DOV’ERCULE
SEGNO’ LI SUOI RIGUARDI
(Dante,
Inferno, Canto XXVI, verso 109)
Mi imbattei
per la prima volta nel concetto di limite a scuola, studiando analisi
matematica al liceo, e me ne innamorai. Cominciai a ideare integrali con
variabili della vita quotidiana, per valori ipotetici, perdendoci dietro tempo
invece di risolvere gli esercizi dei compiti. E al contempo mi affascinava
l’idea della retta (o la curva) che tende all’infinito per un determinato
valore della funzione (al limite). Anche l’infinito diventava un sinuoso
simbolo matematico, un fantastico serpente, un doppio uroboro. E il bello era
che i concetti di limite e infinito si coniugavano, l’uno rimandava
all’altro. Passando a studi letterari la sbornia del limite
associato all’idea di infinito svaporò, ma rimase l’attrazione per l’idea di
tensione ad quem, che ritrovai espressa nel bellissimo verbo tedesco streben,
un verbo-leitmotiv che attraversa tutto il Faust di Goethe e
spiega la salvezza dell’anima di Faust nonostante il suo patto con
Mefistofele. Streben esprime lo slancio umano finalizzato non
solo all’autorealizzazione ma verso la verità, il bene collettivo,
l’inveramento del meglio di sé con l’altro[1].
E’ ancora
lo streben che percorre la letteratura medievale francese nel
tema della quête del cavaliere errante, che è ricerca ideale
non solo in senso religioso ma esistenziale. Nel Parzival
(Parsifal) di Wolfram von Eschenbach, che riprende la chanson de geste incompiuta
di Chretien de Troyes, la ricerca del Graal riassume il compito sommo di tutta
la vita. Creando la figura immortale di Don Chisciotte, la letteratura spagnola
con Cervantes sancisce la fine di questo ciclo letterario facendo collassare il
sublime nel ridicolo e viceversa.
Il limite
come orizzonte di senso si ritrova nella filosofia classica greca, iscritto in
una cornice politica ed etica e relazionato al concetto di misura, alla giusta
misura dell’agire. La realtà però, essendo fatta di polarità, è mescolanza di
limite e illimite, l’uno rimanda all’altro, e ciò crea un tutto armonico e
ordinato, il cosmo contrapposto al caos[2]. Nell’agire umano tale equilibrio si ritrova
nell’esercizio della temperanza, del rifiuto di accumulare ricchezze o di
perseguire ambizioni smodate: “la virtù greca (areté)…va intesa come ciò
per cui ogni cosa attua nel modo migliore la sua natura specifica: nel caso
dell’uomo…si tratta di esplicare in modo ottimale la propria razionalità,
coltivando la propria anima con ordine e misura, appunto con temperanza”[3].
L’eroe per
antonomasia della tensione strenua verso e oltre un limite sancito dal comune
intendimento dell’epoca come invalicabile è stato creato dalla fantasia poetica
di Dante nel XXVI Canto dell’Inferno. Ulisse è relegato in una delle più
profonde bolge infernali, prigioniero di una fiamma incessante che lo avvolge,
insieme a Diomede, in quanto politico fraudolento che abusò dell’ingegno di cui
era dotato per trarre altrui in inganno e nuocere. La riprovazione del
moralista Dante si unisce all’ammirazione intellettuale per colui che il poeta
immagina lanciato nel suo ultimo viaggio, quello che lo perderà ma lo renderà
per sempre nella letteratura universale l’emblema della sete umana di conoscere
e superare nuove mete. “Facendo ali al folle volo[4]” per “seguir virtute e canoscenza[5]” Ulisse, con la sua “compagna picciola[6]”, oltrepassa un limite che la ragione
teologica di Dante giudica invalicabile, perché così ritenuto dalla concezione
cosmologica di allora (tolemaica) e perché non illuminato dalla grazia divina.
Infatti, oltrepassando le colonne d’Ercole e continuando la navigazione, di
fronte alla nave si erge la montagna del Purgatorio, l’oltretomba precluso ai
pagani, e il naufragio e la morte sono ineluttabili
Primo Levi
riprende in un indimenticabile capitolo di Se questo è un uomo i
versi dell’ultimo viaggio di Ulisse del XXVI Canto dantesco: l’autore era
uscito dal lager di Auschwitz con altri compagni per eseguire un lavoro
pesante, e tornando al suo inferno cerca di ricordarli e li traduce al suo
compagno di lager. Mentre camminano riaffermano la loro dignità di uomini
pensanti, l’uno citando e l’altro chiedendo. Oltrepassato il cancello del
lager, il mare si richiude anche su di loro[7].
