giovedì 2 dicembre 2021

La Comune di Parigi fu la matrice di un’ecologia rivoluzionaria - Gaspard d’Allens

  

Oggi, mentre il mondo intero prende atto della catastrofe climatica di fronte al manifestarsi sempre più grave dei suoi effetti, è stupefacente scoprire la lungimiranza di chi, già dagli albori della seconda rivoluzione industriale, aveva  intuito la natura anti-ecologica del capitalismo. Il 28 maggio scorso, a 150 anni dalla caduta della Comune di Parigi, Reporterre - quotidiano dell’ecologia - ha dedicato un approfondimento al pensiero ecologico de* Comunard*, a cura di Gaspard d’Allens.
Nella sua breve storia la Comune di Parigi ha assunto l’intensità di una rivoluzione totale, che non poteva che estendersi, per le sue menti più fervide, anche al sovvertimento della divisione fra uomo e natura.
E così che ritroviamo in Elisée Reclus l’accumunare in uno stesso destino umanità e natura.
Ritroviamo in Benoit Malon e André Leo la difesa della dimensione collettiva del rapporto con la terra come base della riproduzione materiale, a fronte dell’espropriazione privatistica da parte del capitale.
Ritroviamo in Louise Michel l’empatia fra esseri viventi egualmente oppressi, e la scoperta fra le genti della Nuova Caledonia di un pensiero indigeno superiore nel rapporto con la natura a quello dei colonizzatori francesi. Elementi che 150 dopo sono tutti ancora all’ordine del giorno.

Ringraziamo Reporterre per la sua opera di informazione ecologica quotidiana e indipendente, e per averci dato la possibilità di proporvi la nostra traduzione di «La Commune de Paris fut la matrice d’une écologie révolutionnaire».


 

Centocinquanta anni fa si chiudeva l’ultimo giorno della Comune di Parigi.
Questo episodio rivoluzionario è stato spesso confinato ad un’esperienza urbana ed operaia.
Eppure, Louise Michel, Elisée Reclus e gli altri comunardi avevano una “visionaria apprensione della natura anti ecologica del capitalismo”.

Il filosofo Walter Benjamin diceva che vi sono dei momenti nella storia in cui un evento o una lotta particolari entrano con forza nella “possibile raffigurazione del presente” 1.

 


Sembra che questo sia proprio il caso oggi, con La Comune di Parigi.
Il suo patrimonio ha attraversato il secolo, e nonostante l’intensità della sua repressione, l’utopia di cui portava i germogli è sempre viva. Il suo riferimento è presente e continua ad aggirarsi dentro di noi.
Benché questo episodio rivoluzionario abbia potuto svilupparsi per soli 72 giorni – da marzo a maggio 1871 – 150 anni dopo il suo eco continua a farsi sentire.

Nel 2016 in pieno movimento delle “Notti In Piedi”, dopo alcune notti incandescenti la Piazza della Repubblica fu ribattezzata Piazza della Comune.
Nel 2018 alcuni “gilet gialli” gli fecero eco direttamente, organizzando a Commercy, nella provincia della Meuse, “la Comune dei Comuni”.
Nôtre Dame des Landes anche gli Zadisti si sono riappropriato del suo immaginario, quello dei suoi territori liberati, dove gli abitanti hanno sospeso il campo di azione del governo cosi come le costrizioni economiche.
Durante la COP21, folti gruppi di ciclisti venuti dalla Zad hanno simbolicamente invaso la piazza antistante il Château de Versailles. “ Nel 1871 i Versagliesi avevano schiacciato la Comune di Parigi. Le Zad sono oggi come altrettante nuove libere Comuni” affermavano gli stessi.

Il passato riemerge con una forza vulcanica. Viene scritto sui muri. Viene scandito durante le manifestazioni e viene urlato in faccia al potere. In questi ultimi anni, di pari passo con i cortei, numerosi “tags” l’hanno omaggiata: “meno Blanquer et più Blanqui” [Rispettivamente un rappresentante del governo attuale e una figura di spicco della Comune, NdT]. “1871 motivi per silurare Macron” .
La Comune è un arma. E’ una potenza evocativa, un mito di speranza quando essa ci viene a mancare. Come scriveva la comunarda Louise Michel, offre una squarcio liberatore per quelli che vogliono “fuggire dal vecchio mondo”.

