Oggi, mentre
il mondo intero prende atto della catastrofe climatica di fronte al
manifestarsi sempre più grave dei suoi effetti, è stupefacente scoprire la
lungimiranza di chi, già dagli albori della seconda rivoluzione industriale,
aveva intuito la natura anti-ecologica del
capitalismo. Il 28 maggio scorso, a 150 anni dalla caduta della
Comune di Parigi, Reporterre -
quotidiano dell’ecologia - ha dedicato un approfondimento al pensiero
ecologico de* Comunard*, a cura di Gaspard d’Allens.
Nella sua breve storia la Comune di Parigi ha assunto l’intensità di una
rivoluzione totale, che non poteva che estendersi, per le sue menti più
fervide, anche al sovvertimento della divisione fra uomo e natura.
E così che ritroviamo in Elisée Reclus l’accumunare in uno stesso destino
umanità e natura.
Ritroviamo in Benoit Malon e André Leo la difesa della dimensione
collettiva del rapporto con la terra come base della riproduzione materiale, a
fronte dell’espropriazione privatistica da parte del capitale.
Ritroviamo in Louise Michel l’empatia fra esseri viventi egualmente
oppressi, e la scoperta fra le genti della Nuova Caledonia di un pensiero
indigeno superiore nel rapporto con la natura a quello dei colonizzatori
francesi. Elementi che 150 dopo sono tutti ancora all’ordine del giorno.
Ringraziamo Reporterre per la sua opera di
informazione ecologica quotidiana e indipendente, e per averci dato la
possibilità di proporvi la nostra traduzione di «La Commune de Paris fut la
matrice d’une écologie révolutionnaire».
Centocinquanta
anni fa si chiudeva l’ultimo giorno della Comune di Parigi.
Questo episodio rivoluzionario è stato spesso confinato ad un’esperienza urbana
ed operaia.
Eppure, Louise Michel, Elisée Reclus e gli altri comunardi avevano una “visionaria
apprensione della natura anti ecologica del capitalismo”.
Il filosofo
Walter Benjamin diceva che vi sono dei momenti nella storia in cui un evento o
una lotta particolari entrano con forza nella “possibile
raffigurazione del presente” 1.
Sembra che
questo sia proprio il caso oggi, con La Comune di Parigi.
Il suo patrimonio ha attraversato il secolo, e nonostante l’intensità della sua
repressione, l’utopia di cui portava i germogli è sempre viva. Il suo
riferimento è presente e continua ad aggirarsi dentro di noi.
Benché questo episodio rivoluzionario abbia potuto svilupparsi per soli 72
giorni – da marzo a maggio 1871 – 150 anni dopo il suo eco continua a farsi
sentire.
Nel 2016 in
pieno movimento delle “Notti In Piedi”, dopo alcune notti incandescenti la
Piazza della Repubblica fu ribattezzata Piazza della Comune.
Nel 2018 alcuni “gilet gialli” gli fecero eco direttamente, organizzando a
Commercy, nella provincia della Meuse, “la Comune dei Comuni”.
A Nôtre Dame
des Landes anche gli Zadisti si sono riappropriato del suo
immaginario, quello dei suoi territori liberati, dove gli abitanti hanno
sospeso il campo di azione del governo cosi come le costrizioni economiche.
Durante la COP21, folti gruppi di ciclisti venuti dalla Zad hanno
simbolicamente invaso la piazza antistante il Château de Versailles. “
Nel 1871 i Versagliesi avevano schiacciato la Comune di Parigi. Le Zad sono
oggi come altrettante nuove libere Comuni” affermavano gli stessi.
Il passato
riemerge con una forza vulcanica. Viene scritto sui muri. Viene scandito
durante le manifestazioni e viene urlato in faccia al potere. In questi ultimi
anni, di pari passo con i cortei, numerosi “tags” l’hanno omaggiata: “meno
Blanquer et più Blanqui” [Rispettivamente un rappresentante del
governo attuale e una figura di spicco della Comune, NdT]. “1871 motivi
per silurare Macron” .
La Comune è un arma. E’ una potenza evocativa, un mito di speranza quando essa
ci viene a mancare. Come scriveva la comunarda Louise Michel, offre una
squarcio liberatore per quelli che vogliono “fuggire dal vecchio mondo”.
“Il mondo
dei comunardi in realtà, ci è più vicino di quello dei nostri genitori”
In pieno
capitalismo neo liberale, il suo rinnovato interesse non ha niente di
sorprendente.