L’altro eroe
mitico del travalicamento del limite è il titano Prometeo, che, nella tragedia
di Eschilo Il Prometeo Incatenato, impietosito per la miseria
in cui versa la condizione umana, ruba una scintilla di fuoco per donarla agli
uomini e migliorare così la loro vita, suscitando la collera di Zeu,s che
ordina al Potere e alla Forza di incatenarlo con l’aiuto di Efesto ad una rupe
sulle montagne della Scizia. Prometeo confida al coro delle Oceanine, turbate
dalle sue sofferenze inflitte da un dio a lui dio pur minore, che ha commesso
il furto consapevole delle conseguenze che la sua azione avrebbe avuto, perché
riteneva giusto farlo. E’ punito, si lamenta ormai avvinto alle rocce,
perché troppo profondamente dall’alto/ebbi pietà della mortalità degli uomini.
Ha varcato il limite che un dio più potente ma tiranno vietava di oltrepassare,
per altruismo e non per tracotanza o per vantaggi personali. E’ un “travalicatore
virtuoso” di frontiere ingiuste e ingiustificate, pronto a pagare di persona
per il suo gesto di sfida.
Stefano Levi
della Torre riprende la figura di Prometeo nella bella raccolta di saggi Essere
fuori Luogo[8], nel capitolo intitolato Mosé
e Prometeo, con un brevissimo ed enigmatico racconto di F.Kafka che lui
interpreta come “racconto alla rovescia” ed esempio di “inabissarsi di senso”,
che riporto per la sua gelida perfezione:
“Di Prometeo
raccontano quattro leggende. Secondo la prima egli, avendo tradito gli dei in
favore degli uomini, venne incatenato al Caucaso, e gli dei inviarono delle
aquile a divorargli il fegato che ricresceva continuamente. La seconda narra
che Prometeo, per il dolore causato dai becchi che lo dilaniavano, si serrò
sempre più alla roccia finché divenne una sola cosa con essa. Secondo la terza
il suo tradimento venne dimenticato attraverso i millenni: gli dei, le aquile,
egli stesso dimenticarono. Secondo la quarta, tutti si stancarono di colui che
ormai non aveva più senso. Gli dei si stancarono, le aquile si stancarono, la
ferita si richiuse stancamente. Rimase l’inesplicabile montagna di roccia. La
leggenda tenta di spiegare l’inesplicabile. Poiché nasce da un fondo di verità,
deve finire nell’inesplicabile”.
In epoca
moderna (quasi contemporanea) ritroviamo in politica il concetto di limite con
il famoso Rapporto I limiti dello sviluppo del 1972
commissionato al MIT[9] dal Club di Roma[10] (si noti che il titolo in inglese
è The Limits to Growth, cioè I limiti allo sviluppo),
il cui succo tuttora attualissimo era: attenzione, in un sistema finito le
risorse non sono infinite e la crescita progressiva non commisurata a quanto
effettivamente disponibile e passibile di rigenerazione conduce al declino e al
collasso. Ne sono uscite riedizioni aggiornate dagli autori nel 1992 e nel
2004, basate su dati reali e nuove tecniche di calcolo più sofisticate.
Figlia del
concetto del limite necessario è la formulazione dell’idea di sostenibilità intesa
come “… la caratteristica di un processo o di uno stato che può essere
mantenuto a un certo livello indefinitamente”[11], che appare nel Rapporto Brundtland del
1987. La sostenibilità rischia oggi di divenire un mantra
invocato a destra e a manca, svuotato di ogni sostanza in un’orgia di ipocrisia
e impostura intellettuale al servizio di politiche improntate al saccheggio
continuo delle risorse ambientali, economiche, culturali e dello sfruttamento
sfrenato della forza lavoro a vantaggio di una accumulazione selvaggia di
ricchezza. Sembra che neppure i Rapporti dell’IPPC[12], sempre più precisi, frutto del
lavoro di centinaia di scienziati di tutto il mondo, che pullulano di scenari
infausti come conseguenza di un innalzamento della temperatura media globale
del pianeta oltre il limite di 1,5° C a causa dei gas presenti in atmosfera
servano a flettere le politiche delle maggiori potenze industriali e politiche
e a indirizzarle verso quella moderazione e quel senso della giusta misura così
bene illustrati dalla filosofia classica greca e da Platone.