Il mondo dei comunardi in realtà, ci è più vicino di quello dei nostri genitori”

In pieno capitalismo neo liberale, il suo rinnovato interesse non ha niente di sorprendente.
Per la storica Kristin Ross, autrice del libro L’immaginario della Comune (Ed. La Fabrique, 2015), lo sgretolamento del mercato del lavoro e l’incremento delle disuguaglianze fanno si che, “il mondo dei comunardi ci è molto più vicino di quello dei nostri genitori”. “E’ normale che quelli che vogliono sperimentare di vivere diversamente, all’interno di un economia capitalista completamente esausta dalla crisi, possano trovare interessanti le discussioni che animavano la Comune”, ha scritto.

Queste riflessioni stimolano anche la ricerca. Decine di libri sono usciti in occasione del 150° anniversario. Una bibliografia stilata nel 2006 da Robert La Quille, stimava a cinquemila il numero delle pubblicazioni uscite sulla Comune. La Comune viene osservata sotto tutte le angolazioni e sotto ogni punto di vista: rispetto alle donne, rispetto alla democrazia, rispetto al lavoro, all’arte, al potere, ecc.
C’è da dire che all’epoca, in 72 giorni, la vita era cambiata radicalmente.
Lo storico Henri Lefèbvre qualifica l’evento come “une rivoluzione totale”.
Vi fu instaurata la scuola laica, pubblica, gratuita ed obbligatoria, cosi come la separazione tra stato e chiesa, la libertà di associazionismo, la sospensione degli affitti, o il diritto al lavoro per le donne.
La popolazione si era autorappresentata in maniera democratica e aveva provato a riappropriarsi dei mezzi di produzione, rovesciando le regole della proprietà e del commercio.
Si sono scritte migliaia di pagine sulla Comune, ma un punto nevralgico è rimasto nell’ombra, pochissimi ricercatori si sono interessati al rapporto dei comunardi con la natura. All’interno della storiografia dominante, o della corrente marxista-leninista questo aspetto è potuto passare come aneddotico, o addirittura anacronistico.
Kristin Ross riconosce che “è una cosa ardua riuscire a ritrovare, fosse soltanto un’allusione, sul ruolo giocato dall’esperienza e la cultura della Comune, sullo sviluppo di questa sensibilità”.
Spesso la Comune è stata rilegata come un’esperienza operaia e urbana in cui la questione ecologica era assente. In effetti si trovano pochissime tracce di questi argomenti negli archivi o nei resoconti delle Assemblee Generali.
In piena guerra, in una capitale ferita ed affamata, incastrata tra l’esercito prussiano e quello di Thiers, ci si può immaginare che i comunardi avessero altre urgenze da affrontare, e che non abbiano avuto il tempo di disquisire sul loro legame con l’ambiente.
D’altronde, dedurre che per questo motivo fossero ermetici a questo tipo di argomento, sarebbe prendere una strada sbagliata. La Comune non assomiglia per niente ad un capriccio parigino o ad una rivoluzione staccata dalla terra. Lavori recenti, fra cui quello di Kristin Ross, hanno evidenziato gli scambi e gli aspetti solidali che si sono costruiti fra La Comune ed alcuni precursori dell’ecologia come William Morris o Pierre Kropotkine. Quest’ultimo ha nutrito il loro immaginario al sorgere del periodo produttivistico.
Per questo, fra le parole d’ordine della Comune si ritrovano i richiami all’autosufficienza locale, e le riflessioni su delle unità di produzione più piccole, o sulla proprietà collettiva delle terre agricole.
Elementi lungi d’essere secondari per ciò che riguarda l’écologia politica.

L’uomo veramente civile deve comprendere che il proprio interesse è strettamente legato a quello della natura”

In aprile 1871, diversi comunardi, come Benoit Malon, o la scrittrice femminista André Leo, avevano tentato anche loro di rinforzare i loro legami con la società contadina. Con un manifesto esemplare, stampato a più di 100.000 di copie (un’impresa per l’epoca), interpellavano il popolo delle campagne, “fratello ti stanno ingannando, i nostri interessi sono gli stessi”. Rivendicavano: “la terra a chi la lavora”, e denunciavano la distruzione dei beni comuni da parte della borghesia, la privatizzazione delle foreste, dei boschi o dei campi.