Per la storica Kristin Ross, autrice del libro “L’immaginario della Comune” (Ed. La Fabrique, 2015), lo sgretolamento del
mercato del lavoro e l’incremento delle disuguaglianze fanno si che, “il
mondo dei comunardi ci è molto più vicino di quello dei nostri genitori”. “E’
normale che quelli che vogliono sperimentare di vivere diversamente, all’interno
di un economia capitalista completamente esausta dalla crisi, possano trovare
interessanti le discussioni che animavano la Comune”, ha scritto.
Queste
riflessioni stimolano anche la ricerca. Decine di libri sono usciti in
occasione del 150° anniversario. Una bibliografia stilata nel 2006 da Robert La
Quille, stimava a cinquemila il numero delle pubblicazioni uscite sulla Comune.
La Comune viene osservata sotto tutte le angolazioni e sotto ogni punto di
vista: rispetto alle donne, rispetto alla democrazia, rispetto al lavoro,
all’arte, al potere, ecc.
C’è da dire che all’epoca, in 72 giorni, la vita era cambiata radicalmente.
Lo storico Henri Lefèbvre qualifica l’evento come “une rivoluzione
totale”.
Vi fu instaurata la scuola laica, pubblica, gratuita ed obbligatoria, cosi come
la separazione tra stato e chiesa, la libertà di associazionismo, la
sospensione degli affitti, o il diritto al lavoro per le donne.
La popolazione si era autorappresentata in maniera democratica e aveva provato
a riappropriarsi dei mezzi di produzione, rovesciando le regole della proprietà
e del commercio.
Si sono scritte migliaia di pagine sulla Comune, ma un punto nevralgico è
rimasto nell’ombra, pochissimi ricercatori si sono interessati al rapporto dei
comunardi con la natura. All’interno della storiografia dominante, o della
corrente marxista-leninista questo aspetto è potuto passare come aneddotico, o
addirittura anacronistico.
Kristin Ross riconosce che “è una cosa ardua riuscire a ritrovare,
fosse soltanto un’allusione, sul ruolo giocato dall’esperienza e la cultura
della Comune, sullo sviluppo di questa sensibilità”.
Spesso la Comune è stata rilegata come un’esperienza operaia e urbana in cui la
questione ecologica era assente. In effetti si trovano pochissime tracce di
questi argomenti negli archivi o nei resoconti delle Assemblee Generali.
In piena guerra, in una capitale ferita ed affamata, incastrata tra l’esercito
prussiano e quello di Thiers, ci si può immaginare che i comunardi avessero
altre urgenze da affrontare, e che non abbiano avuto il tempo di disquisire sul
loro legame con l’ambiente.
D’altronde, dedurre che per questo motivo fossero ermetici a questo tipo di
argomento, sarebbe prendere una strada sbagliata. La Comune non assomiglia per
niente ad un capriccio parigino o ad una rivoluzione staccata dalla terra.
Lavori recenti, fra cui quello di Kristin Ross, hanno evidenziato gli scambi e
gli aspetti solidali che si sono costruiti fra La Comune ed alcuni precursori
dell’ecologia come William Morris o Pierre Kropotkine. Quest’ultimo ha nutrito il loro
immaginario al sorgere del periodo produttivistico.
Per questo, fra le parole d’ordine della Comune si ritrovano i richiami
all’autosufficienza locale, e le riflessioni su delle unità di produzione più
piccole, o sulla proprietà collettiva delle terre agricole.
Elementi lungi d’essere secondari per ciò che riguarda l’écologia politica.
“L’uomo
veramente civile deve comprendere che il proprio interesse è strettamente
legato a quello della natura”
In aprile
1871, diversi comunardi, come Benoit Malon, o la scrittrice femminista André
Leo, avevano tentato anche loro di rinforzare i loro legami con la società
contadina. Con un manifesto esemplare, stampato a più di 100.000 di copie
(un’impresa per l’epoca), interpellavano il popolo delle campagne, “fratello
ti stanno ingannando, i nostri interessi sono gli stessi”. Rivendicavano: “la
terra a chi la lavora”, e denunciavano la distruzione dei beni comuni
da parte della borghesia, la privatizzazione delle foreste, dei boschi o dei
campi.