In questa
frenetica e folle corsa verso un “sempre più” (più veloce, più ricco, più
produttivo, più redditizio, più letale, più distruttivo, e via dicendo) si
inseriscono non solo le politiche socio-economiche, la
finanziarizzazione dell’economia e la distruzione dello Stato
Sociale, ma anche la corsa agli armamenti e la corsa verso la conquista dello
“spazio”: Luna e Marte per ora, a parte il nugolo di satelliti che ruota sempre
più numeroso intorno alla Terra e causa sempre più detriti pericolosi (space
debris)[13]. La NASA ha aperto le danze e molti si sono
lanciati al seguito, anche se gli Stati Uniti lottano strenuamente per
mantenere la leadership nelle tecnologie di punta in ogni campo a suon di
migliaia di miliardi, tallonati da Cina, Russia, India e ormai anche dalle
potenze del Golfo. Ma non si trovano i miliardi per rimediare alle crepe
terrestri e all’avanzare gagliardo di questo pianeta verso la sua rovina.
L’ antieroe
emblematico di questa corsa allo spazio e allo sperpero planetario mi sembra
oggi essere Elon Musk, un aspirante travalicatore di limiti agli antipodi delle
figure mitiche prima ricordate, in quanto non animato né da amore della scienza
e conoscenza né dal desiderio di giovare al benessere collettivo o di una
qualche comunità. E’ un imprenditore dello spazio, e in quanto tale i suoi
prodotti debbono generare profitto. Con Starship HLS[14], navicella spaziale con struttura di alto
livello (questo significa HLS) per transitare un futuribile equipaggio da
un’astronave (Orion) all’atterraggio sulla luna, la sua società Space
X ha vinto una gara d’appalto (2,9 miliardi di dollari) della NASA
nell’aprile scorso contro l’altro aspirante imprenditore spaziale, Jeff Bezos,
CEO di Amazon e famigerato sfruttatore di forza lavoro a buon mercato, che
gareggiava con il suo Blue Origin[15]. La NASA tranquillizza lo sconfitto:
ci sarà spazio per tutti, spazio appunto, in futuro. E intanto ambedue cercano
di attirare miliardari annoiati in cerca di brivido per un breve tuffetto nello
spazio e ritorno per pagarsi almeno il caffè e la brioche del mattino. O
magari, en attendant Godot, sulla Luna. E Mr Musk dichiara sprezzante: “Non
vogliamo essere una di quelle specie che vivono soltanto su un pianeta; noi
vogliamo essere una specie che vive su molti pianeti”[16]. Da non credere.
In effetti,
a Elon Musk la luna non interessava granché. La concezione della Starship originale
di Space X nel 2010 era mirata alla colonizzazione di Marte,
che secondo l’imprenditore celeste sarebbe raggiungibile a livello tecnico con
un equipaggio nel 2026. Una volta mangiatasi la terra, succhiate fino al
midollo le sue risorse, questi pseudo-visionari, nanetti assetati di soldi e
potere, guardano al sistema solare, lasciando i torsoli rosicchiati ai circa
otto miliardi o più di poveracci che non potranno scappare a cento milioni di
km di distanza su un altro pianeta per distrarsi un po’ – pianeta che tra
l’altro non appare molto attraente. Probabilmente assomiglia al futuro della
Terra spolpata. Il titolo di un articolo letto per la preparazione di questo
articolo recita “La nuova ambizione di Elon Musk potrebbe essere la più
rischiosa impresa (quest = ricerca, analogo inglese della quête)
mai intrapresa dagli umani”[17]. Ma il signor Elon non è un cavaliere
errante che rischia in prima persona. “Molti scienziati, tuttavia, mettono in
guardia sulle troppe domande senza risposta rispetto ai viaggi nelle profondità
dello spazio (deep-space travel). “Musk ha ammesso di riconoscere i rischi: è
dura scorrazzare lassù (it’s tough sledding over there)”[18]. La pelle non è la sua.