Alcuni comunardi sono stati addirittura grandi precursori nel loro rapporto con la natura. Basti pensare al geografo libertario Elisée Reclus. Questo narratore, allo stesso tempo poeta e scienziato, fu uno degli antenati dell’ecologia sociale. Anche se il suo ruolo personale nella Comune fu marginale, perché catturato fin dal 05 aprile del 1871, questa esperienza fu comunque per lui uno dei momenti più intensi della sua vita, come scrisse 30 ani più tardi, alla vigilia della sua morte.

Elisée Reclus è stato uno dei primi a mostrare come il capitalismo sia la principale causa del deterioramento non solo dell’umanità, ma anche degli ecosistemi. E’ un visionario. Nel 1866, affermava che “l’uomo veramente civile, deve essere in grado di capire che i propri interessi sono indissolubilmente legati a quelli degli altri, e anche con quelli della natura stessa” 2.

Nei sui numerosi scritti evidenziava i danni provocati dalla rivoluzione industriale. Parlava in modo dettagliato dei pericoli della diminuzione della biodiversità e sviluppava un approccio sensibile dell’ecologia sapendo apprezzare “le curve dei ruscelli”, “ i granelli di sabbia delle dune” “le rughe della spiaggia” .
La sua attenzione era passionale, il suo amore incondizionato. Voleva pensare allo stesso tempo all’umano e al mondo, e si rattristava dell’imbruttimento della Terra.
 

 

Ammoniva: “un armonia segreta s’instaura tra la terra e i popoli che nutre, e quando delle società imprudenti si permettono di fare man bassa su ciò che rendeva bello il territorio, finiscono sempre col pentirsene”,
“Là dove il suolo si è imbruttito, la dove ogni poeticità è scomparsa dal paesaggio, le immaginazioni si spengono, i pensieri si impoveriscono e la monotonia e la servilità s’impadroniscono delle anime, predisponendole al torpore e alla morte”.3

Elisée Reclus rifiutava la parola ambiente, connotazione di un mondo naturale distante concepito come troppo esterno all’umano. Gli preferiva il nome “milieu” [In francese significa sia “ambiente” che “in mezzo”, NdT.), che ha il merito di immergere immediatamente l’umano all’interno di un interazione diretta con il vivente. Insisteva spesso sulla necessità di trattare le altre specie con molto rispetto, e passò una vita intera da vegetariano, nutrendosi soltanto di pane e di frutta.

Louise Michel ha inventato le lezioni di natura

Elisée Reclus non è stato l’unico comunard sensibile a queste tematiche.
Anche in Louise Michel ritroviamo questa sensibilità, abbastanza sconcertante in quel periodo.
Nelle sue “Mémoires” (Ed. La Découverte, 2002), questa figura emblematica della Comune mette in relazione il rispetto animale e quello umano.

“Dal profondo della mia rivolta contro i potenti, ritrovo fin dalle memorie più lontane, l’orrore delle torture inflitte alle bestie”, scrive.
Sono spesso stata accusata di avere maggiori riguardi verso gli animali che verso gli umani: perché lasciarsi commuovere dalle bestie quando gli esseri dotati di ragionamento sono cosi infelici? E’ che c’è un nesso fra tutto, dall’uccello le cui uova vengono schiacciate, fino ai nidi di umani che vengono decimati dalla guerra. La bestia muore all’interno della sua tana, l’uomo lontano dai confini”.

Prima di arrivare a Parigi e di abbracciare l’effervescenza della Comune, Louise Michel è stata istitutrice in un piccolo villaggio del dipartimento di “Haute Marne”, a Audeloncourt.
Vi ha potuto sperimentare anzitempo una sorta di scuola della natura. Rifiutando di prestare giuramento all’Impero – che era obbligatorio per tutti gli insegnanti delle scuole comunali – ha preferito insegnare in una maniera quasi clandestina all’interno della sala da pranza di una casa cittadina. Utilizzava allora delle pedagogie innovatrici basate sull’esperienzialità e sul ragionamento. Rifiutava i castighi. Faceva studiare la geologia andando a raccogliere dei sassi. Faceva capire la vita delle piante ai bambini, coltivando un giardino.

« la classe era piena di vita, si leggeva, si contava, si faceva del teatro”, racconta la sua biografa Claude Rétat, rispondendo ai quesiti di Reporterre.
“Si può dire che Louise Michel abbia inventato le lezioni di natura con un secolo di anticipo”. All’epoca la questione ecologica non si poneva come ai giorni nostri”, aggiunge.
“Per Louise Michel era evidente che il vivente era deturpato dagli sfruttatori, e che fosse necessario inventare un rapporto differente con la natura.”

