Al
termine dell’udienza di venerdì scorso il gip Valerio Savio si è riservato. La
decisione arriverà con molta probabilità nel corso della prossima settimana.
Era nuovamente presente, come era già avvenuto per il ricorso davanti al
tribunale del riesame, il sostituto procuratore della repubblica Eugenio
Albamonte che ha sostituito il pm di aula. Partecipazione del tutto inusuale ma
alla quale ormai ci siamo abituati e che sta a significare l’importanza che la
procura attribuisce a questa inchiesta o forse la preoccupazione per la piega
inaspettata che stanno prendendo gli eventi. L’avvocato Francesco Romeo ha
spiegato le ragioni del ricorso sottolineando come il personale di polizia sia
andato di gran lunga oltre le indicazioni presenti nel mandato di perquisizione
disposto dalla procura. Si trattava infatti di perquisire l’abitazione e in
particolare tutti i supporti informatici per estrarre e sequestrare unicamente
il materiale afferente l’indagine: ovvero la documentazione
relativa alle attività della commissione parlamentare Moro 2.
Contravvenendo a quanto indicato nel mandato, i tre servizi di polizia che
conducevano l’operazione (polizia di prevenzione, digos e polizia postale)
hanno invece portato via ogni cosa, arraffando ogni tipo di supporto
informatico, oltre alle chiavi di accesso al cloud e diverso materiale
cartaceo, raccolto stavolta dopo un’accurata perquisizione della libreria. Per
sanare la difformità tra quanto indicato nel mandato di perquisizione e il
materiale realmente sequestrato, il pubblico ministero Albamonte avrebbe dovuto
effettuare nelle 48 ore successive – come previsto dal codice di procedura –
una convalida del materiale acquisito in eccesso. Convalida mai avvenuta. E
poco importa, come ha ribattuto Albamonte in aula che di fronte alla mole di
materiale digitale archiviato gli operatori di polizia non avrebbero potuto
effettuare all’interno dell’abitazione l’estrazione della documentazione che
interessava l’indagine. Resta la mancata convalida successiva del pubblico
ministero. Ad un certo punto dell’udienza il gip si è reso conto di aver già
deciso in favore dell’incidente probatorio sul materiale sequestrato (prossimo
14 gennaio 2022), anticipando la decisione senza aver prima valutato il merito
del ricorso sulla legittimità del sequestro. Una situazione imbarazzante!
Di seguito potete leggere la mia dichiarazione depositata agli atti.
Dichiarazione
di Paolo Persichetti al Gip Valerio Savio – udienza del 17 Dicembre 2021
Nel corso del 2014, quando le condizioni mediche del mio secondo
figlio lo hanno consentito, con grandi sforzi e fatica, anche solo per poche
ore a settimana, ho iniziato a frequentare biblioteche e archivi d’ogni tipo
alla ricerca di materiali e documenti, oltre a raccogliere tutto quello che i
vari portali e le fonti aperte presenti sul web consentivano di rintracciare.
Dopo aver consultato parte della documentazione presente preso l’archivio
storico del Senato relativa alle attività delle commissioni d’inchiesta
parlamentare che hanno lavorato sull’affare Moro, ho scoperto, quasi per caso,
le carte della direttiva Prodi versate in archivio di Stato: 27 faldoni che ho
consultato interamente per quasi tre anni, previa autorizzazione ministeriale
che all’epoca era richiesta. Successivamente è arrivata la direttiva Renzi e
altri materiali di notevole interesse (materiale digitale interamente
sequestrato lo scorso 8 giugno). Da qui è nata l’idea di un progetto editoriale
complesso, insieme a due altri studiosi, che è poi sfociato nel 2017 nella
pubblicazione di un primo volume, “Brigate rosse, dalle fabbriche
alla compagna di primavera” per le edizioni Deriveapprodi.
Successivamente ho chiesto anche l’accesso agli archivi della Corte d’appello
depositati presso l’aula bunker di Rebibbia. Nello stesso periodo con i miei
colleghi ho avviato anche un lavoro di ascolto delle fonti orali disponibili e
raggiungibili in presenza e a distanza. Da qui lo scambio di mail posto
all’attenzione delle indagini della procura.