Alcuni
comunardi sono stati addirittura grandi precursori nel loro rapporto con la
natura. Basti pensare al geografo libertario Elisée Reclus. Questo narratore,
allo stesso tempo poeta e scienziato, fu uno degli antenati dell’ecologia
sociale. Anche se il suo ruolo personale nella Comune fu marginale, perché
catturato fin dal 05 aprile del 1871, questa esperienza fu comunque per lui uno
dei momenti più intensi della sua vita, come scrisse 30 ani più tardi, alla
vigilia della sua morte.
Elisée
Reclus è stato uno dei primi a mostrare come il capitalismo sia la principale
causa del deterioramento non solo dell’umanità, ma anche degli ecosistemi. E’
un visionario. Nel 1866, affermava che “l’uomo veramente civile, deve
essere in grado di capire che i propri interessi sono indissolubilmente legati
a quelli degli altri, e anche con quelli della natura stessa” 2.
Nei sui
numerosi scritti evidenziava i danni provocati dalla rivoluzione industriale.
Parlava in modo dettagliato dei pericoli della diminuzione della biodiversità e
sviluppava un approccio sensibile dell’ecologia sapendo apprezzare “le
curve dei ruscelli”, “ i granelli di sabbia delle dune” , “le
rughe della spiaggia” .
La sua attenzione era passionale, il suo amore incondizionato. Voleva pensare
allo stesso tempo all’umano e al mondo, e si rattristava dell’imbruttimento
della Terra.
Ammoniva: “un
armonia segreta s’instaura tra la terra e i popoli che nutre, e quando delle
società imprudenti si permettono di fare man bassa su ciò che rendeva
bello il territorio, finiscono sempre col pentirsene”,
“Là dove il suolo si è imbruttito, la dove ogni poeticità è scomparsa dal
paesaggio, le immaginazioni si spengono, i pensieri si impoveriscono e la
monotonia e la servilità s’impadroniscono delle anime, predisponendole al
torpore e alla morte”.3
Elisée
Reclus rifiutava la parola ambiente, connotazione di un mondo naturale distante
concepito come troppo esterno all’umano. Gli preferiva il nome “milieu” [In
francese significa sia “ambiente” che “in mezzo”, NdT.), che ha il merito di
immergere immediatamente l’umano all’interno di un interazione diretta con il
vivente. Insisteva spesso sulla necessità di trattare le altre specie con molto
rispetto, e passò una vita intera da vegetariano, nutrendosi soltanto di pane e
di frutta.
Louise
Michel ha inventato le lezioni di natura
Elisée
Reclus non è stato l’unico comunard sensibile a queste tematiche.
Anche in Louise Michel ritroviamo questa sensibilità, abbastanza sconcertante
in quel periodo.
Nelle sue “Mémoires” (Ed.
La Découverte, 2002), questa figura emblematica della Comune mette in relazione
il rispetto animale e quello umano.
“Dal profondo della mia rivolta contro i potenti, ritrovo fin dalle memorie
più lontane, l’orrore delle torture inflitte alle bestie”, scrive.
“Sono spesso stata accusata di avere maggiori riguardi verso gli animali che
verso gli umani: perché lasciarsi commuovere dalle bestie quando gli esseri
dotati di ragionamento sono cosi infelici? E’ che c’è un nesso fra tutto, dall’uccello
le cui uova vengono schiacciate, fino ai nidi di umani che vengono decimati
dalla guerra. La bestia muore all’interno della sua tana, l’uomo lontano dai
confini”.
Prima di
arrivare a Parigi e di abbracciare l’effervescenza della Comune, Louise Michel
è stata istitutrice in un piccolo villaggio del dipartimento di “Haute Marne”,
a Audeloncourt.
Vi ha potuto sperimentare anzitempo una sorta di scuola della natura.
Rifiutando di prestare giuramento all’Impero – che era obbligatorio per tutti
gli insegnanti delle scuole comunali – ha preferito insegnare in una maniera
quasi clandestina all’interno della sala da pranza di una casa cittadina.
Utilizzava allora delle pedagogie innovatrici basate sull’esperienzialità e sul
ragionamento. Rifiutava i castighi. Faceva studiare la geologia andando a
raccogliere dei sassi. Faceva capire la vita delle piante ai bambini,
coltivando un giardino.
« la
classe era piena di vita, si leggeva, si contava, si faceva del teatro”, racconta
la sua biografa Claude Rétat, rispondendo ai quesiti di Reporterre.
