L’operazione TIM-KKR è la più grande cessione di sovranità e di diritti
umani e civili nella storia della nostra Repubblica. Parola di Stefania
Maurizi, giornalista investigativa, che ha lavorato sui documenti WikiLeaks e
Snowden files.
Riproduciamo, vista la stringente attualità e dimensione strategica della
questione, una serie di tweet della giornalista Stefania Maurizi
Partiamo da questo articolo di 2 giorni fa di Carlo Bonini per
Repubblica: https://t.co/6qUaUcMWCg?amp=1
Bonini scrive che è attraverso TIM che l’Italia può interloquire “su base
paritaria con i 5Eyes”,l’alleanza di intelligence più potente del mondo. In
parte è vero.
E’ assolutamente vero che l’alleanza di intelligence tra Stati Uniti e
Italia passa attraverso tanti fattori, tra cui, quello decisivo sono i cavi
sottomarini a fibra ottica su cui viaggiano tutte le comunicazioni, quindi
transazioni economiche, etc
Ma, contrariamente a quanto scritto da Carlo Bonini , l’Italia NON
interloquisce AFFATTO su base paritaria con i 5Eyes, l’Italia è “Tier B”, cioè
un partner di serie B. Come l’abbiamo scoperto? Grazie ai file top secret di
Snowden.
Leggete questa spiegazione elementare che mi ha dato Glenn Greenwald in
questa intervista, l’anno dopo che rivelammo i file di Snowden per
l’Italia: https://t.co/DuSc6tgGse?amp=1
Glenn Greenwald spiega in modo elementare che i file di Snowden non
lasciano dubbi: l’Italia è “Tier B”, ovvero “gli Usa guardano i partner ‘Tier
B’ in primo luogo come nazioni da spiare e solo in secondo luogo come Paesi con
cui collaborare a operazioni di intelligence”, dunque l’Italia NON
interloquisce AFFATTO con i 5Eyes in modo paritario, AL CONTRARIO è una vittima
del loro spionaggio che colpisce tutto: politica, economia, ricerca
scientifica, etc.
Fino al 2013, potevamo immaginare, ma NON avevamo prove, con Snowden le
abbiamo acquisite e gli USA e i 5Eyes NON hanno più potuto negare. L’ha capito
perfino il Copasir: quindi l’hanno capito tutti, ma, ad oggi, questo spionaggio
è stato quello che potremmo caratterizzare come un atto ostile nei confronti
del governo e del popolo italiano. Ora con l’operazione TIM-KKR ci consegnano
direttamente nelle mani della NSA, senza alcuna protezione.
Se l’operazione sarà finalizzata, gli italiani non avranno più alcuna
protezione che deriva dall’essere europei e quindi protetti da Costituzioni e
leggi che tutelano la privacy e i dati personali. E’ abominevole.
L’operazione TIM-KKR non è banale questione finanziaria: è la più grande
cessione di sovranità e di diritti umani e civili nella storia della nostra
Repubblica. E’ da opporre con ogni mezzo non violento.
da
qui
Glenn Greenwald, così ho sfidato lo spionaggio - Stefania Maurizi
«Non ci sono dubbi sul fatto che i servizi segreti
italiani abbiano una collaborazione con la Nsa e se il governo di Roma lo nega,
allora vuol dire che mente. Ma bisogna anche riconoscere che la National
security agency non vede l'Italia come uno dei suoi principali alleati nelle
operazioni di sorveglianza di massa e considera il vostro Paese come un
bersaglio della sua attività di intelligence». Glenn
Greenwald ormai è un'icona del giornalismo indipendente: è a lui
che Edward Snowden si
è rivolto quando ha deciso di svelare al mondo i segreti della più grande
agenzia di spionaggio delle comunicazioni. Uno scoop senza precedenti: la rete
planetaria costruita dagli Usa per vigilare su tutte le telefonate, le email e
gli scambi informatici del pianeta è stata messa a nudo, mettendo in crisi non
solo l'intelligence americana ma lo stesso concetto di privacy.