Poiché alla fine del 2014 aveva avviato le sua attività una nuova commissione
d’inchiesta parlamentare sulla vicenda del sequestro e della uccisione di Aldo
Moro, è iniziato un parallelo lavoro, sempre con i miei colleghi, di studio dei
nuovi materiali accessibili prodotti dalla nuova commissione (fondamentalmente
audizioni) e di interazione con la commissione stessa, almeno fino al maggio
2016, quando ci è stato impedito di tenere un convegno presso la Camera dei
deputati.Preso contatto con un suo membro, insieme ai miei colleghi abbiamo
formulato delle proposte come l’audizione, novità assoluta rispetto al passato,
di studiosi del caso Moro molto critici rispetto alle ricostruzioni
complottiste della vicenda. Grazie a questo lavoro, tra il giugno e il novembre
2015 sono stati auditi il professor Marco Clementi, il documentarista del
Senato e in passato archivista della Commissione Stragi, dottor Vladimiro
Satta, e un giovane studioso, il dottor Gianremo Armeni. Queste persone hanno
portato all’attenzione della commissione uno sguardo nuovo, una metodologia
differente, una quantità rilevante di nuove informazioni e nuovi documenti. In
particolare il professor Clementi, con il quale collaboravo in modo stretto,
nel corso della audizione del 17 giugno 2015, ha depositato delle foto ed un
verbale di interrogatorio del testimone Alessandro Marini, che hanno poi
condotto il teste a ritornare sulle sue precedenti dichiarazioni e ammettere
che nessuno sparo aveva colpito il parabrezza del suo motorino, come per altro risultava
nel verbale d’interrogatorio del 1994 (da me scovato presso l’archivio storico
del Senato e da tutti sempre ignorato) e le numerose foto del mezzo
parcheggiato su un marciapiede di via Fani attestavano. Circostanza rilevante
poiché metteva definitamente in dubbio le ricostruzioni che parlavano delle
presenza di una moto Honda nella dinamica del rapimento Moro in via Fani. Il
professor Clementi ha depositato anche un fonogramma proveniente da Beirut,
trovato nelle carte della direttiva Renzi, inviato dal colonnello Giovannone
che attestava per la prima volta l’esistenza del “Lodo Moro”, infine uno
schizzo disegnato da Mario Moretti che ricostruiva la dinamica dell’azione di
via Fani.
Attiro l’attenzione su questa singolare circostanza che mi vede accusato di
essermi procurato e aver divulgato documenti riservati, in realtà la bozza di
una relazione che sarebbe stata resa pubblica poche ore dopo e che non
costituisce quello che in materia storiografica viene definito un documento
“primario” che può avere carattere riservato o segretato, come un verbale che
raccoglie testimonianze, attività d’indagine in corso, materiale giudiziario,
documentazione segregata proveniente da altri Enti, ma rappresenta una sintesi
politica – per buona parte già pubblica (si vedano le sintesi delle audizioni),
quando in realtà è accaduto l’esatto contrario: con il mio lavoro ho
contribuito a far pervenire all’attenzione della Commissione documentazione di
significativa rilevanza per i suoi lavori.
Nel luglio del 2015 era stato audito il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni
che nel riassumere le vicende estradizionali aveva riportato delle informazioni
errate riguardo alla posizione giudiziaria e penitenziaria del dottor Alvaro
Loiacono Baragiola. Il dottor Baragiola, dopo aver ascoltato su radio radicale
l’audizione, mi comunicò il suo disappunto e l’intenzione di intervenire sulla
questione. Informai il membro della commissione con cui ero in contato, il
quale a sua volta ne parlò con il presidente Giuseppe Fioroni che si mostrò
subito interessato. In effetti nell’autunno del 2015 la Commissione Moro 2
aveva avviato una nuova fase: il presidente della Commissione si era convinto
della necessità di audire gli ex militanti delle Br che in passato avevano
sempre rifiutato, in ragione delle ricostruzioni complottiste sempre avanzate
dalle commissioni. In alcune dichiarazioni pubbliche aveva affermato che era
venuto il momento di ascoltare queste persone. L’intenzione di intervenire
espressa dal dottor Baragiola sembrava quindi confortare i progetti del
presidente Fioroni.