L’antieroe
ha anche i piedi ben piantati a terra e ha fiutato da tempo un altro ottimo
affare: la Tesla è la sua automobile elettrica e ha ora
costruito un mega-impianto in Germania nei pressi di Berlino che sfornerà
centinaia di migliaia di auto con batterie elettriche ricaricabili. Auto per la
motorizzazione privata naturalmente, replicando l’errore fatale di molti
decenni fa a discapito del trasporto pubblico, su rotaia, su gomma, via mare o
fiumi, con il bel risultato attuale di aria irrespirabile e intasamento della
circolazione urbana e extra-urbana. E centinaia di migliaia di morti da
inquinamento. I gas di scarico dei veicoli privati costituiscono una
percentuale consistente dell’inquinamento totale dell’aria che respiriamo[19].
E peccato
che le batterie elettriche necessitino di litio ad esempio, per cui si sta
scatenando una corsa per lo sfruttamento di nuovi giacimenti di questo minerale
per la cui estrazione si consumano quantità immani di acqua. Le più grandi
miniere di litio sono in territori fragilissimi e aridi: i salares,
deserti di sale della Bolivia e del Cile. Ho visto il salar dell’Atacama
nell’estremo nord del Cile, il deserto più arido del mondo, delicatissimo: non
si poteva calpestare, c’erano sottili tracciati da percorrere. I villaggi
sparsi attorno a San Pedro de Atacama potranno crepare di sete, gli acquiferi
esaurirsi, ma ci saranno auto elettriche per tutti! E quando la Terra comincerà
a bollire davvero e l’acqua a scarseggiare dappertutto e non solo nelle
campagne africane riarse, tutti i miliardari si rifugeranno su Marte, grazie al
benefattore visionario Elon Musk.
Specie
multi-planetaria o specie estinta? Oggi i soli travalicatori virtuosi di limiti
ingiusti sono i migranti.
[1] Nel momento culminante dell’opera di
Goethe, appena prima di morire, Faust sta lavorando per sottrarre una palude
all’acqua che la invade per riscattarla in “verdi campi fecondi” dove si potrà
“In una terra libera fra un popolo libero esistere” e afferma “la libertà come
la vita/si merita solo chi ogni giorno/ la dovrà conquistare”. Raggiunge
così il fine della sua vita, dice all’attimo il fatidico “Fermati dunque, sei
così bello”, e muore. (Faust II, Atto quinto, pag. 1017/1019, Oscar Mondadori
2010, trad. di Franco Fortini). Mefistofele è sconfitto, l’anima di Faust è
salva per il suo streben incessante, non più verso la pura
conoscenza ma per azioni a vantaggio dell’umanità.
[2] Platone nel Gorgia
[3] https://www.economiaediritto.it/il-concetto-greco-di-limite-come-orizzonte-di-senso-per-una-vera-politica/
[4] Verso 125
[5] Verso 120: la dizione scelta da Natalino
Sapegno è “canoscenza”, come più avanti compagna” (compagnia)
[6] Versi 101-102
[7] Capitolo “Il canto di Ulisse”.
[8] Stefano Levi della Torre, Mosé e
Prometeo, Essere fuori luogo, Donzelli, 1995.
[9] Massachusetts Institute of Technology
[10] https://it.wikipedia.org/wiki/Rapporto_sui_limiti_dello_sviluppo
[11] https://it.wikipedia.org/wiki/Sostenibilit%C3%A0
[12] Intergovernmental Panel on Climate
Change, Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico
[13] https://en.wikipedia.org/wiki/Kessler_syndrome
[14] https://en.wikipedia.org/wiki/Starship_HLS
[15] Michael
Sheetz@thesheetztweetz
[16] Published Fri, Apr 23 202111:10 AM
EDTUpdated Fri, Apr 23 202111:43 AM EDT, Michael
Sheetz@thesheetztweetz
[17] https://www.livemint.com/news/world/elon-musk-s-new-ambition-could-be-riskiest-ever-human-quest-11622008817799.html
[18] Ibid.
[19] Il settore dei trasporti è responsabile
del 30% delle emissioni totali di CO2 in Europa; di questo 30%, il 72% è
prodotto dal solo trasporto stradale (europarlamento.europa. eu, 18/04/2019).
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