o mai
seriamente discusse. Si alimenta grazie alla prassi di un sistema informativo
fatto di facile clickbait e di testate che si rilanciano tra
di loro come fonti affidabili. E grazie all'ingombrante, rumorosa, pervasiva,
cinica propaganda politica. Le "bozze circolate" e le "proposte
iniziali" rimarranno comunque impossibili da smentire. Empiricamente non
falsificabili, sono giornalisticamente oggetti ectoplasmici che continueranno
ad aggirarsi come spettri ("il pericolo scampato"). Ognuno ci potrà
leggere ciò che vuole, in base ai propri pregiudizi e alle proprie convinzioni.
Mentre i fatti scompaiono.
Il ciclo
della notizia si chiude. Rimangono la disinformazione alimentata e circolata
nel frattempo e l'astio, così fomentato, contro l'Unione dei Burocrati Europei
e le politiche green.
L'antipatia
verso le politiche ambientali è aizzata e rinfocolata proprio da questo genere
di propaganda, rozza ma che può far presa, che le bolla come fissazioni da
ambientalisti fighetti che vogliono imporre le loro idee
strampalate al mondo e ignorano le necessità dei meno abbienti che non possono
permettersi di adeguare la propria abitazione ai più efficienti standard
energetici. Posto che la categoria dei meno abbienti dovremmo collocarla tra i
dimenticati inquilini, se la preoccupazione per questa categoria fosse sincera
(non lo è) si dovrebbe dunque chiedere che sia lo Stato a sostenere questi
interventi. L'equità sociale è un aspetto critico della transizione ecologica
ed energetica, è stato detto più volte. Ma questo non è ciò che chiedono certi
partiti, giornali e lobby. Non è ciò che interessa loro.
Risparmiare
energia, pagare bollette meno care (magari accelerando l'abbandono del gas, il
cui costo è la principale causa dell'aumento
in corso del prezzo dell'energia), produrre meno emissioni. Questi obiettivi
sono interesse di tutti. A partire proprio da chi abita in edifici ancora
inadeguati. Meno emissioni non solo di gas serra come la CO2,
che aumentano la temperatura del pianeta, ma anche di composti inquinanti.
Anche gli edifici residenziali, infatti, sono sorgenti di inquinanti
atmosferici. Tra questi c'è il PM 2.5, a cui si possono attribuire circa
400mila morti premature in Europa, secondo i dati riportati dal covo di
burocrati dell'Agenzia europea per l'ambiente.
50mila in Italia. La pianura padana, nonostante i sensibili miglioramenti dei
parametri di qualità dell'aria negli ultimi decenni, rimane una delle aree più
inquinate in Europa, a causa della densità di popolazione e delle condizioni
meteorologiche, influenzate anche dalla sua conformazione territoriale.
Ed è questo
il punto. La propaganda, la confusione, la disinformazione o la cattiva
informazione hanno questa conseguenza: il loro rumore copre i fatti, oscura le
informazioni necessarie a formare una razionale opinione e cancella dal
contesto della discussione i seri problemi che, come collettività, è nostro
interesse affrontare e risolvere.
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