“Si può dire che Louise Michel abbia inventato le lezioni di natura con un
secolo di anticipo”. All’epoca la questione ecologica non si poneva come ai
giorni nostri”, aggiunge.
“Per Louise Michel era evidente che il vivente era deturpato dagli
sfruttatori, e che fosse necessario inventare un rapporto differente con la
natura.”
La sua
sensibilità ha anche avuto modo di esprimersi durante il suo lungo esilio in
Nuova Caledonia, dopo la sconfitta della Comune. Vi è rimasta più di sei anni
ed è stata affascinata dalla bellezza delle foreste e delle popolazioni
autoctone, i Kanaks. Ne ha tratto un libro 4. Per lei, “la comprensione
della natura da parte dei Kanaks è di lunga migliore di quella degli Europei.
Le connessioni che essi avevano con la terra e il mare erano molto importanti” nota
Carolyn Eichner 5, professore associato
all’Università del Wisconsin Milwaukee, negli Stati Uniti.
“O
Natura, verranno portati da spiaggia in spiaggia, sia i tuoi furori che il tuo
amore”
In seguito,
la deportata ha anche difeso la rivolta Atai nel 1878, e si schierò con i
Kanaks. Riuscì pure ad ottenere una missione per conto della “Societé française
de botanique”, per poter studiare una natura ancora poco classificata, che
l’affascinava. Il suo poema “Au bord des flots” [“In riva alle onde”, NdT]
riesce a trasmettere l’ampiezza del suo attaccamento al vivente.
Toute ta
puissance, ô nature,
Et tes fureurs et ton amour,
Ta force vive et ton murmure,
On te les prendra quelque jour.
Comme un outil pour son ouvrage,
On portera de plage en plage
Et tes fureurs et ton amour.
Tutta la tua
potenza, o natura,
Sia i tuoi furori, sia il tuo amore,
La tua forza viva e il tuo sussurrare,
Verranno presi un giorno.
Come un attrezzo per la sua opera,
Verranno portati da spiaggia in spiaggia
Sia i tuoi furori, sia il tuo amore.
Non è sorprendente vedere oggi gli ecologisti riappropriarsi un po’ alla volta
di questo tratto di storia.
Con la sua teoria del “municipalismo libertario”, il pensatore dell’ecologia
sociale Murray Bookchin, aveva già aperto la strada negli
anni 1980, facendo riferimenti diretti alla Comune, pur prendendo l’accortezza
di discostarsene su alcuni punti.
Di recente, Eric PIolle, il sindaco di Grenoble, ha addirittura scritto
un articolo sul quotidiano Liberation, dove afferma che “ i
comunardi e le comunarde sono i primi e le prime ecologiste”. “La Comune di
Parigi è uno degli eventi di cui abbiamo bisogno di riappropriarci”, scriveva.
“E’ la base per il nostro lavoro di rinascita”.
Questo
reinvestimento politico è salutare. Ma stiamo attenti ad evitare una
strumentalizzazione, o addirittura una neutralizzazione del pensiero dei nostri
antenati.
“Il sentimento di natura” che descriveva Elisée Reclus e che era
vissuto anche da altri comunardi come Louise Michel, non aveva niente a che
fare con un supplemento d’anima. Era proprio alla base del loro impegno
rivoluzionario.
D’altronde, per Kristin Ross, potrebbe rappresentare l’apporto principale della
Comune, “un’apprensione visionaria della natura anti-ecologica del
capitalismo”.
Per nessuno dei pensatori dell’epoca, che hanno attraversato sia le aspirazioni
della Comune che la ferocia del suo annientamento, poteva trattarsi di una
riforma o di una soluzione parziale.
“La riparazione della natura poteva avvenire soltanto con lo smantellamento totale
del commercio internazionale e del sistema capitalista”, scrive la
storica. “Un problema sistemico esigeva una soluzione sistemica”.
- Walter
Benjamin, Parigi, capitale del XIX° secolo, comparso in
“Ecrits Français (Folio-Gallimard), 1939
- Elisée Reclus, “A proposito
dell’azione umana nella geografia fisica” in La revue des deux
mondes, 1° dicembre 1864
- Elisée Reclus “A proposito
desi sentimenti della natura nelle società moderne” in La revue
des deux mondes, 63 del 15 maggio 1866.
- Louise Michel, Legende
e canzoni di gesta dei Kanaks, 1875
- Carolyn Eichner, Le
donne nella Comune di Parigi, Valicare le barricate, Editions De
La Sorbonne, 2020.
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