A un anno esatto da quel contatto misterioso che ha innescato le più potenti
rivelazioni della storia contemporanea, Greenwald ha scritto un libro. È un
racconto che intreccia la sua avventura personale con le rivelazioni dei file
di Snowden: “Sotto controllo”, edito in Italia dalla Rizzoli (373 pagine, 15
euro). Sulla copertina del volume, che Greenwald ha presentato a Milano
discutendone in esclusiva con il nostro giornale, è rimasto anche il titolo
originale: “No place to hide”, non c'è un posto dove nascondersi. La sintesi di
come è cambiata la sua vita e quella di Snowden dopo la sfida al più grande
sistema di spionaggio mai costruito.
«Quando ho visto quanti documenti aveva Snowden e quanto erano scottanti, mi
sono immediatamente reso conto che i rischi sarebbero stati altrettanto alti.
Sapevo che avrei dovuto essere molto aggressivo nel mio lavoro giornalistico e
ho capito anche che sarei stato attaccato e minacciato in molti modi. Ancora
prima dell'uscita delle rivelazioni c'era moltissima tensione a Hong Kong, dove
Snowden si era rifugiato: eravano in tre, in un hotel, senza alcuna forma di
protezione. Non avevamo idea di cosa il governo americano sapesse, cosa
conoscessero le autorità di Hong Kong e in un certo senso ci aspettavamo che
qualcuno potesse bussare da un momento all'altro alla porta. I files che aveva
erano documenti su cui qualsiasi agenzia di intelligence del mondo avrebbe
voluto mettere le mani”.
Navigavate in acque inesplorate:
un'esperienza giornalistica del tutto nuova. ..
«Esatto. Una delle ragioni per cui ho fatto pressione per uscire presto con la
prima tranche di rivelazioni è che ero convinto che la migliore protezione
fosse l'interesse del pubblico che i documenti avrebbero sollevato, il clamore
mediatico e l'attenzione dei cittadini avrebbero reso impossibile per il
governo fare qualcosa contro di noi. I pericoli più seri li abbiamo corsi
durante gli incontri iniziali, quando ci siamo visti di nascosto, prima della
pubblicazione. E sicuramente abbiamo fatto errori perché non ci sono manuali
che ti insegnano come gestire una situazione del genere. Avevamo dei modelli,
come quello di WikiLeaks, su come si pubblicano documenti segreti in molte
nazioni, come si proteggono i files, ma questa storia avevano anche delle
caratteristiche uniche, senza precedenti».
Attualmente vive sotto una qualche forma
di protezione?
«Il senato brasiliano ha votato per affidare alla polizia la protezione della
mia casa e abbiamo preso alcune ragionevoli misure di sicurezza, ma quello che
ho capito fin dall'inizio è che se qualcuno vuole davvero fare qualcosa contro
di te, non ci sono difese al mondo salvo avere un intero esercito come quello
che protegge Obama. Se vuoi cercare di condurre un'esistenza normale, sarai
comunque vulnerabile. Non solo: è importante non essere così preoccupati per la
sicurezza, sia per evitare la paranoia, che per evitare che la paura ostacoli
seriamente il lavoro giornalistico. E così, all'inizio, il mio compagno, io,
Laura Poitras e in un certo senso Edward Snowden abbiano parlato di alcune
misure di sicurezza, e una volta messe in atto, non ci ho più pensato».
Grazie a Snowden abbiamo un dibattito
mondiale sulla sorveglianza di massa. Come replica a coloro che sostengono che
la Nsa non fa altro che quello che fanno le agenzie di intelligence cinesi e
russe?
