Qualche giorno fa è stato pubblicato un appello
sottoscritto da 50 premi Nobel (fra cui gli italiani Giorgio Parisi e Carlo
Rubbia) e diversi Presidenti di Accademie delle scienze nazionali (fra cui
Annibale Mottana, presidente dell’Accademia nazionale dei lincei) con una
proposta semplice e concreta rivolta all’umanità intera. Fra i sostenitori
della proposta anche il Dalai Lama, Nobel per la Pace. In un tempo in cui
l’umanità deve affrontare delle sfide drammatiche come la necessità di
debellare una pandemia virulenta mai conosciuta prima, l’esigenza di arrestare
il riscaldamento globale e di confrontarsi con i guasti provocati dai
cambiamenti climatici, dalla siccità estrema, dall’inquinamento crescente, è
evidente che nessun paese si salva da solo e che le scelte più dannose devono
essere modificate. L’appello intende mettere i leader politici e l’opinione
pubblica mondiale di fronte a un paradosso che non può più essere ignorato per
la sua gravità e che nessuno può far finta di non vedere. Osservano gli scienziati:
«La spesa militare, a livello globale, è raddoppiata dal 2000 ad oggi,
arrivando a sfiorare i duemila miliardi di dollari statunitensi all’anno.
Inoltre, è in aumento in tutte le aree del mondo. I singoli governi sono sotto
pressione e incrementano la spesa militare per stare al passo con gli altri
Paesi. Il meccanismo della controreazione alimenta una corsa agli armamenti in
crescita esponenziale». In sostanza si è creato un circolo vizioso: i singoli
paesi sono obbligati ad aumentare le spese militari perché altri, percepiti
come avversari aumentano le loro: «il che equivale a un colossale dispendio di
risorse che potrebbero essere utilizzate a scopi migliori».
Il grafico del SIPRI allegato all’appello mostra che
la spesa militare globale, dopo la continua progressione dovuta alla guerra
fredda si era stabilizzata intorno ai 700 miliardi di dollari statunitensi
all’anno nel periodo dal 1990 al 2000. Sono gli anni in cui, dopo la caduta del
muro di Berlino (1989) e lo scioglimento del Patto di Varsavia (1990), venuta
meno la guerra fredda, l’umanità si aspettava di raccogliere i dividendi della
pace. Ma gli architetti dell’ordine mondiale erano di diverso avviso. La guerra
“umanitaria” della NATO contro la Jugoslavia (1999) e l’aggressione e occupazione
militare dell’Iraq (2003), hanno fatto tramontare l’illusione, posta a
fondamento del sistema di sicurezza collettivo dell’ONU, che la pace potesse
essere garantita dal diritto e hanno dato il via a una nuova e più consistente
corsa agli armamenti. Di conseguenza in venti anni la spesa militare globale è
più che raddoppiata arrivando a sfiorare l’astronomica cifra di 2 trilioni di
dollari all’anno.
L’appello degli scienziati, proprio perché proviene da
persone estremamente autorevoli è paragonabile all’esclamazione innocente del
bambino della favola di Andersen: «il Re è nudo». Ci svela una realtà che tutti
(cortigiani e popolo) facciamo finta di non vedere. Di qui la proposta,
estremamente ragionevole proprio perché fa i conti con la realtà. «Noi vogliamo
presentare una semplice proposta per l’umanità: che i governi di tutti gli
Stati membri delle Nazioni Unite si impegnino ad avviare trattative per una
riduzione concordata della spesa militare del 2 per cento ogni anno, per cinque
anni». In questo modo, pur mantenendo la sicurezza collettiva fondata
sull’equilibrio delle forze, si creerà entro il 2030 un “dividendo della pace”
pari a mille miliardi di dollari statunitensi:
«La metà delle risorse sbloccate da questo accordo
verrà convogliata in un fondo globale, sotto la vigilanza delle Nazioni Unite,
per far fronte alle istanze più pressanti dell’umanità: pandemie, cambiamenti
climatici e povertà estrema. L’altra metà resterà a disposizione dei singoli
governi. Così facendo, tutti i Paesi potranno attingere a nuove e ingenti
risorse, che in parte si potranno utilizzare per reindirizzare le notevoli
capacità di ricerca dell’industria militare verso scopi pacifici nei settori di
massima urgenza.[…] In questo momento ‒ concludono gli scienziati ‒ il genere
umano si ritrova ad affrontare pericoli e minacce che sarà possibile
scongiurare solo tramite la collaborazione. Cerchiamo di collaborare tutti
insieme, anziché combatterci».
La proposta-appello dei 50 premi Nobel per la pace ha
avuto l’onore della prima pagina su importanti organi di informazione, ma –
caso strano – non è filtrata nel campo dei suoi destinatari: il leader e i
partiti politici. Ha avuto spazio nei media come qualsiasi notizia che può
incuriosire l’opinione pubblica, come le vicende sentimentali di un cantante o
di un attore famoso, niente che possa interrogare la politica. Infatti la
politica non si è sentita minimamente interrogata. Questa notizia semplicemente
è sparita dai radar della politica. Nessuno dei leader politici italiani, adusi
a una presenza attiva nel teatrino politico italiano, in questi giorni
particolarmente impegnati in un vacuo chiacchiericcio sul Quirinale, ha
reputato di spendere una sola parola sulla proposta dei 50 premi Nobel, nemmeno
per dire: «non sono d’accordo». Forse perché in questo contesto storico
politico l’orientamento è quello di incrementare non di ridurre le spese
militari (la NATO pretende che la spesa militare dell’Italia debba passare
dagli attuali 26 miliardi di euro a 36 miliardi annui) e la “libidine di
servilismo” dei nostri politici impedisce persino di affrontare il tema.
Ma il tema resta, con la solidità di un macigno, e la
Storia non fa sconti per nessuno.
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