Tra il novembre e la fine del dicembre 2015 ci fu un intenso lavorìo che
portò ad uno scambio di lettere tra il dottor Baragiola e il Presidente
Fioroni, un flusso comunicativo che mi pose inevitabilmente nella posizione di
veicolatore dei reciproci messaggi che passavano attraverso una terza persona,
un membro della Commissione (e che allego insieme a questo testo). E’
nell’ambito di questo contesto, assolutamente noto al presidente Fioroni, che
ho inviato alcune pagine della bozza della prima relazione attinenti ad uno dei
punti cruciali della vicenda, su cui si focalizzava l’attrito tra il nostro
lavoro di ricostruzione storica del sequestro e l’ipotesi portata avanti dalla
Commissione: ovvero l’abbandono in via Licinio Calvo delle tre vetture con cui
i brigatisti erano fuggiti da via Fani. Ed è a partire dalle richieste di
chiarimenti fatte a più testimoni, non solo al dottor Baragiola, che è iniziato
il lungo percorso di ricostruzione dell’azione di via Fani in tutti i suoi
aspetti, logistici e politici poi sfociato nel volume sopra citato. Un lavoro
condotto in completa trasparenza, senza alcun artificio cospirativo, attraverso
le mail e i vari social e appuntamenti in presenza con le fonti residenti in
Italia.
Alla luce di queste circostanze non trova fondamento l’accusa di violazione di
una qualunque notizia riservata, non avendo io mai ricevuto documenti
classificati ma piuttosto letto più volte sulla stampa rivelazioni provenienti
dall’interno della commissione presieduta dal presidente Fioroni e, ad oggi,
stranamente mai perseguite dalla magistratura. Non comprendo quale possa essere
l’attività di favoreggiamento che mi viene contestata. Non mi risulta che
intervistare una persona la quale, pur avendo ancora pendenze penali, risiede
in un altro Paese dove ha scontato una lunga detenzione, ha acquisito la
nazionalità, possiede un domicilio noto (tanto da essere raggiunto dai
giornalisti), lavora e vive con la propria famiglia, sia un comportamento
vietato dal codice penale. Comprendo ancora meno come si possa elevare una
accusa di partecipazione ad associazione sovversiva senza fornire la minima
condotta di reato: forse solo perché questa imputazione fornisce agli
inquirenti strumenti d’indagine più agevoli e invasivi della sfera personale.
Le chiedo anche come sia possibile entrare in una abitazione per una intera
giornata stravolgendo la vita di una persona anziana, di due minori, di cui uno
con una grave disabilità, del personale infermieristico e di sostegno che se ne
occupa, con il pretesto di prelevare della documentazione molto specifica e
limitata, riferita alle attività della Commissione Moro 2, per altro da me
fornita subito senza problemi (e direi con estremo stupore visto che me la sono
procurata scaricando il materiale dal sito di un ex membro della commissione
stessa, https://gerograssi.it/b131-b175/#B131),
ed invece portare via tutto ciò che era possibile. Arraffare ogni supporto
informatico, persino telefoni cellulari obsoleti e rotti, vecchie pendrive che
usavo per il mio lavoro di giornalista, le cartelle sanitarie e scolastiche dei
miei figli, l’intero archivio fotografico della mia famiglia e di mia moglie,
che è fotografa e da mesi si ritrova privata di parte del suo archivio,
sottrarmi i miei strumenti di lavoro, computer, tablet, telefonino, portare via
tutto l’archivio dei miei studi universitari, il mio intero archivio storico
personale raccolto presso l’archivio centrale dello Stato, l’archivio storico
del senato, le biblioteche parlamentari e pubbliche, l’archivio della corte
d’appello di Roma, i materiali della direttiva Prodi e Renzi, quelli della
prima commissione Moro e della commissione Stragi, una infinità di files
scaricati da fonti aperte. Quale può essere la finalità investigativa di
un’azione del genere? Una pesca a strascico indiscriminata che mi ha sottratto
del mio passato, della mia intimità (cosa può esserci di sospetto nelle foto
dei miei figli in sala parto?) e che – a quanto pare – ha il solo fine di
menomare la mia attività, di imbavagliare la mia ricerca, di prendere in
ostaggio la storia, di sequestrare il passato.
da
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