«Non c'è dubbio che Russia e Cina spiino. Tutti i governi lo fanno, ma la
questione importante è in quale misura lo fanno e con quali finalità. E anche
se tutti i governi spiano, nessuno si avvicina anche lontanamente ai livelli
toccati dagli Stati Uniti, che veramente vogliono trasformare Internet in qualcosa
in grado di controllare completamente, raccogliendo e immagazzinando tutto,
eliminando letteralmente la privacy per tutti in Rete. A differenza dello
spionaggio mirato contro obiettivi militari, agenzie di intelligence, leader
politici, aziende, come fanno i cinesi e in una misura minore i russi, gli
Stati Uniti vogliono avere uno spionaggio indiscriminato, illimitato. Basta
vedere le dimensioni della Nsa: 30mila dipendenti, più 50-60mila lavoratori
esterni. Nessuno in nessuna parte del mondo ha una simile armata di persone che
lavorano alla sorveglianza. E secondo me il discorso della minaccia dei russi e
dei cinesi invece è una delle ragioni per cui gli Stati Uniti non dovrebbero
minare i protocolli di sicurezza che ci proteggono sulla Rete. Oggi la Nsa
spende 75 miliardi di dollari all'anno, la maggior parte dei quali per
indebolire le misure che ci garantiscono la privacy su Internet o per
distruggerle del tutto, mentre si potrebbe spendere una piccolissima frazione
di quel denaro per rafforzarle, in modo da proteggere le comunicazioni delle
popolazioni, delle aziende. A quel punto cinesi e russi potrebbero cercare di
spiare quanto vogliono, ma con le giuste misure di protezione, sarebbe per loro
molto più difficile comprometterne la sicurezza. È questa, secondo me, la
reazione giusta allo spionaggio di Russia e Cina, non quella di indebolire
tutto».
Lavorando con lei ai file di Snowden,
Espresso e Repubblica hanno rivelato le attività della Nsa a danno dell'Italia,
in particolare lo spionaggio ai danni della nostra ambasciata a Washington e la
raccolta dei metadati relativi alle informazioni su 46 milioni di telefonate.
Nonostante queste rivelazioni, il governo italiano nega questi fatti e nega
qualsiasi collaborazione con la Nsa. Lei come replica?
«I documenti rendono chiaro al cento per cento e innegabile che la Nsa
considera l'Italia un partner "Tier B". I partner “Tier A” sono i
“Five Eyes”, i paesi anglofoni, Australia, Canada, Inghilterra, Nuova Zelanda,
che sono partner degli Stati Uniti in ogni forma di spionaggio elettronico, e
rarissimamente gli Usa spiano questi paesi. I partner Tier B, come l'Italia,
collaborano nello spionaggio solo per compiti estremamente limitati e
circoscritti, per esempio si può immaginare che lavorino insieme per controllare
le comunicazioni in Afghanistan, o quelle di certe nazioni e determinati
individui. Ma allo stesso tempo l'Italia e questi paesi sono un bersaglio per
lo spionaggio da parte degli Stati Uniti. In particolare i documenti precisano
che gli Usa guardano i partner "Tier B" in primo luogo come nazioni
da spiare e solo in secondo luogo come Paesi con cui collaborare a operazioni
di intelligence. Tutto questo è certo».
Molti non credono che la raccolta di
massa di metadati (l'insieme dei dati che identificano chi chiamiamo al
telefono e chi contattiamo via email o sms) sia un problema. Tendono a
liquidare a questione, dicendo: sono semplici dati telefonici, nessuno registra
il contenuto. Eppure l'ex capo della Nsa, Michael Hayden ha dichiarato
recentemente: «Noi uccidiamo utilizzando i metadati». Hayden si riferiva al
fatto che grazie a queste informazioni gli Stati Uniti localizzano i presunti
terroristi che eliminano con i droni. Cosa risponde a chi minimizza l'incidenza
dei metadati sulla privacy?
«A chiunque pensa che la raccolta dei metadati non sia un problema vorrei
chiedere una cosa: di mandarmi la lista di tutte le persone che chiama ogni
giorno, la lista di quelle da cui riceve chiamate, scrive e risponde via email.
Non ho bisogno di alcun contenuto delle conversazioni. Se ho la lista per ogni
giornata, sono in grado di capire le cose più intime della vita di quella
persona. Se chiama una clinica per gli aborti, un medico specializzato nella
cura dell'Aids, un centro per il trattamento delle tossicodipendenze, un
servizio per il supporto psicologico, o se è un whistleblower che vuole
contattare un giornalista o un attivista per i diritti umani, se contatta un
avvocato specializzato in certe questioni, ecco, sapere chiunque chiama quella
persona, senza sapere cosa discute al telefono o via email, permette di
rivelare informazioni molto invasive sulla vita di una persona. Si possono
scoprire molte più cose guardando dall'alto i comportamenti di una persona,
attraverso i metadati, che ascoltando le telefonate, perché è la ragnatela di
interazioni che dipinge un quadro della vita di un individuo. E quelli che
liquidano i metadati come un problema non rilevante, di norma, vengono
smascherati proprio chiedendo loro di consegnarci i loro metadati».