La sua sensibilità ha anche avuto modo di esprimersi durante il suo lungo esilio in Nuova Caledonia, dopo la sconfitta della Comune. Vi è rimasta più di sei anni ed è stata affascinata dalla bellezza delle foreste e delle popolazioni autoctone, i Kanaks. Ne ha tratto un libro 4. Per lei, “la comprensione della natura da parte dei Kanaks è di lunga migliore di quella degli Europei. Le connessioni che essi avevano con la terra e il mare erano molto importanti” nota Carolyn Eichner 5, professore associato all’Università del Wisconsin Milwaukee, negli Stati Uniti.

O Natura, verranno portati da spiaggia in spiaggia, sia i tuoi furori che il tuo amore”

In seguito, la deportata ha anche difeso la rivolta Atai nel 1878, e si schierò con i Kanaks. Riuscì pure ad ottenere una missione per conto della “Societé française de botanique”, per poter studiare una natura ancora poco classificata, che l’affascinava. Il suo poema “Au bord des flots” [“In riva alle onde”, NdT] riesce a trasmettere l’ampiezza del suo attaccamento al vivente.

Toute ta puissance, ô nature,
Et tes fureurs et ton amour,
Ta force vive et ton murmure,
On te les prendra quelque jour.
Comme un outil pour son ouvrage,
On portera de plage en plage
Et tes fureurs et ton amour.

Tutta la tua potenza, o natura,
Sia i tuoi furori, sia il tuo amore,
La tua forza viva e il tuo sussurrare,
Verranno presi un giorno.
Come un attrezzo per la sua opera,
Verranno portati da spiaggia in spiaggia
Sia i tuoi furori, sia il tuo amore.

Non è sorprendente vedere oggi gli ecologisti riappropriarsi un po’ alla volta di questo tratto di storia.
Con la sua teoria del “municipalismo libertario”, il pensatore dell’ecologia sociale Murray Bookchin, aveva già aperto la strada negli anni 1980, facendo riferimenti diretti alla Comune, pur prendendo l’accortezza di discostarsene su alcuni punti.
Di recente, Eric PIolle, il sindaco di Grenoble, ha addirittura scritto un articolo sul quotidiano Liberation, dove afferma che “ i comunardi e le comunarde sono i primi e le prime ecologiste”. “La Comune di Parigi è uno degli eventi di cui abbiamo bisogno di riappropriarci”, scriveva. “E’ la base per il nostro lavoro di rinascita”.

Questo reinvestimento politico è salutare. Ma stiamo attenti ad evitare una strumentalizzazione, o addirittura una neutralizzazione del pensiero dei nostri antenati.
Il sentimento di natura” che descriveva Elisée Reclus e che era vissuto anche da altri comunardi come Louise Michel, non aveva niente a che fare con un supplemento d’anima. Era proprio alla base del loro impegno rivoluzionario.
D’altronde, per Kristin Ross, potrebbe rappresentare l’apporto principale della Comune, “un’apprensione visionaria della natura anti-ecologica del capitalismo”.
Per nessuno dei pensatori dell’epoca, che hanno attraversato sia le aspirazioni della Comune che la ferocia del suo annientamento, poteva trattarsi di una riforma o di una soluzione parziale.

La riparazione della natura poteva avvenire soltanto con lo smantellamento totale del commercio internazionale e del sistema capitalista”, scrive la storica. “Un problema sistemico esigeva una soluzione sistemica”.
 


NOTE:

  1. Walter Benjamin, Parigi, capitale del XIX° secolo, comparso in “Ecrits Français (Folio-Gallimard), 1939
  2. Elisée Reclus, “A proposito dell’azione umana nella geografia fisica” in La revue des deux mondes, 1° dicembre 1864
  3. Elisée Reclus “A proposito desi sentimenti della natura nelle società moderne” in La revue des deux mondes, 63 del 15 maggio 1866.
  4. Louise Michel, Legende e canzoni di gesta dei Kanaks, 1875
  5. Carolyn Eichner, Le donne nella Comune di Parigi, Valicare le barricate, Editions De La Sorbonne, 2020.

 

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