Se guardiamo ai file di Snowden, emerge
che ci sono anche ragioni per essere ottimisti: la Nsa non riesce a penetrare
le comunicazioni protette con la crittografia forte e non riesce a penetrare la
rete Tor. Lei crede che stiamo andando verso una società dove solo pochissime
persone che hanno capacità di alto livello nel proteggere le proprie
comunicazioni, saranno davvero uomini liberi?
«E' una domanda veramente importante: ora che la gente è consapevole del
livello di sorveglianza messo in atto dalla Nsa, l'obiettivo più importante è
incoraggiare più persone possibile a usare la crittografia e il problema è,
come diceva lei, che la crittografia non è facile da usare, se non si è esperti
o non si può contare su qualcuno che sappia usarla».
Qualcuno da cui poi ci si trova a
dipendere assolutamente per mettere in sicurezza le proprie comunicazioni...
«Ma quello che sta succedendo è che gente di tutto il mondo ora vuole usare la
crittografia per proteggersi, e così quello di cui abbiamo davvero bisogno è
che queste tecnologie siano accessibili e facili da usare per tutti, senza
dover ricorrere a esperti. Se invece di decine di migliaia di persone, saranno
decine di milioni a usare questi sistemi criptati, allora la Nsa incontrerà
seri ostacoli nello spiare tutti, perché diventerà un'attività estremamente
costosa e che richiede molto tempo. E questa è assolutamente la chiave».
Cosa crede che stiano pianificando alla
Nsa per uscire da questo scandalo? Secondo lei, aspettano semplicemente che
sparisca dallo schermo del radar dell'opinione pubblica?
«La tecnica che usa ogni volta il governo americano quando finisce in una
bufera è sempre la stessa: fingere di fare riforme che siano insignificanti e
che siano semplicemente finalizzate a proteggere il sistema in modo che vada
avanti. Lo stesso Obama è un perfetto esempio di questa tecnica: (prima della
sua elezione ndr) gli Stati Uniti erano arrivati a un punto in cui erano visti
dallo stesso popolo americano e da tutto il mondo così aggressivi, militaristi
e corrotti che c'era bisogno di qualche simbolo che incarnasse le riforme, il
cambiamento. Obama ha rimpiazzato Bush e la gente ora pensa che le cose siano
migliorate, ma la realtà è che le cose sono andate avanti come prima e
addirittura con maggiore forza, perché ora non sono solo i repubblicani a
sostenere certe misure, ma anche i democratici. Quello che ora faranno sarà di
varare qualche legge che promuovono come riforma. Credo che il compito dei
giornalisti sia proprio quello di chiarire che quasi nulla è cambiato e di
continuare a fare pressione. Credo che le aziende di tecnologia americane siano
seriamente preoccupate per l'impatto di questo scandalo sul loro business,
perché per quale ragione la gente dovrebbe comperare tecnologia da loro quando
ci sono tante aziende in Germania, Brasile, Asia che dicono: non affidate i
vostri dati alla Nsa, affidatevi a noi. Altre nazioni stanno cercando di evitare
il dominio americano sulla Rete e a livello individuale la gente comincia a
scegliere la crittografia. Sta ai giornalisti fare in modo che la tattica del
governo americano non funzioni».
Lei si sente personalmente sotto
pressione per il fatto di essere in grado di far cambiare qualcosa in seguito a
questo scandalo?
«Avverto la pressione nel senso che mi sento in dovere di pubblicare queste
rivelazioni in modo che il dibattito vada avanti in modo informato, ma non mi
sento responsabile personalmente per il fatto che si arrivi a delle riforme:
quella è una responsabilità di tutti, condivisa, tra giornalisti e gruppi per
la difesa della privacy».
Parliamo di Snowden, crede che la Nsa
smetterà mai di dargli la caccia?
«No, non credo, forse tra dieci o venti anni si occuperanno di altro, ma non
credo che permetteranno mai a Snowden di tornare negli Usa, senza spedirlo in
prigione per un lunghissimo periodo di tempo. E questo perché il governo
americano è una macchina così grande e che dipende così tanto da un'enorme
massa di informazioni digitali, che non c'è modo di prevenire un'altra fuga
micidiale di documenti segreti. L'unico modo che hanno di prevenire una fuga di
file simile a quella che abbiamo avuto con Chelsea Manning (il militare
condannato per avere fornito a WikiLeaks l'archivio della diplomazia Usa ndr) e
con Snowden è creare un clima di paura così forte da mandare un messaggio del
tipo: se fai una cosa del genere, la tua vita sarà completamente distrutta. È
per questo che sono stati così aggressivi con Chelsea Manning, che hanno
torturato, così aggressivi nel perseguire WikiLeaks, e perché non potranno mai
permettere a Edward Snowden di tornare negli Usa, senza che finisca in
prigione. Sono mortalmente terrorizzati del pericolo che altre persone possano
ispirarsi a questi esempi».
Ma in un certo senso è una battaglia già
persa: dopo Chelsea Manning, e dopo il trattamento durissimo che le hanno
riservato, è uscito comunque fuori un Edward Snowden. Il deterrente non ha
funzionato.
«È vero. E prima di Chelsea Manning, hanno cercato di distruggere Thomas Drake
(l'autore delle prime rivelazioni sulla Nsa ndr ).
Ma dopo Drake, c'è stata Manning e poi Snowden”.
Che cosa le racconta Snowden della sua
attuale vita in Russia?
«Ero in Russia da lui qualche giorno fa: in generale sta molto bene, è lo
stesso Edward Snowden che ho incontrato un anno fa a Hong Kong. Essere in un
paese che non ha scelto, essere separato dalla sua famiglia è un'esperienza
stressante e sono sicuro che lo sia anche per lui. Ma allo stesso tempo ha una
pace interiore che gli deriva dalla scelta che ha fatto che gli conferisce una
serenità profonda. Mi ha detto che è libero di girare per Mosca, perché il suo
aspetto è un po' cambiato, quasi un ragazzo nella folla di Mosca».
Gira liberamente perché è camuffato in
modo da passare inosservato?
«Non si camuffa, dall'intervista con la Nbc si vede che il suo aspetto è un po'
cambiato, mentre quando l'abbiamo incontrato a Hong Kong è rimasto tre
settimane chiuso in camera, ed era pallidissimo, ora ha un aspetto più
salutare, cammina, va per negozi, non voglio dire che vive una vita
completamente normale, ma molto più ordinaria di quanto non si pensi».
È un dato di fatto che se Snowden è vivo
e libero è perché ci sono stati paesi che hanno saputo dire no agli Stati
Uniti, a cominciare da Hong Kong, Russia, Venezuela, Nicaragua, Bolivia,
Ecuador. Lei come replica a chi dice che Snowden non avrebbe dovuto chiedere
aiuto a questi paesi, ma sarebbe dovuto tornare negli Usa e combattere la sua
battaglia legale dagli States anche a costo di venire rinchiuso in una prigione
di massima sicurezza?
«Posso garantirle che il 99.9 percento delle persone che dicono questo non
accetterebbero mai di andare in una prigione di massima sicurezza negli Usa, se
si fossero trovati in una situazione analoga. La cosa importante da capire è
che la giustizia negli Stati Uniti è profondamente cambiata dopo l'11
settembre: chi è accusato di aver commesso crimini contro la sicurezza
nazionale non può più contare su un processo veramente giusto, è quasi una
garanzia che finirà condannato. Chi viene incriminato (come Snowden e Manning, ndr ) sulla base dell'Espionage Act, non ha
il diritto di appellarsi al fatto che ha rivelato certe informazioni perché
l'opinione pubblica ha il diritto di conoscerle. E quindi la possibilità di
avere un processo giusto non esiste. Perché avrebbe dovuto sottomettersi a un
sistema di giustizia così ingiusto e a una prigionia così dura? È
un'argomentazione idiota. E che il mondo possa vederlo libero, capace di
contribuire al dibattito, è veramente importante per altri whistleblower che
volessero seguire il suo esempio».
Hong Kong ha resistito alle pressioni
Usa, la Russia ha resistito, ma la terra della libertà e dei diritti umani,
l'Europa, ha completamente abbandonato a se stesso Snowden. Si aspettava questa
risposta?
«Sì. Una delle cose che mi sorprende è quanta poca dignità i leader di questi
paesi europei hanno. Sono completamente sottomessi e arrendevoli alle volontà
degli Stati Uniti».
E' importante sottolineare il ruolo di
WikiLeaks nel salvare Snowden. Senza la giornalista di WikiLeaks Sarah
Harrison, che ha prelevato Snowden da Hong Kong, lo ha accompagnato nel suo
volo alla ricerca di asilo, è rimasta con lui 39 giorni nell'aeroporto di Mosca
e quattro mesi a Mosca con lui, Snowden non sarebbe libero. Il “Guardian” e il
“Washington” Post hanno vinto il più importante premio giornalistico per il
loro lavoro sui file di Snowden, non crede che anche WikiLeaks dovrebbe
ricevere qualche riconoscimento pubblico per quello che ha fatto nel proteggere
la fonte?
«Assolutamente, sono stati cruciali nell'impedire che finisse in una prigione
Usa di massima sicurezza. Senza il coraggio di Sarah Harrison, non sarebbe mai
accaduto. Sono stato e sono uno dei più grandi difensori di WikiLeaks e mi
disturba profondamente quando chi crede nella trasparenza spara su WikiLeaks.
L'organizzazione è imperfetta, Julian Assange è imperfetto, come tutti noi, ma
il ruolo che giocano è così importante. E lo dico anche se qualche giorno fa
WikiLeaks ha criticato me e The Intercept (il suo giornale, ndr ), in modo duro: va bene così. Sono
contento che ci siano e che facciano sempre pressione per una maggiore
trasparenza. E non credo che ci sarebbe stato nessun altro gruppo o persona che
avrebbe fatto in quel momento quello che WikiLeaks e Sarah Harrison hanno fatto
per Edward Snowden: era il ricercato più ricercato del mondo, nel mirino del
più potente governo del globo».
Nel suo libro lei è molto duro con i
giganti del giornalismo: “New York Times”, “Washington Post” e perfino il
“Guardian”. Cosa pensa di fare con la sua nuova creatura, “Firstlook”: lei si
trova a operare nello stesso contesto legale e politico in cui operano gli
altri giornali, come pensa di poter fare un giornalismo aggressivo?
«È esattamente la domanda a cui stiamo cercando di rispondere. E non è facile.
La cosa per me più interessante, la ragione per cui sono ottimista sul futuro
del giornalismo, è la Rete, perché Internet permette di fare giornalismo in un
modo completamente libero. Il problema è che le persone che fanno quel tipo di
lavoro, spesso non hanno le risorse necessarie per fare inchieste contro grandi
agenzie del governo. E se invece si hanno risorse è perché si finisce per
lavorare per i grandi gruppi editoriali che ti dicono cosa devi fare e non puoi
metterci la tua passione. Vogliamo creare un'organizzazione giornalistica dove
i reporter sono completamente liberi e indipendenti, ma allo stesso tempo hanno
tutte le risorse necessarie. Puntiamo a potenziare il giornalismo indipendente».
Ha paura di finire come Bob Woodward e
altri grandi del giornalismo che lei sembra considerare come i custodi dei
segreti di Washington, che passano l'intero giorno a parlare con i papaveri
alti del governo e a far uscire i segreti che le varie fazioni del governo
vogliono fare uscire per promuovere questa o quell'agenda?
«Credo sia sbagliato assumere di essere immuni da tutte queste dinamiche che
corrompono l'integrità di un giornalista. La ragione per cui si finisce
compromessi è che le dinamiche sono così potenti. Più si diventa professionisti
di successo, più si diventa visibili, più si guadagna, più si ha accesso agli
alti livelli del potere, più il rischio di diventare compromessi è serio. E la
ragione per cui si finisce corrotti è che ci si ritiene immuni. Personalmente
cerco ogni giorno di essere consapevole di quelle tentazioni, ma questo non è
di per se una garanzia che ci riuscirò. Una delle cose che mi rende felice è
che, se si guarda alla recensione del “New York Times” del mio libro, mi
considerano ancora un outsider, mi fanno capire che nonostante il Pulitzer,
rimango fuori dal club. E questo mi rasserena, perché non mi fa sentire troppo
avvolto nelle dinamiche dell'establishment del giornalismo, che di fondo,
considero corrotto».
da
qui
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